E’ l’esito di una ricerca condotta dai ricercatori dell’ ISPA (Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari) del CNR per valutare l’attività in vitro di componenti antimicrobici contro la Xylella fastidiosa.
I test biologici hanno rivelato diverse informazioni sull’influenza esercitata dagli antibiotici usati sulla crescita del batterio della Xylella, ma il risultato più incoraggiante è stata riscontrata nell’attività antagonista nei confronti della Xylella da parte di alcuni composti fungini che il team di ricercatori ritiene possono essere oggetto di ulteriori ricerche per il trattamento preventivo e curativo di piante di ulivo malate o a rischio di sindrome da declino rapido.
La ricerca è stata pubblicata a fine dicembre 2017 e diffusa nel mese di marzo 2018 proprio mentre il ministro Martina firmava il decreto che prevede l’eradicazione di tutti gli alberi di ulivo nel raggio di 100 metri da alberi infetti, il diserbo dei terreni entro il 30 aprile e quattro trattamenti chimici nei mesi di maggio, giugno, settembre e dicembre.
Il decreto consiglia l’utilizzo di Acetamiprid e di Imidacloroprid, molecole che oltre a causare la morte di tutti gli insetti impollinatori sono considerati potenti neurotossici e sono stati banditi dall’Unione Europa ad aprile 2018 – un mese dopo il decreto Martina e con voto favorevole dell’Italia – con possibilità di utilizzo limitato alle serre senza contatto con le api. In una regione già devastata dall’inquinamento si impone un insetticida neurotossico vietato dall’UE con sicure ripercussioni sulla biodiversità degli insetti impollinatori e sulla produzione di frutti nei prossimi mesi.
Nel frattempo il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano chiede a Gentiloni, capo del governo ad interim, strumenti legislativi per procedere con più forza alla eradicazione di ulivi superando certi “impicci di natura giuridica” con chiaro riferimento al pronunciamento del Tar di Puglia che ha accolto il ricorso di un olivicoltore che chiede che si verifichi il carattere di monumentalità degli alberi prima dell’eradicazione.
Emiliano teme le sanzioni dell’UE e vantando di aver eradicato più ulivi dei commissari mandati precedentemente dal governo a gestire l’affare xylella, dichiara che non considera l’abbattimento degli alberi l’unica soluzione possibile “ma l’adempimento alle leggi viene prima di tutto”. Quella che tutela gli ulivi secolari evidentemente vale meno delle altre, meno dei piani europei e meno dei decreti ministeriali che impongono l’uso di insetticidi vietati dall’UE.
Quello che pare evidente è che di patogeni a distruggere il nostro ambiente, le nostre coltivazioni e a minare la nostra salute ce ne sono tanti ed i più pericolosi sono quelli istituzionali. La microbiologia ci insegna, e la ricerca lo conferma, che l’attività patogena si combatte coltivando forme fermentative antagoniste ai patogeni che tendono a prevalere e a ridurre la biodiversità delle comunità batteriche. E questa sembra essere l’unica soluzione sia per la Xylella che per la politica italiana.
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Danilo Pianini
Ahemmm, no.
Chi ha scritto l’articolo mostra una vasta incompetenza scientifica. Dall’efficacia in vivo (non ancora riprodotta) ad una cura ci passa TANTISSIMO. Sapete cos’è estremamente efficace in vitro? Passare con una fiamma sulle colonie batteriche. Vuol dire che abbiamo una cura per la Xylella? NO. ASSOLUTAMENTE NO.
Dire che si può fermare il piano emergenziale di eradicazione perché c’è uno studio dove in vitro si è trovato un fungo che forse può essere studiato per avere in futuro una cura per la Xylella è un’assurdità, equivale a non amputarsi un arto incancrenito perché è uscito uno studio dove si è trovata una radice che produce una sostanza dalla quale si potrebbe provare a realizzare un farmaco che inverte il processo. Servono anni di ricerca, e la probabilità di riuscita è estremamente bassa. L’infezione c’è ADESSO.
Nessuno vuole perdere un arto, ma qua le possibilità sono due: o quello, o tutto.
Già la diffusa miopia ed ignoranza scientifica ha portato a ricorsi ed altre mosse burocratiche col risultato che, invece di doversi amputare un dito, siamo a dover amputare al livello del gomito. Spingete per ulteriori ritardi e manovre, bravi furbi, e fra poco non ci sarà eradicazione che possa contenere il batterio.
Sarebbe bene che, prima di scrivere articoli del genere, l’autore si facesse (e facesse ai lettori) il piacere di contattare gli autori dello studio originale per farsi spiegare i risultati in modo chiaro.
Danilo Pianini
Pardon, prima riga: “dall’efficacia in vivo” –> “dall’efficacia in VITRO”