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Il tribunale di Haifa: «Corrie se l’è cercata»

 

È stato un incidente e, in ogni caso, quella ragazza americana se l’è cercata. La colpa è soltanto sua. Qualcuno la giudicherà una semplificazione, eppure è questo il succo della sentenza pronunciata ieri dal giudice Oded Gershon, della corte distrettuale di Haifa. Sentenza che reputa «uno spiacevole incidente» l’uccisione avvenuta a Rafah (Gaza) il 16 marzo 2003 della giovane attivista americana Rachel Corrie dell’International Solidarity Movement.
Schiacciata da una gigantesco bulldozer dell’esercito israeliano mentre, pacificamente, faceva da scudo ad un’abitazione palestinese sul punto di essere demolita. Gershon ha negato la negligenza dello Stato o dell’esercito israeliano. L’«incidente», ha detto, si è verificato «in tempo di guerra» e durante «un’attività di combattimento». Ha perciò ricordato un attacco che avrebbero subito i militari israeliani, nella stessa zona, nelle ore precedenti l’uccisione di Corrie. La giovane, ha affermato il giudice, ha ignorato il pericolo, e avrebbe potuto salvarsi allontanandosi dalla zona , «come ogni persona di buonsenso», quindi «si mise da sola in una situazione pericolosa» e la sua morte fu «il risultato di un incidente che lei stessa aveva attirato su di sé». Insomma, la colpa è solo della vittima. Il giudice israeliano invece ha dato pienamente ragione alle forze armate e all’autista del bulldozer che ha dichiarato di «non aver visto la ragazza».
Dopo la lettura del verdetto, Cindy Corrie, la madre della pacifista si è detta «profondamente dispiaciuta» per la sentenza della Corte di Haifa. «Siamo profondamente rattristati e dispiaciuti per quello che abbiamo sentito da parte del giudice Oded Gershon…Credo che sia stata una brutta giornata, non soltanto per la nostra famiglia ma anche per i diritti umani, lo stato di diritto e Israele», ha affermato. E’ intervento anche l’avvocato della famiglia, Abu Hussein, per sottolineare che i giudici israeliani ancora una volta hanno dato ragione ai militari. «Sapevamo dall’inizio che si trattava di una battaglia in salita per ricevere risposte sincere e giustizia, questo verdetto distorce le prove presentate alla corte», ha denunciato.
Ora i genitori di Rachel valuteranno un ricorso alla Corte suprema israeliana. Ma sono minime le possibilità che la loro azione legale abbia un risultato diverso dalla sentenza pronunciata dalla corte distrettuale di Haifa. I precedenti dicono che anche i massimi giudici israeliani, quando sul tavolo ci sono questioni di sicurezza e l’operato dell’esercito, danno sempre ragione alle forze armate. Le eccezioni sono state rarissime. In ogni caso la sentenza di ieri riafferma ancora una volta l’urgenza che i casi di possibili crimini di guerra commessi nei Territori occupati vengano giudicati in sede internazionale e non dai giudici delle parti in conflitto. La rabbia dei compagni e dei famigliari della giovane attivista dell’Ism è acuita da quella che denunciano come un’indagine «parziale e incompleta» svolta dalle Forze Armate israeliane, che non ha tenuto in alcun conto delle testimonianze offerte da vari volontari stranieri. Forti dubbi sull’inchiesta erano stati espressi qualche giorno fa anche dall’ambasciata americana a Tel.
Rachel Corrie, assieme ad altri internazionali cercavano di impedire, pacificamente e soltanto con la loro presenza, la distruzione di case palestinesi (ne furono abbattute 1.700 in quattro anni) nella zona di Rafah, a sud di Gaza. Un testimone dell’evento, Richard Purssell, ha raccontato che «Rachel era su una montagna di terra, proprio davanti al finestrino del conducente (del Caterpillar D9-R). Mentre la pala spingeva il cumolo, lei è scivolata. Forse è rimasta intrappolata con un piede. Il conducente non si è fermato: le è passato sopra, e poi è anche tornato indietro». Un altro testimone, Tom Dale, ha aggiunto: «Il bulldozer avanzava lentamente. Quando lei è scivolata tutti noi abbiamo urlato all’autista del bulldozer di fermarsi ma chi guidava ha proseguito». Secondo questi e altri testimoni l’autista del bulldozer era costantemente seguito da altri militari, possibile che nessun di loro abbia visto Rachel davanti alla ruspa?
La sentenza ha fatto il giro della rete, è stata commentata in ogni angolo del pianeta, ad eccezione di Israele. Giornali e siti hanno ripreso la notizia, in particolare il quotidiano Haaretz. Invece l’opinione pubblica israeliana si è disinteressata della giovane americana morta nove anni fa, peraltro messa in cattiva luce dal suo impegno a favore dei diritti dei palestinesi. Anzi Gerald Steinberg, un docente universitario di destra che passa il tempo a monitorare le attività di associazioni e Ong straniere nei Territori occupati, ha diffuso un comunicato di condanna dell’Ism, accusato di essere «l’unico responsabile» della morte di Rachel.

*il manifesto del 29 agosto 2012

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