Non poteva mancare la gioia degli avvoltoi. La sentenza sulla morte di Stefano Cucchi è fin troppo ovviamente del tutto contestabile (basta guardare l’imbarazzo palese dei media mainstream, anche loro alquanto increduli). Ma ai “sindacalisti” del Sap – polizie di vario ordine e grado – non basta. Potevano gioire in silenzio, celebrare in qualche assemblea al coperto il “ritorno dei colleghi”. E invece no. Mandano un comunicato che è un annuncio di guerra ai border line e una pretesa di impunità futura davvero preoccupante; in fondo, per quanto appaia impossibile, si tratta di membri di un corpo dello Stato dotato di armamento. Leggiamo:
“Tutti assolti, come è giusto che sia – ha affermato Gianni Tonelli, segretario generale del sindacato di polizia Sap – In questo Paese bisogna finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità. Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze. Senza che siano altri, medici, infermieri o poliziotti in questo caso, ad essere puniti per colpe non proprie”.
Difficile non vedere nell’espressione (“chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità. Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze”) il riassunto delle tante uccisioni, in caserma o nelle strade, operate dalle cosiddette “forze dell’ordine”. Difficile non vedere i volti di Magherini, Aldrovandi, Ferulli, Uva e altre decine di persone che si sono viste uccidere da uomini armati che ritenevano di avere su di loro un potere assoluto o – nella migliore delle ipotesi – incapaci di gestire un caso che avrebbe semmai richiesto l’intervento di un medico.
Non inganni il tono moralistico (“se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze”), perché qui non stiamo parlando di persone uccise dal freddo o cadute in un fosso, da ubriachi o sotto effetto di droghe. Stiamo parlando di persone uccise di botte, soffocate a terra dalla pressione di quattro o cinque “agenti” o con cento altre “tecniche di ingaggio” decisamente sopra le righe. In quelle parole del rappresentante del Sap c’è il rovesciamento completo delle responsabilità della morte sugli uccisi.
Sarebbe banale infatti constatare che persone che fanno abuso abitualmente di droghe o di alcool hanno un fisico indebolito, meno resistente alle “pressioni” abituali in personale di polizia con propensioni ad un “uso eccessivo della forza”. Questo lascerebbe aperto comunque un contenzioso anche giudiziario tra “debolezza fisica” autoprocurata dalla vittima e, appunto, “uso eccessivo della forza”.
Il segretario del Sap pretende molto di più: che tutta la popolazione riconosciuta come border line dallo sguardo “professionale” del primo poliziotto che passa sia automaticamente considerata responsabile della propria eventuale morte nel contatto con le “forze dell’ordine”. Chiede insomma un’assoluzione preventiva per tutte le uccisioni che ci saranno in futuro. E che non potranno non aumentare se sentenze come quella di ieri diventeranno la norma. Chiede un diritto di vita e di morte insindacabile, anche dalla magistratura. Una sottrazione alle leggi ordinarie dello Stato che sono stati chiamati a difendere. Una collocazione al di sopra della legge, uno status da untouchables.
Scandaloso? Certo. Ma sono parole di uno che sa perfettamente cosa significa – tecnicamente, nella pratica quotidiana – un’assoluzione come questa. Che ha capito anche bene cosa significa, politicamente, ricevere l’ordine di caricare degli operai guidati da Cgil-Cisl-Uil. Ma pretende dal potere politico e quello giudiziario un più chiaro e definitivo “ordinamento legislativo” che fissi – nero su bianco – l’impunità totale per le violenze commesse “in servizio”.
Non sia mai detto che un giudice perbene – uno di quelli realmente convinto che “la legge è uguale per tutti” – apra in futuro un fascicolo a carico di qualche divisa senza onore.
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