Menu

L’emergenza abitativa in Italia è strutturale, serve un cambio di paradigma

Nel 2024, circa il 5,1% della popolazione – più di 3 milioni di individui – viveva in condizioni di sovraccarico dei costi abitativi, ovvero spendendo oltre il 40% del proprio reddito netto per il mantenimento dell’abitazione. Sebbene in calo rispetto all’8,7% del 2019, il dato resta fortemente preoccupante.

Secondo l’Istat le criticità maggiori si osservano tra le persone sole, in particolare quelle con meno di 65 anni, dove la percentuale raggiunge il 19,9%. Anche i nuclei monogenitoriali risultano significativamente colpiti (7,1%), sebbene si registri una diminuzione rispetto al 2019 (meno 4,8 punti percentuali).

In generale, il sovraccarico abitativo è più diffuso tra i giovani: le famiglie in cui il percettore principale di reddito ha meno di 35 anni registrano un’incidenza del 7,6%, mentre tra gli over 65 la quota scende al 4,6%. Questi dati confermano l’esistenza di una correlazione tra disagio abitativo e precarietà economica.

Attualmente (con riferimento su dati del 2023), circa un decimo della popolazione italiana, pari a quasi 6 milioni di persone, si trova in condizioni di povertà assoluta1. Il lavoro intermittente, i salari bassi e la diffusione di contratti atipici rappresentano, infatti, fattori che compromettono gravemente la possibilità di condurre una vita dignitosa, alimentando una spirale di impoverimento che investe soprattutto giovani e famiglie con figli.

Tutti i dati confermano la crisi della condizione abitativa nel paese

Nel Rapporto Caritas 2025 viene ribadito che la questione abitativa coinvolge un numero crescente di famiglie, le quali si trovano in difficoltà sia nel reperire un alloggio dignitoso, sia nel mantenerlo. Le cause della crisi abitativa sono molteplici e interconnesse: tra queste si evidenziano l’aumento dei canoni di locazione, la cronica carenza di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP), la diffusione degli affitti brevi a fini turistici – particolarmente impattanti nei grandi centri urbani – e la stagnazione salariale in un contesto occupazionale sempre più frammentato e precario.

Le categorie sociali più colpite dal disagio abitativo si presentano estremamente eterogenee. Si va dai giovani adulti che faticano a emanciparsi dalla famiglia di origine, alle famiglie monoreddito, passando per cittadini stranieri, nuclei in situazione di vulnerabilità economica, persone con disabilità o con fragilità socio-sanitarie. Ciò che accomuna questi gruppi è l’impossibilità di accedere al mercato abitativo tradizionale, caratterizzato da dinamiche sempre meno inclusive.

Un importante riferimento teorico ripreso dal Rapporto Caritas 2025 è la classificazione ETHOS2, elaborata dalla Federazione Europea delle Organizzazioni Nazionali che lavorano con i senzatetto (FEANTSA). Tale modello propone una tipologia articolata delle forme di esclusione abitativa, evidenziando come il diritto alla casa debba essere interpretato secondo una triplice dimensione: fisica, sociale e giuridica. L’assenza di uno di questi elementi comporta, secondo ETHOS, una condizione di disagio abitativo rilevante.

La classificazione consente di distinguere tra quattro macro-categorie di grave esclusione abitativa, che vanno dalla mancanza totale di un tetto alla condizione di insicurezza e inadeguatezza abitativa. L’adozione di tale paradigma rappresenta oggi il principale punto di riferimento a livello europeo per l’analisi della questione abitativa in termini di diritti fondamentali e inclusione sociale.

Un importante contributo istituzionale al tema è rappresentato dalla Delibera n. 59 della Corte dei Conti, approvata il 5 dicembre 2024. La relazione, che analizza lo stato di attuazione del PNRR con dati aggiornati al 31 ottobre 2024, dedica un’intera sezione – oltre 40 pagine – al disagio abitativo e alle politiche di edilizia pubblica.

Nel documento si evidenzia come, negli ultimi decenni, in Italia si sia assistito a un progressivo arretramento delle politiche abitative. Si registra un disinvestimento sostanziale nell’edilizia sociale, accompagnato da una distribuzione disomogenea delle risorse a favore delle famiglie a basso reddito. Il Rapporto Caritas viene citato per confermare non solo la scarsità dei fondi pubblici destinati alla casa, ma anche la frammentarietà della normativa in materia.

Pur riconoscendo che il PNRR e il Piano Nazionale Complementare abbiano introdotto alcune misure significative, la Corte osserva che queste si sono concentrate prevalentemente sulla riqualificazione degli spazi esistenti e sulla manutenzione del patrimonio di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP). La costruzione di nuovi alloggi è prevista in misura limitata e solo nell’ambito dell’edilizia sociale, che, seppur utile, non può sostituire la funzione strategica dell’ERP nella risposta strutturale alla domanda abitativa.

Le conclusioni della Corte sono inequivocabili: la questione abitativa, pur essendo entrata nella programmazione del PNRR, difficilmente potrà conoscere una vera inversione di tendenza se non verrà affrontata con un approccio più sistemico e incisivo.

Il 17° Rapporto sull’Abitare, pubblicato da Nomisma nel 2024 in collaborazione con CRIF e Confindustria, fornisce un ulteriore approfondimento sulle condizioni del mercato immobiliare italiano. Il report evidenzia che la domanda sostenuta nel mercato della locazione ha determinato una nuova crescita dei canoni (+3,4% nell’ultimo anno). Tuttavia, tale incremento è inevitabilmente condizionato dalla capacità di spesa delle famiglie, che negli ultimi anni è stata messa a dura prova.

L’inflazione ha eroso il reddito disponibile, rendendo sempre più difficile per le famiglie italiane – in particolare per quelle unipersonali e numerose – far fronte ai costi abitativi. Tre famiglie su cinque dichiarano che il proprio reddito è insufficiente o appena adeguato a coprire le spese primarie. Di conseguenza, l’acquisto della casa diventa un obiettivo sempre più irraggiungibile, e anche il mantenimento della locazione rappresenta un impegno economico gravoso.

Il quadro tracciato da Nomisma è coerente con quanto riportato dalle fonti precedenti: la casa si configura come un bene “impossibile” per una quota crescente della popolazione, e il disagio abitativo, in assenza di interventi pubblici efficaci, rischia di cronicizzarsi.

La riduzione dei fondi statali per il sostegno alla condizione abitativa

Fondo per la morosità incolpevole, istituito con l’art. 6, comma 5, del decreto-legge n. 102 del 2013. Il fondo, destinato agli inquilini impossibilitati a pagare l’affitto per cause indipendenti dalla propria volontà, ha ricevuto risorse pari a 9,5 milioni di euro nel 2020 e 50 milioni nel 2021. Tuttavia, a partire dal 2022, non ha più beneficiato di stanziamenti nel bilancio statale, fino al rifinanziamento previsto dalla legge di bilancio 2025 (L. n. 207/2024), che ha destinato 10 milioni per il 2025 e 20 milioni per il 2026.

Fondo per il contrasto al disagio abitativo”, istituito dalla legge di bilancio 2024. Tale fondo prevede una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2027 e 2028 e contempla l’adozione di un Piano Nazionale – denominato “Piano Casa Italia” – volto alla sperimentazione di modelli innovativi di edilizia residenziale pubblica, da attuarsi mediante un decreto ministeriale adottato in accordo con la Conferenza Unificata.

Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione, istituito con l’art. 11 della legge 431/1998. Per gli anni 2020–2022, il fondo ha beneficiato di significativi incrementi: da 50 milioni iniziali si è passati a 160 milioni (2020–2021) e 180 milioni (2022), per un totale di oltre 4 miliardi di euro spesi dalla sua istituzione. Tuttavia, a partire dal 2023, anche questo fondo è stato escluso dal bilancio statale, generando un evidente vuoto nella continuità degli interventi.

L’emergenza abitativa nelle aree metropolitane

Da un lato, si assiste allo spopolamento progressivo dei piccoli centri, in particolare delle aree montane e rurali; dall’altro, si registra un forte incremento della pressione abitativa nelle grandi metropoli, dove si concentrano le opportunità occupazionali, educative e sanitarie.

Questa polarizzazione ha prodotto un’emergenza abitativa che si è aggravata nel tempo anche a causa di precise scelte politiche. Dopo il grande piano casa Fanfani degli anni ’50 e ’60, l’Italia ha abbandonato una visione strategica sull’edilizia pubblica, privilegiando la liberalizzazione del mercato e la privatizzazione del patrimonio. L’abrogazione dell’equo canone, l’indebolimento degli enti previdenziali pubblici – che storicamente svolgevano una funzione calmieratrice – e l’incentivazione della rendita immobiliare privata hanno determinato un progressivo smantellamento della funzione pubblica dell’abitare.

Oggi, oltre 650.000 famiglie risultano in graduatoria per un alloggio popolare, mentre si contano circa 2,5 milioni di sfratti negli ultimi vent’anni. Le città sono sempre più trasformate in poli attrattivi per il turismo, con un’offerta residenziale ridotta e rincarata, costringendo i residenti in condizioni economiche svantaggiate a spostarsi in periferie sempre più marginalizzate.

Non c’è soluzione alla crisi abitativa senza l’intervento pubblico

Il quadro che emerge da questa analisi è chiaro: il diritto all’abitare in Italia è sotto pressione, minacciato da anni di disinvestimento pubblico, da politiche frammentarie e da un mercato sempre più escludente. La crisi abitativa non è soltanto una questione di povertà, ma un indicatore della fragilità del patto sociale e della debolezza dell’intervento pubblico in settori essenziali.

È necessario avviare una nuova stagione di politiche strutturali per l’abitare, capaci di ricostruire una visione organica del rapporto tra cittadino e territorio. Tra le priorità si impongono:

  • un piano nazionale pluriennale per l’ampliamento dell’ERP;

  • una riforma della legge sugli affitti che leghi il canone alla capacità economica dell’inquilino;

  • la riattivazione di strumenti finanziari permanenti come un fondo Gescal moderno;

  • una regolamentazione degli affitti brevi nelle aree urbane in tensione abitativa;

  • una strategia di rigenerazione urbana che coniughi riuso, sostenibilità e accessibilità.

  • In assenza di un impegno sistemico e continuativo, il disagio abitativo rischia di trasformarsi in un fattore strutturale di esclusione sociale. Garantire a tutte e tutti il diritto a una casa adeguata, accessibile e sicura è condizione necessaria per il rafforzamento della democrazia e della coesione nazionale. Come ammonito anche dalle Nazioni Unite, non si tratta più di una questione tecnica o amministrativa, ma di un diritto umano fondamentale.

* Paola Palmieri è la rappresentante dell’USB nel Cnel. Quella pubblicata è una sintesi del Focus presentato al Cnel nel quadro della Relazione Generale al Parlamento)

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *