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L’espulsione di Mohamed Shahin è una minaccia alla libertà di espressione

La vicenda dell’espulsione dell’imam torinese Mohamed Shahin merita di essere conosciuta nei dettagli e di una mobilitazione che ne pretenda l’immediata scarcerazione dal Cpr di Caltanissetta dove è stato spedito da Torino (con un accanimento vergognoso) e la sospensione dell’espulsione decretata unilateralmente dal Ministero degli Interni.

Contro Mohamed Shahin era stata presentata una denuncia per un suo intervento durante una manifestazione per la Palestina nel quale affermava di non ritenere l’azione del 7 ottobre un atto di terrorismo. La Digos aveva trasmesso alla procura un rapporto sulle frasi pronunciate durante una manifestazione il 9 ottobre contro il genocidio dei palestinesi.

Una serie di articoli su La Stampa e i giornali di destra invocavano a gran voce provvedimenti contro l’imam della moschea di San Salvario.

La denuncia era stata però archiviata dai magistrati torinesi perché non rilevavano nessun reato.

A quel punto la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli ha chiesto e ottenuto dal ministro Matteo Piantedosi l’espulsione dell’imam, nonostante la procura non abbia rilevato alcun elemento per ipotizzare una violazione del codice penale, neanche un’istigazione a delinquere.

A carico di Mohamed Shahin era stato aperto un fascicolo “modello 45” per “fatti non costituenti notizie di reato”, poi archiviato. Quando il Viminale ha chiesto alla Procura torinese se ci fossero altre ragioni contrarie all’espulsione, come l’esistenza di importanti procedimenti a suo carico, l’autorità giudiziaria torinese ha risposto con un nulla osta. Non un’autorizzazione – precisano dagli uffici –, ma la risposta a una precisa domanda del ministero.

Primo grande risultato” ha titolato trionfalmente il 25 novembre lo storico giornale di destra Il Tempo. “L’imam di Torino Mohamed Shahin, della moschea Omar Ibn Al Khattab di via Saluzzo, ha ricevuto il decreto di espulsione per motivi di sicurezza firmato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.”

L’imam torinese è stato dunque arrestato e deportato (il termine non è esagerato) addirittura nel CPR di Caltanissetta, all’altro capo del paese. Risulta infatti strano che non ci fossero strutture più vicine.

Da allora a Torino ci sono state molte iniziative di denuncia su quanto avvenuto e di richiesta di sospensione o annullamento del provvedimento di espulsione.

E a muoversi non sono stati solo gli attivisti solidali con la Palestina ma anche il vescovo di Pinerolo Derio Olivero, Presidente della Commissione della CEI per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso che ha avuto spesso occasioni di incontro e confronto con l’imam torinese e ne disegna una figura niente affatto pericolosa.

La presa di posizione più recente è quella di quasi duecento tra docenti, ricercatori e ricercatrici di diverse università.

Noi docenti, ricercatori e ricercatrici delle università italiane esprimiamo profonda preoccupazione per la situazione di Mohamed Shahin, imam della moschea Omar Ibn al-Khattab di Torino, attualmente trattenuto nel Cpr di Caltanissetta a seguito di un decreto di espulsione emesso dal Ministero dell’Interno” scrivono in un appello diffuso in questi ultimi giorni.

Al momento sono 181 le adesioni, giunte dalle università italiane.

È noto – è scritto nel testo dell’appello – che il signor Shahin, prima del suo arrivo in Italia oltre vent’anni fa, era considerato oppositore politico del regime egiziano. La prospettiva di un suo ritorno forzato in Egitto lo esporrebbe concretamente a rischi di persecuzione, detenzione arbitraria e trattamenti inumani. Le motivazioni alla base della revoca del permesso di soggiorno appaiono collegate alle sue dichiarazioni pubbliche sulla situazione a Gaza e alle sue posizioni critiche rispetto all’operato del governo israeliano. Se così fosse, ci troveremmo di fronte a un precedente estremamente preoccupante: l’uso di strumenti amministrativi per colpire l’esercizio della libertà di opinione, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione e da convenzioni internazionali cui l’Italia aderisce”.

Nonostante l’assenza di elementi che consentano di ipotizzare reati penali, il ministro Matteo Piantedosi ha disposto il trattenimento nel Cpr che è stato poi convalidato dalla Corte d’appello di Torino.

Il rimpatrio forzato di Mohamed Shahin in Egitto metterebbe a rischio la sua incolumità per via delle sue posizioni contrarie al regime di Abdel Fattah Al-Sisi, lo stesso che da anni copre il brutale omicidio di Giulio Regeni.

“Le mie parole sono state travisate. Mi dispiace tanto. Sono un uomo di pace. Non ho un ruolo di rilievo in ambienti dell’Islam radicale, come è stato detto. Mi dispiace davvero se le mie parole sono state male interpretate. Chiedo di restare in Italia. Se verrò trasferito in Egitto, la mia vita sarà a rischio” ha fatto sapere dal Cpr in cui è detenuto Mohamed Shahin.

In sede di convalida il ministero degli interni ha contestato a Mohamed Shahin i contatti con Gabriele Delnevo, un foreign fighter italiano morto in Siria, e con Elmadhi Halili, condannato per propaganda Isis. Relativamente al primo caso Shahin ha spiegato di non conoscerlo bene. Del secondo ha spiegato di averlo visto in alcune occasioni frequentare il centro di preghiera e nulla più. Elementi che il ministero ha invece ritenuto sufficienti a ritenerlo pericoloso per lo Stato italiano.

Gli avvocati di Shahin, Fairus Ahmed Jamas e Gianluca Vitale, hanno presentato ricorsi contro l’espulsione in Cassazione, al Tribunale civile, al Tar Piemonte e al Tar Lazio.

L’accanimento nei confronti di Mohamed è il tentativo di tagliare le gambe al movimento ma soprattutto di intimidire coloro che ne fanno parte e sono più ricattabili perché senza cittadinanza o con una cittadinanza che può sempre essere revocata, noi dobbiamo rispondere alla paura con la forza della solidarietà dimostrando che uniti si può vincere” – scrive in un comunicato la rete Torino per Gaza – “La nostra risposta è uno stato di mobilitazione permanente, quotidiana, fino a quando Mohamed non sarà libero di tornare tra di noi”.

Emerge con tutta evidenza come la vicenda di Mohamed Shahin rappresenti una seria minaccia alla libertà di espressione in questo paese, una anticipazione di quelli che sarebbero gli effetti del ddl Gasparri qualora diventasse legge dello Stato anche per i cittadini italiani e non solo per quelli provenienti da altri paesi.

(foto di Chiara Su)

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