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Perché un universo a geometria curva può mettere in crisi l’intera cosmologia contemporanea?

Il 4 novembre 2019 è stato pubblicato su Nature un articolo dal titolo molto significativo: Planck evidence for a closed Universe and a possible crisis for cosmology (evidenze di Planck per un universo chiuso e possibile crisi della cosmologia). Il lavoro, con firma di E. Di Valentino, A. Melchiorri[1] e J. Silk, si basa sull’analisi dei dati rilasciati dal satellite Planck nel 2018 ed ha profonde implicazioni sulle nostre attuali conoscenze cosmologiche, poiché suggerisce che le più recenti misure siano compatibili con un universo curvo, anziché piatto come si era ritenuto finora.

Che forma, o meglio, che proprietà geometriche ha l’universo? Questa domanda, posta nella sua accezione moderna, affligge i cosmologi da decenni, almeno dagli anni Venti, ovvero da quando il matematico russo Aleksandr Friedman trovò una soluzione alle equazioni della Relatività generale di Einstein in grado di descrivere i possibili scenari evolutivi del cosmo.

Dato uno spazio tridimensionale, è concettualmente molto semplice capire come è fatta la sua geometria. È sufficiente infatti considerare tre punti molto lontani e congiungerli in modo da formare un triangolo. Se la somma degli angoli interni del triangolo è pari a 180 gradi, lo spazio è piatto, la geometria euclidea. Ciò costituisce una proprietà intrinseca dello spazio stesso: disegnare un triangolo su un foglio di carta ben schiacciato su un tavolo ci garantisce sempre che il risultato sia pari all’angolo piatto. Se la somma degli angoli interni supera i 180 gradi, si dice che l’universo ha una curvatura positiva, cioè si richiude in sé stesso, come una sfera o un pallone. Se il totale è invece inferiore a 180 gradi, allora l’universo è negativamente curvo, aperto, con aspetto simile a quello di una sella.

Figura 1. Tre tipi di spazi bidimensionali, a curvatura positiva, negativa e nulla partendo da sinistra.

Un esperimento ideale che si pone l’obiettivo di descrivere la geometria del cosmo a grande scala, potrebbe consistere nella stima dell’ampiezza degli angoli di un’ipotetica figura individuata da tre galassie diverse ed estremamente lontane ma, operativamente, si tratta di una misura troppo imprecisa da compiere nella limitata porzione di universo accessibile ai nostri strumenti.[2] Occorre tentare un approccio differente, che necessita di una breve parentesi teorica.

Dalla teoria della Relatività generale di Einstein è noto come la materia – o meglio ancora l’energia – sia in grado di curvare lo spazio-tempo. La manifestazione fisica di quest’aspetto geometrico indotto dalla presenza di una massa-energia è la forza di gravità. Una valutazione globale delle proprietà dello spazio-tempo dovrà pertanto tenere conto di tutti i contributi energetici disponibili, siano essi di materia, di radiazione o di altra natura.

Si dimostra che se la densità di energia – ovvero la quantità di energia disponibile in un certo volume – supera un determinato valore critico, dipendente dal tempo e combinazione di alcune importanti costanti fisiche, allora l’universo si ripiega in sé stesso, risultando chiuso. Se la densità è inferiore alla densità critica, abbiamo a che fare con uno spazio aperto, se invece la eguaglia, allora esso è geometricamente piatto e possiamo così tracciare il terzo lato di un immaginario triangolo con la certezza di non avere spiacevoli sorprese durante le misure angolari.[3]

Il modello cosmologico attualmente in voga, tanto da essere assunto come modello standard della cosmologia, è denominato ΛCDM (Lambda-Cold Dark Matter) e, come ricorda il nome, prevede un universo costituito al 69% da costante cosmologica e al 26% da materia oscura nella sua accezione fredda, nel senso che è composta da particelle molto pesanti che si muovono a velocità assai più basse di quella della luce. La materia con cui abbiamo familiarità tutti i giorni, cioè quella costituita da combinazioni di elementi della tavola periodica, da atomi, protoni e quark, rappresenta il restante 5%. Il modello ΛCDM assume inoltre un universo piatto. A parte il dettaglio di non conoscere la vera natura di circa il 95% della composizione totale del cosmo[4], questo modello è suffragato da tutta una serie di evidenze osservative che hanno reso necessaria prima l’esistenza di materia oscura e costante cosmologica, per poi circoscriverne le relative abbondanze.

Una buona parte delle informazioni cosmologiche in nostro possesso deriva dallo studio della Radiazione cosmica di fondo. Si tratta dell’impronta lasciata appena l’universo si è raffreddato abbastanza da permettere agli elettroni di ricongiungersi ai nuclei atomici dai quali erano separati a causa dell’elevata temperatura. Secondo la meccanica quantistica, un elettrone legato ad un atomo può assorbire energia solo a valori ben definiti, mentre invece la sua controparte libera può interagire con qualsiasi fotone esso incontri. Nell’universo caldo, precedente alla Ricombinazione, i fotoni primordiali venivano continuamente deviati dagli urti con gli elettroni liberi e perdevano così la loro originaria energia e direzione (un’ipotetica immagine di questo stadio dell’universo sarebbe colorata in modo completamente omogeneo). All’età di 300 000 anni, l’universo è divenuto per la prima volta permeabile dalla luce, trasparente ai fotoni che, da quel momento in poi, lo hanno attraversato diritti ed indenni, senza rimbalzare continuamente contro le particelle di materia. Questa impronta fossile ha da allora viaggiato ininterrottamente fino ad essere rilevata, sotto forma di un segnale a microonde, dai nostri strumenti.

La radiazione cosmica di fondo ci regala una fotografia di un universo estremamente isotropo, uguale a sé stesso in tutte le direzioni, fatto che costituisce una importante verifica a-posteriori del Principio cosmologico, secondo cui l’universo è omogeneo e isotropo a grande scala e non esistono in esso delle posizioni privilegiate. Le lievi anisotropie presenti rivelano, punto per punto, l’esistenza di piccole fluttuazioni rispetto alla temperatura media, fluttuazioni dell’ordine di una parte su centomila.

Figura 2. Mappa delle anisotropie del fondo cosmico a microonde, realizzata dal satellite Planck nel 2013.

L’analisi delle anisotropie è condotta a diverse scale angolari, ognuna delle quali nasconde processi fisici ben diversi, scandagliando così il cielo più e più volte con diverse risoluzioni fino a soffermarsi sui dettagli più fini. Tuttavia, le misure del satellite Planck interpretano le proprietà delle anisotropie alla luce di un modello cosmologico di riferimento per cui, la variazione di alcuni parametri dello stesso, come densità, curvatura ecc. porta a ridisegnare le caratteristiche angolari attese dell’intero fondo cosmico a microonde. L’osservazione è in tal senso necessaria a discriminare tra modelli alternativi, escludendo quelli che sono frutto di una qualche combinazione di parametri che non trova riscontro con la realtà.

A titolo di esempio, la figura 3 mostra come una diversa geometria sia in grado di modificare il pattern di temperatura del fondo cielo. Le anisotropie, a parità di dimensioni fisiche, appaiono ingrandite in un universo geometricamente chiuso e rimpicciolite in uno aperto.

Figura 3: effetto della geometria dell’universo sulle dimensioni angolari delle anisotropie di fondo cosmico.

Come un cuoco che rimedia alla troppa sapidità della pasta aggiungendo altra acqua nella pentola, questo effetto può essere aggiustato modificando il valore di altri parametri e constanti fisiche, col risultato che, dal punto di vista delle misure di fondo cosmico, sono contemporaneamente accettabili sia modelli che prevedono un universo piatto, sia modelli che prevedono un universo a curvatura positiva.[5]

Per comprendere il lavoro di Di Valentino, Melchiorri e Silk, è necessario un ultimo ingrediente: il lensing gravitazionale. La Relatività generale prevede che i raggi luminosi sottoposti a un campo gravitazionale non si propaghino in linea retta, ma subiscano una deflessione che è direttamente proporzionale alla massa della “lente” che si frappone tra sorgente ed osservatore. Così, la luce di una sorgente lontana, emessa in direzione della Terra, può incontrare o meno delle concentrazioni di massa che, curvando localmente lo spazio-tempo, producono un effetto analogo a quello che le lenti producono in ottica, ovvero distorsioni, ingrandimenti, moltiplicazioni dell’immagine e della sua luminosità.

Analogamente a qualsiasi altro raggio di luce, anche la radiazione a microonde prodotta dall’universo primordiale viene distorta e deviata dalla presenza di massa, e tale effetto risulta visibile alle scale angolari più piccole, ovvero osservando i dettagli più fini misurati da Planck. Così, l’entità del lensing può essere quantificata in maniera opportuna e ciò rompe la degenerazione geometrica che rendeva possibile la coesistenza di universi piatti e positivamente curvi.

Figura 4: fondo cosmico di radiazione che ha subito lensing gravitazionale (a sinistra) confrontato con campione imperturbato. (Hu & Okamoto, 2001)

Il contributo scientifico dell’articolo consiste nella valutazione della distorsione gravitazionale, attribuibile ad un universo con curvatura leggermente positiva. Si tratta di un risultato che introduce una profonda contraddizione nel modello ΛCDM, in quanto il medesimo satellite Planck ha fornito moltissime misure ad esso concordi, che propendono decisamente per uno scenario a geometria piatta, mentre altre misure realizzate in maniera indipendente – come quella della costante di Hubble (che ci dice in sostanza con che velocità le galassie distanti si allontanano le une dalle altre per effetto dell’espansione cosmica) ad opera di Riess et al.[6] – si discostano da quelle di Planck pur continuando a preferire un universo piatto.

Allo stato attuale è quindi immediato ipotizzare due scenari. Il primo è la presenza di errori sistematici ad oggi sconosciuti nelle più moderne osservazioni i quali, una volta individuati e corretti, potrebbero forse riassorbire le incompatibilità riscontrate oppure, secondo una eventualità enormemente più suggestiva, la spiegazione risiederebbe nella necessità di una nuova fisica che vada oltre il modello ΛCDM e le ipotesi attuali sulla geometria e la composizione dell’universo.

Note

[1] Alessandro Melchiorri è professore associato di Astronomia e Physical Cosmology all’Università La Sapienza di Roma.

[2] Attualmente le distanze delle galassie molto lontane si misurano per mezzo del flusso luminoso generato da gigantesche esplosioni di supernove. Dalla loro conoscenza è poi possibile, in maniera indiretta, ottenere preziose informazioni circa la curvatura dell’intero universo.

[3] Si badi che la geometria dell’universo non ha un’importanza puramente estetica, ma ha profonde ripercussioni sul suo destino ultimo. I modelli di Friedmann basati unicamente su materia e curvatura prevedono che un universo aperto si espanda all’infinito, mentre uno chiuso possa arrestare la propria espansione per ricollassare nuovamente in un unico punto, in una spettacolare inversione temporale del Big Bang.

[4] Da molti anni è in corso la ricerca di particelle che rispondano ai requisiti previsti per la materia oscura. Si tratta di particelleprive di carica,che quindi non interagiscono attraverso forze elettromagnetiche, ma solo tramite gravità. Per spiegare la costante cosmologica, la quale fornisce una pressione in grado di accelerare l’espansione dell’universo, si ricorre in genere ad una energia oscura, che secondo l’ipotesi più discussa sarebbe coincidente con l’energia del vuoto.

[5] E. Di Valentino, A. Melchiorri, J. Silk, “Planck evidence for a closed Universe and a possible crisis for cosmology”, Nature astronomy, 4 Novembre 2019.

[6] Riess et al., “Large Magellanic Cloud Cepheid Standards Provide a 1% Foundation for the Determination of the Hubble Constant and Stronger Evidence for Physics beyond ΛCDM”, The Astrophysical Journal 876 (2019), May 2019.

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