L’Italia non è un Paese dove la società civile può operare con garanzie piene, bensì uno stato in cui il diritto di protesta, di associazione e di critica incontra ostacoli sistematici. È questo il verdetto severo – ma diciamo la verità, anche prevedibile – del rapporto annuale “Power Under Attack 2025” del Civicus Monitor, un osservatorio globale che misura lo stato di salute delle libertà fondamentali in 197 nazioni.
Per la prima volta, l’Italia scivola nella fascia dei paesi con spazio civico “ostruito“. Un declassamento che ci allontana dalle cosiddette “democrazie aperte” e ci colloca sullo stesso gradino dell’Ungheria di Viktor Orbán. Lo stesso politico ungherese tacciato di essere il male profondo della UE, solo perché non si accoda alla linea guerrafondaia di Bruxelles.
Sia chiaro: siamo ben consci di quanto queste classifiche siano costruite con parametri intrinsecamente liberali, e allo stesso tempo non basta un’opposizione interessata alla guerra in Ucraina per rendere Orbán un alleato. Ma è allo stesso tempo significativo osservare come la propaganda sulla democrazia occidentale si scontri sempre più con la realtà registrata sulla base di ciò che essa stessa propugna come tratto distintivo delle nostre comunità politiche.
Non siamo di fronte a un’autocrazia compiuta, specifica il rapporto, ma a una democrazia in cui le libertà formali esistono ma inciampano in barriere legali e intimidazioni crescenti. Ad aver peggiorato nettamente il giudizio internazionale di quest’anno c’è il Decreto Sicurezza approvato lo scorso giugno.
Secondo Civicus, il provvedimento rappresenta uno spartiacque: non protegge i cittadini, ma punisce il dissenso. Le pene draconiane che sono state introdotte per forme di disobbedienza civile non violente sono un segnale preoccupante: fino a due anni di carcere per i blocchi stradali, fino a sette per chi protesta contro infrastrutture strategiche e addirittura fino a venti per la resistenza a pubblico ufficiale.
Una stretta repressiva che entra fin dentro le carceri e i Centri per il rimpatrio (Cpr), dove anche la resistenza passiva diventa penalmente perseguibile. E che si palesa anche nel controllo sull’informazione. A preoccupare gli osservatori internazionali c’è infatti anche una vera e propria normalizzazione della sorveglianza politica. Il riferimento è al caso Paragon.
Altro elemento che desta allarme è l’utilizzo temerario delle querele, attacchi mediatici alla magistratura e limitazioni all’accesso agli atti. E contro gli attivisti c’è un’inflazione di fogli di via, daspo urbani e sanzioni amministrative utilizzate come prassi per scoraggiare la partecipazione, soprattutto quando si tratta di movimenti per il clima, mobilitazioni pro-Palestina o difesa del diritto alla casa.
E l’Italia è in buona compagnia, in un trend che si può dire europeo: l’arretramento democratico si registra anche in Francia e Germania, anch’esse declassate tra le democrazie “ostruite“, rispettivamente per le limitazioni all’associazionismo e per la repressione delle piazze pacifiste.
La retorica securitaria, che trasforma problemi sociali in questioni di ordine pubblico, sta diventando – secondo Civicus ma in maniera chiara ormia per chiunque non voglia chiudere gli occhi – un linguaggio politico comune nel Vecchio Continente.
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Giuseppe
Orban ha una politica interna molto discutibile. Ed una politica estera migliore di tanti altri. Questo lo avvicina a Berlusconi, pessimo per politica interna e molto più avveduto dei suoi avversari per politica estera. Entrambi sarebbero stati dei buoni ministri degli esteri più che primi ministri.