Menu

Italia, lo spazio civico sotto pressione: quando la sicurezza diventa repressione

Il declassamento dell’Italia a paese con “spazio civico ostruito” nel rapporto Power Under Attack 2025 del Civicus Monitor non è un fulmine a ciel sereno, ma il punto di arrivo di un processo lungo e ormai strutturale. Secondo l’osservatorio internazionale, che analizza lo stato delle libertà fondamentali in 197 paesi, il nostro non è più uno spazio democratico pienamente garantito, bensì un contesto in cui il diritto di protesta, di associazione e di espressione incontra ostacoli sistematici.

Il giudizio è severo, ma difficilmente sorprendente. La categoria “ostruito” non indica una dittatura conclamata, bensì una democrazia in cui le libertà formali sopravvivono tra vincoli normativi, pratiche intimidatorie e un uso sempre più disinvolto degli strumenti repressivi. È in questa zona grigia che oggi si colloca l’Italia, accostata a paesi come l’Ungheria di Viktor Orbán, spesso indicata come l’anomalia autoritaria dell’Unione Europea.

Il Civicus Monitor basa le proprie valutazioni su una pluralità di fonti: organizzazioni della società civile, osservatori indipendenti, analisi giuridiche e dati sul campo. I parametri presi in considerazione sono chiari e difficilmente contestabili: libertà di espressione, di manifestazione e di associazione. Il loro deterioramento, secondo il rapporto, è legato in Italia a una combinazione di scelte legislative, clima politico e pratiche amministrative che hanno progressivamente ristretto lo spazio del dissenso.

Un ruolo centrale in questo arretramento è attribuito al cosiddetto Decreto Sicurezza, approvato nel giugno scorso. Presentato come uno strumento di tutela dell’ordine pubblico, il provvedimento introduce invece un inasprimento senza precedenti delle pene per forme di protesta non violenta. Blocchi stradali, manifestazioni contro infrastrutture strategiche, resistenza – anche passiva – a pubblico ufficiale diventano reati puniti con anni di carcere. La logica non è quella della mediazione democratica del conflitto, ma della sua neutralizzazione penale.

La stretta repressiva non si limita allo spazio pubblico, ma si estende a carceri e Centri di permanenza per il rimpatrio, dove anche atti di resistenza non violenta possono essere perseguiti penalmente. Un segnale chiaro: il dissenso non va ascoltato, ma scoraggiato.

A questo quadro si aggiunge un altro elemento di forte allarme: la normalizzazione della sorveglianza politica. L’uso dello spyware Graphite, prodotto dalla società israeliana Paragon Solutions, per attività di monitoraggio illegale nei confronti di giornalisti e attivisti rappresenta una grave compromissione del diritto alla critica e alla libera informazione. Quando chi indaga il potere viene sorvegliato dal potere stesso, il confine tra sicurezza e abuso si dissolve.

Il rapporto Civicus segnala inoltre un clima ostile nei confronti della stampa e della magistratura. I giornalisti sono sempre più spesso bersaglio di querele temerarie e procedimenti giudiziari utilizzati come strumento di intimidazione. Parallelamente, esponenti di governo alimentano campagne di delegittimazione contro i giudici, accusati di parzialità politica o di collusione con le organizzazioni non governative. Un doppio attacco che mina due pilastri fondamentali di qualsiasi sistema democratico.

La criminalizzazione della protesta colpisce in modo selettivo. Nel mirino finiscono soprattutto i movimenti per la giustizia climatica, le ong impegnate nel soccorso in mare delle persone migranti, le mobilitazioni in solidarietà con il popolo palestinese e le lotte per il diritto alla casa. Fogli di via, daspo urbani e sanzioni amministrative diventano strumenti ordinari di gestione del dissenso, più che eccezioni motivate.

Il caso italiano, tuttavia, non è isolato. Anche Francia e Germania sono state recentemente declassate, segno di un arretramento più ampio dello spazio civico in Europa. La crescente militarizzazione delle politiche pubbliche, alimentata da un contesto internazionale segnato da conflitti e riarmo, contribuisce a restringere gli spazi democratici. La sicurezza diventa una parola d’ordine che giustifica la compressione dei diritti, trasformando problemi sociali e politici in questioni di ordine pubblico.

In questo scenario, la retorica della “democrazia occidentale” mostra tutte le sue contraddizioni. I parametri liberali su cui essa si fonda vengono progressivamente svuotati proprio nei paesi che se ne proclamano custodi. Il declassamento dell’Italia non è solo una bocciatura internazionale, ma uno specchio che riflette una verità scomoda: la partecipazione democratica è sempre meno tollerata quando mette in discussione scelte politiche considerate intoccabili.

La domanda che resta aperta non riguarda tanto le classifiche, quanto il futuro dello spazio civico nel nostro paese. Se il dissenso viene trattato come una minaccia e non come una risorsa, la democrazia rischia di sopravvivere solo come forma, perdendo progressivamente la propria sostanza.

* da Osservatorio Repressione

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *