“Sono in conflitto di interesse, ma vi dico chiaramente che se c’è un momento in cui bisogna investire sulla difesa, è questo, perché non sta finendo la guerra, sta iniziando la guerra nuova. (…) Dobbiamo mettere su queste tecnologie (gentilmente offerte da Leonardo, ndr), sennò ci sterminano…
Da Mosca a Roma in tre minuti arriva un missile non ipersonico balistico che porta più di una testata nucleare. Per riconoscere la minaccia e valutarla ci vogliono 12 minuti, neanche il tempo di salutare i familiari… Ho paura come padre di tre figli, come cittadino, come europeo.”
Questo è un estratto dalle ultime farneticazioni apocalittiche di Roberto Cingolani, l’ad di Leonardo.
Cingolani, dopo una carriera accademica come ricercatore e professore universitario, è diventato man mano uno dei più potenti lobbisti della Difesa e dei più spericolati trasformisti in circolazione: appena 3 anni fa era ministro della Transizione ecologica (benedetto anche da Grillo) nel governissimo tecnopolitico dell’ammucchiata Draghiana.
Da un paio d’anni è l’ad di Leonardo SpA e Senior Board Director del NATO Innovation Fund (perfino nel PD si levarono critiche su questa nomina).
Peccato che sia stato recentemente calcolato che il riarmo folle della Nato produrrà in media un aumento di 200 milioni di tonnellate di emissioni l’anno. No problem, dalla “green economy” alla “war economy”, per il Nostro, è stato un attimo.
L’acrobatico ex ministro ora lavora per la “transizione bellica” dell’economia perché ha capito che garantisce extraprofitti molto più alti di quella green e poi chissà, potrà sempre lanciare i “cingolati elettrici di cingolani” per ricomporre le sue divergenti passioni.
Ma il dramma è un altro e riguarda il cortocircuito perverso che si è instaurato tra l’attuale irresistibile propulsione speculativa e finanziaria del riarmo e le complicate manovre con cui Trump e Putin stanno cercando di trovare un compromesso negoziale, nonostante l’ostruzionismo europeo, per porre fine all’immane carneficina di questa sporca guerra (si parla di 1.600.000 giovani militari uccisi in 4 anni).
Ebbene 3 settimane fa fu sufficiente l’annuncio del piano di pace americano che il titolo di Leonardo perse il 4% del suo valore a Piazza Affari. A quel punto i “No Pax” di Leonardo si sono attivati e hanno rilanciato una “strategia della tensione” sia sul piano della comunicazione alzando i toni apocalittici sulla guerra imminente e sulla incombente invasione russa, sia in termini di trattative e accordi commerciali con Kiev sulla coproduzione di armi.
Il ministro degli esteri ucraino Sibiha in visita in Italia con Zelensky ha confermato esplicitamente che Kiev vuole avviare una coproduzione di droni con l’azienda italiana: “Sì, siamo pronti a coprodurre, condividendo esperienza e tecnologie con l’Italia”, ha dichiarato. “La cooperazione industriale deve essere un vantaggio per entrambi”. E sottolinea come per Kiev sia strategico “diversificare” la produzione militare all’interno dell’Europa.
Il tema sarebbe già stato affrontato nel bilaterale tra Zelensky e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Tra le ipotesi sul tavolo c’è anche quella di “localizzare parte della produzione direttamente in Italia”. In una intervista al Messaggero, dopo aver confermato la trattativa in corso, il ministro aggiunge: “I prodotti possono essere testati sul campo di battaglia, questo garantisce qualità”.
Musica per le orecchie di Leonardo ma anche di Rutte, Ursula, Kallas e degli eurovolenterosi-per-la-guerra.
In pratica Leonardo SpA finanziariamente cresce quando il clima di tensione bellica viene artatamente surriscaldato, quando i falchi di Nato e Ue alzano il livello dell’allarmismo emergenziale e delle loro provocazioni (come i continui “prepariamoci alla guerra”, l’ipotesi degli “attacchi preventivi” di Cavo Dragone o i “piani segreti” antirussi della Germania lasciati trapelare) o quando evocano attacchi imminenti del nemico russo (“siamo il prossimo bersaglio”,”Dopo l’Ucraina Putin punterà ai paesi dell’Est Europa e infine colpirà noi”).
Viceversa Leonardo SpA decresce quando ci si avvicina alla pace, quando progrediscono i tavoli negoziali, quando sembra si concretizzi un accordo o si possa finalmente raggiungere un compromesso.
Questa logica infame vale per tutte le aziende del settore attualmente in piena euforia speculativa e furia produttiva. La differenza da altre multinazionali degli armamenti sta nel fatto che Leonardo è un’azienda a controllo pubblico, di cui lo Stato italiano è il principale azionista (e dunque il governo, lo stesso in cui l’ex consulente di Leonardo Crosetto è ministro della Difesa).
Dunque nel suo caso lo slancio produttivo in ambito tecnologico-militare viene incentivato dai colossali ordinativi di Stato, ovvero grazie alla più imponente operazione di esproprio di denaro pubblico e drenaggio di risorse dal welfare al warfare che si ricordi in Italia dalla nascita della Repubblica.
Eppure – contrariamente a quanto martellato dalla litania propagandistica sulla “deterrenza” – questo investimento al netto degli extraprofitti che garantisce agli azionisti dell’azienda e ai suoi manager produrrà – in concorso con lo sforzo produttivo generale del settore europeo e americano – solo un aumento della instabilità generale, un ulteriore controriarmo della Russia (e della Cina), una percezione comune sempre più alta del pericolo di guerra con tutti i contraccolpi economici sul livello dei consumi e del congelamento di risparmi che ogni clima di terrore e di guerra fredda porta con sé (che innescherà ulteriore calo della domanda, + recessione, aumento dei prezzi, + depauperamento dei ceti medio-bassi e quindi – secondo il più classico dei circoli viziosi – ulteriore necessità di drogare il sistema economico con “terapie anticicliche” garantite da un riarmo costante e crescente che – come la storia insegna – avvicinerà sempre di più la prospettiva della guerra calda).
E non sto a parlarvi della complicità di Leonardo con il business del genocidio palestinese e della distruzione di Gaza perché questo collegamento lo ha già chiarito Francesca Albanese con accuse mirate, circostanziate e documentate.
Ora capite perché Leonardo non è quel fiore all’occhiello dell’industria italiana che viene decantato da molti in Italia (e perfino da Ursula Bomber Leyen qualche tempo fa a proposito dei benefici economico-produttivi del piano di riarmo per l’Italia) ma uno dei cancri del nostro Paese?
* da Facebook. Cingolani fu molto discusso dal mondo accademico al momento della sua nomina a direttore scientifico dell’IIT, cui improvvisamente arrivavano fiumi di soldi mentre la Ricerca italiana subiva nuovi tagli… PdC era Berlusconi. Renziano di ferro della prima ora, a capo di Leonardo ce l’ha messo la Meloni appena diventata PdC nel 2023.
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