Allora. Come protocollo vuole, il proprietario – Alain Elkann, nipote dell’Avvocato Gianni Agnelli e distruttore della Fiat – ha fatto visita ai suoi dipendent della sezione informazione, sottomarchio La Stampa, per mostrare il proprio volto umano di imprenditore sensibile.
“L’attacco che questa redazione ha subito due giorni fa è stato brutale e vile. Un tentativo evidente di intimidire chi ogni giorno lavora per raccontare la realtà con rigore, serietà e indipendenza.”
“Raccontare la realtà con rigore, serietà e indipendenza”… Una spataffiata di chiacchiere di cui si può dimostrare in poche righe la falsità. Si potrebbe dire che quello stesso giornale, il giorno dopo (30 settembre), ha ovviamente dedicato svariate pagine pro domo sua piene di dichiarazioni indignate, proclami di solidarietà, ecc. Ci sta, è nella logica delle cose.
Lo è un po’ meno la scelta di non parlare affatto dello sciopero generale del 28 e della manifestazione nazionale del 29, che pure hanno registrato una partecipazione considerevole. Mancanza di spazio? Strabismo politico? Non gli è arrivata la notizia?
No. Una scelta brutale, padronale e consapevole. “Quello che ci viene contro – a noi padroni che abbiamo spostato la sede legale all’estero per pagare meno tasse – semplicemente non esiste. E se esiste è criminale, anche quando è non violento” (spassosissima, in questo senso, la citazione di Gandhi in cima all’editoriale del direttore, tutto finalizzato a chiedere una repressione durissima a Torino).
Che la manifestazioni pacifiche e di massa ci siano state, a La Stampa, se ne sono accorti sicuramente, ma hanno deciso di parlarne solo con il trafiletto “terroristico” qui di fianco.
Si potrebbe dire che sono “scelte editoriali libere”, e di certo sono talmente libere da ignorare i fatti, “la realtà” evocata incautamente da Elkann, o restituirla come messaggi “d’ordine” anche quando non c’è materia.
Ma non vogliamo lamentarci per questa disattenzione, sappiamo con chi abbiamo a che fare… Stiamo mettendo a fuoco un modo di falsificare l’informazione in generale, come funzione sociale prima che business (i giornali cartacei sono tutti da decenni in perdita economica; continuano ad uscire solo perché svolgono una funzione di deformazione dell’opinione pubblica corrispondente ai diversi interessi dei differenti “editori”).
La prova la forniamo con un articolo dell’altro grande quotidiano di proprietà della “casa Agnelli in Elkann”, ovvero con Repubblica.
Stesso giorno, stesse ore, l’ex giornale fondato da Scalfari ha sfornato un’intervista di Laura Lucchini al ministro degli esteri della Colombia per parlare del minacciato attacco statunitense al vicino Venezuela.
Titolo: “La ministra colombiana “Il narcotraffico è una scusa ma il caudillo se ne vada”.
Si sa che la maggior parte degli articoli di un giornale non viene letta (servirebbero ore che nessun lettore ha a disposizione) e quindi il titolo deve concentrare in una battuta il cuore del contenuto e attirare l’attenzione in modo tale da invitare a leggere anche quello che c’è sotto.
Un lettore distratto, insomma, recepisce da questo titolo che la Colombia, pure avendo un governo politicamente affine a quello venezuelano (Gustavo Petro, ex guerrigliero dichiaratamente socialista), non ne può più di Maduro e gli consiglia amichevolmente di farsi da parte.
Fosse vero, sarebbe uno scoop…
Il problema è che in nessuna riga dell’intervista c’è una pur velatissima critica al governo bolivariano del Venezuela. Nulla. Anzi, c’è un profluvio di accuse agli Stati Uniti, concentrate sull’unica motivazione vera della progettata aggressione (che ha già fatto oltre 60 morti che nessuno sa se fossero narcotrafficanti, pescatori, commercianti della costa, ecc) è l’immensa disponibilità di riserve petrolifere nel Paese. Le più grandi del mondo.
Sappiamo che nei “grandi giornali” i titoli non vengono decisi dal giornalista che scrive l’articolo, ma da uno “specialista”, in genere il caporedattore del settore (“esteri”, in questo caso). Però questo dimostra che “la fattura” del giornale segue un criterio di intenzionale falsificazione della realtà. Talmente macroscopico da restituirne una virtuale che ha il solo difetto di non esistere.
Questa non è “libertà di stampa”, questo è spaccio di droga per i cervelli.
Ci si accorge della gravità del problema quando, a forza di falsificare, si finisce per credere alle cazzate che si raccontano per scopi di breve momento (l’esempio della guerra in Ucraina sta lì, ed ora che dovranno “cambiare narrazione” ne vedremo delle bellissime…). Alla fine crolla tutto.
Qui di seguito vi proponiamo tutta l’intervista, in modo che possiate verificare di persona.
P.S. Gira sempre più insistentemente la voce che Repubblica e La Stampa stiano per essere venduti ad una cordata guidata da un imprenditore greco più altri, tra cui forse anche bin Salman, principe saudita entrato nei Brics e dai metodi piuttosto sbrigativi nei confronti dei giornalisti. Chissà che ne pensano nelle due redazioni…
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La ministra colombiana “Il narcotraffico è una scusa ma il caudillo se ne vada”
Rosa Yolanda Villavicencio è un’economista di 63 anni ed è stata nominata ministra degli Esteri della Colombia quest’estate, nel mezzo dell’epoca più buia che si ricordi delle relazioni tra Bogotà e gli Stati Uniti: «Quello che Trump vuole – dice – è il petrolio. Il resto sono scuse».
L’escalation tra Stati Uniti e Venezuela è arrivata a livelli senza precedenti: come si vive la situazione da Bogotà?
«Siamo molto preoccupati perché qualsiasi tipo di intervento militare in Venezuela avrebbe un impatto molto negativo per la Colombia. Noi continuiamo a tenere alta la bandiera della necessità del dialogo politico, della soluzione negoziata per risolvere la situazione prima di arrivare a un risvolto irreversibile».
Cosa vuole Trump?
«La ragione dell’escalation ha a che vedere con il fatto che le riserve petrolifere del Venezuela sono molto appetibili per un’economia fossile come quella statunitense: gli Usa cercano riserve nella regione, e queste si trovano in Venezuela. Di qui la narrativa secondo cui il Venezuela sarebbe un Paese che non combatte abbastanza il narcotraffico. L’intervento di forza è preceduto da una serie di narrazioni costruite ad arte, come quella secondo cui esisterebbe un “Cartel de los Soles”, che in realtà non risulta rilevante ai servizi di intelligence dei diversi Paesi».
Nonostante tutto nemmeno la Colombia ha riconosciuto il risultato delle elezioni in Venezuela…
«Noi non abbiamo riconosciuto il risultato delle elezioni perché i verbali non sono comparsi e non c’erano prove, ma manteniamo una relazione con lo Stato venezuelano e soprattutto con la popolazione: abbiamo quasi 3 milioni di colombiani in Venezuela, abbiamo 2.700.000 venezuelani che vivono nel nostro Paese. Poi c’è la questione delle detenzioni illegali, su questo manteniamo un dialogo con loro affinché rilascino i detenuti».
Quanti sono i detenuti politici colombiani? Conosce il caso di Trentini?
«Ci hanno riconsegnato 18 persone, ma al momento ne abbiamo ancora 20, e sì, sono in contatto con l’ambasciatore italiano a Bogotá riguardo al cittadino italiano. Ci sono anche cittadini francesi e olandesi. È complesso».
Un attacco sembra ora inevitabile.
«È un’escalation da manuale. Prima non esisteva il cosiddetto “Cartel de los Soles”, ora esiste. Pensiamo di essere molto vicini alla possibilità di un’aggressione, e per questo continuiamo a richiamare l’attenzione della comunità internazionale. Credo che non sia come in altre occasioni: qui ci sarà una risposta militare da parte di tutta la popolazione, che la vede e la sente come un’aggressione nel proprio territorio, e ciò provocherebbe spargimenti di sangue. Inoltre genererebbe una frammentazione, un esodo massiccio della popolazione che naturalmente si riverserebbe in Colombia».
Trump è arrivato a minacciare direttamente anche la Colombia di interventi militari mirati…
«Le dichiarazioni si riferiscono alla presenza di gruppi illegali nel Catatumbo, e questa potrebbe essere una zona in cui vorrebbe intervenire, perché lì c’è presenza dell’Eln (Esercito di liberazione nazionale, gruppo paramilitare, ndr). Loro hanno detto che ciò che vogliono è rimuovere Maduro, ma logicamente una situazione del genere in Venezuela causerebbe anche in Colombia un impatto molto grande in termini economici, sociali e di instabilità politica».
A quanto pare Trump e Maduro si sono parlati, è possibile che si faccia da parte?
«Credo che sia un’ipotesi possibile e forse sarebbe auspicabile che gli Stati Uniti e il Venezuela – cioè Trump e Maduro – negoziassero una via d’uscita. E poi che da lì stabilissero condizioni che fossero accettabili per entrambe le parti. Si eviterebbe uno spargimento di sangue».
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