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Lutrario (Usb): “Lo sciopero del 28 rivendica il diritto ad un futuro diverso”

Alla vigilia dello sciopero generale del 28 e della manifestazione nazionale del 29 novembre abbiamo chiesto alcune valutazioni a Guido Lutrario dell’esecutivo nazionale dell’Unione Sindacale di Base

Con lo sciopero generale del 28 novembre contestate la Legge di bilancio del governo Meloni. Perché?

Lo sciopero generale del 28 novembre rivendica il diritto ad un futuro diverso. Il governo Meloni ha definitivamente imboccato la strada del riarmo, condizionando tutta la politica economica alla necessità di reperire risorse per l’acquisto di nuovi armamenti, in gran parte dalle industrie americane, e convertire pezzi della nostra industria al settore bellico.

Il bilancio pubblico viene contenuto per soddisfare la regola della Ue che consente di svincolare la spesa pubblica per la difesa solo ai paesi che stanno dentro i limiti del 3% nel rapporto PIL/deficit pubblico: in pratica la spesa sociale, gli investimenti pubblici, i salari dei dipendenti pubblici e le pensioni vengono messi dopo la spesa militare, che diventa la voce centrale del nostro bilancio.

Ogni rivendicazione sociale subisce il ricatto della corsa al riarmo, tutto viene dopo la necessità di rafforzare il nostro sistema militare e mettere risorse a disposizione delle aziende che producono armi.

Quali sono le rivendicazioni principali dello sciopero?

Al primo posto c’è la questione dei salari. Abbiamo fissato l’asticella dei minimi a 2mila euro per sottolineare che si deve partire da un’idea del salario che deve garantire una esistenza libera e dignitosa.

Non è accettabile che si vada a lavorare per una retribuzione che non assicuri dignità a chi lavora. Subito dopo c’è il grande tema dell’età pensionabile che andrebbe riportata a 62 anni invece di allungarla ulteriormente, mentre è urgente far salire le pensioni minime almeno a 1500 euro.

La rivendicazione delle assunzioni nel settore pubblico di almeno un milione di lavoratori, il rilancio dell’edilizia popolare accanto ad una legge che metta sotto controllo il mercato degli affitti, lo stop al sistema degli appalti, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e la settimana corta di 4 giorni lavorativi.

Abbiamo presentato la nostra Piattaforma rivendicativa in una grande assemblea di delegati e delegate a Roma lo scorso primo novembre. In quella Piattaforma abbiamo riassunto tutte le nostre proposte per tornare a dare un futuro al nostro paese.

Si tratta del terzo sciopero generale in tre mesi. È un autunno caldo o una positiva anomalia nello scenario politico e sociale del paese?

La Palestina ha fatto venire alla luce il disgusto per la complicità del nostro governo verso un genocidio in atto (e ancora in corso) ed ha provocato un’ondata emotiva molto forte che ha risvegliato il Paese da una prolungata passività.

Parole d’ordine chiare che nessuno aveva avuto il coraggio di pronunciare fino ad allora, come Israele stato terrorista o lo stesso termine genocidio, sono diventate comuni a milioni di persone scese in piazza ovunque.

Quello che si è manifestato è un movimento radicale nei contenuti, poco disponibile a lasciarsi ammaestrare dall’opposizione parlamentare, sicuramente una positiva novità sulla scena politica del paese.

Nei due scioperi precedenti c’è stata una forte adesione ad una agitazione con motivazioni apertamente politiche – il sostegno al popolo palestinese – e una adesione superiore a quelli su obiettivi vertenziali e contrattuali. Come ve lo spiegate?

C’è una frattura sempre più evidente che attraversa la sinistra di questo paese e che si manifesta per esempio con un crescente astensionismo. Mentre vasti settori popolari hanno da tempo abbandonato i riferimenti politici e sindacali della sinistra perché non si sono sentiti più rappresentati da queste organizzazioni, ora assistiamo ad una crisi anche ideale ed etica che sta portando allo scollamento con i settori più consolidati che in questi anni hanno continuato, malgrado tutto, a riconoscersi nelle forze della sinistra.

C’è una fetta molto grande di quel popolo della sinistra che non si riconosce più in questa sinistra, perchè lo vede come una versione edulcorata della destra.

Questo è stato il mondo che più ha riempito le piazze dei due grandi scioperi del 22 settembre e del 3 ottobre e poi l’oceanica manifestazione del 4 ottobre a Roma, un popolo di sinistra senza più riferimenti organizzativi. Nel mondo del lavoro, queste mobilitazioni si sono sentite sicuramente nella scuola e nei settori più acculturati della società, assieme ad un precariato diffuso che fatica ad utilizzare lo sciopero come forma di lotta per difendere i propri diritti ma che ha trovato nello sciopero generale per la Palestina l’opportunità per esprimere il proprio malessere.

Ora la vera scommessa che abbiamo davanti, a cominciare dallo sciopero del 28, è quella di allargare la protesta a quei settori del mondo del lavoro che sono rimasti a guardare per far irrompere la questione sociale nel movimento suscitato dalle proteste per la Palestina. A quell’enorme popolo che si è manifestato sulla Palestina dobbiamo riuscire a dare un riferimento sindacale stabile che sia coerente con la spinta etica e la radicalità che si sono espresse in quelle mobilitazioni. E’ significativo in tal senso il sostegno allo sciopero che è venuto da personalità internazionali come Greta Thunberg, Francesca Albanese, Roger Waters, Thiago Avila, Chris Hedges.

I bassi salari continuano a gridare vendetta, le crisi industriali si acutizzano, i servizi pubblici – dalla sanità ai trasporti – sono al collasso. Ma il governo dice che va tutto bene. Qual è la reale situazione sociale del paese?

Questo paese è di fronte ad una crisi pesantissima di cui l’emergenza salari è solo la punta di iceberg. C’è un drenaggio continuo di risorse verso le banche e il mondo finanziario che sta impoverendo fette crescenti di popolazione ma sta soprattutto ipotecando il futuro dell’Italia.

La deindustrializzazione è ormai un fenomeno apertamente dichiarato dagli stessi ministri, il nostro sistema produttivo perde continuamente pezzi mentre tutti gli asset strategici stanno finendo nelle mani dei grandi Fondi di investimento americani.

L’Italia è ormai il paese del turismo, della ristorazione e del terziario a basso valore aggiunto, cioè con salari da fame, precariato cronico e contrattualizzazione sempre più dubbia.

Questa crisi di prospettive ha riaperto in modo clamoroso anche la questione abitativa, che per molti anni era rimasta confinata ad alcune grandi città come Roma e ai settori più poveri. Ora la casa è tornata ad essere una grande emergenza sociale per milioni di persone che non riescono a reggere l’andamento dei mutui né il mercato degli affitti completamente fuori controllo.

E poi c’è la grande emergenza della sanità, con milioni di persone che rinunciano alle cure perché non hanno di che pagarsele. Ecco, questa è la situazione del nostro paese, e finita l’illusione del PNRR non c’è più alcuna prospettiva all’orizzonte se non l’incubo della guerra.

Sabato 29 marzo, il giorno successivo allo sciopero, ci sarà una manifestazione nazionale a Roma. Quali sono le vostre aspettative su questa mobilitazione?

La mobilitazione del 29 sarà grande, c’è una forte attesa e ci sono segnali di attenzione che vengono da tante parti del paese. Per noi sarà importante mettere al centro il protagonismo dei lavoratori e delle lavoratrici.

Quando i portuali di Genova hanno lanciato la parola d’ordine “Blocchiamo tutto” hanno dato un segnale forte che dice che gli operai, se determinati, possono condizionare il destino del paese. In tanti ci hanno creduto e siamo riusciti a bloccare il paese per ben due volte in pochi giorni.

Blocchiamo tutto è diventata una parola d’ordine che ha fatto il giro del mondo e ci sono mobilitazioni in tanti paesi che si ispirano a quello che siamo riusciti a fare qui da noi.

Ora che abbiamo capito che è possibile, che abbiamo dimostrato che possiamo farlo, dobbiamo trasformare l’esplosione inattesa e spontanea in una forma organizzata e stabile di lotta, dobbiamo farla diventare una forza organizzata capace di invertire la rotta che ha preso il paese.

Per questo dobbiamo lavorare con ancora maggiore determinazione nella costruzione di un fronte indipendente che conti sulle proprie forze, che sono gigantesche, e che non si faccia condizionare da chi vorrebbe appropriarsi indebitamente del potenziale che questo movimento ha dimostrato di avere.

Lavoratori di tutti i settori, migranti, senza casa, pensionati, studenti, c’è una massa enorme che comincia ad intravedere la necessità e la possibilità di organizzarsi su obiettivi chiari, liberandosi degli schemi ideologici e dei freni che la vecchia sinistra mette continuamente in campo. Lo sciopero del 28 e la manifestazione del 29 saranno un altro passo in avanti in questa direzione.

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1 Commento


  • Giorgio

    Credo che dobbiamo rivedere le nostre motivazioni.
    Prima di tutto reconoceré che é inutile correré dietro a
    degli imbecili. Il livello dei dibattiti sui social é cosi basso che é impossibile convincere nessuno..
    Secondo :
    se lo spazio piu importante per comunicare é internet dobbiamo trovare il modo di libérare dai trolls il nostro spazio di comunicazione. Con amministratori, con filtri non importa come peró non possono essere la fogna che sono diventati.
    Quando vai a leggere i commenti e scoraggiante…Al límite se non é possibile fare altro non permettere di commentare sarebbe meglio che ospitare valanghe di farneticazioni ed insulti.
    Terzo se si é decisi di entrare nelle istituzioni avere un piano chiaro:
    Inutile spendere anni di sforzi per finire come Syriza in Grecia o Podemos in Spagna. La credibilidad guadagnata in anni di lotta si perde in un battibaleno,

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