Mi occupo di uso militare dell’uranio impoverito (DU) da ormai un quarto di secolo. (Libro gratis: https://www.researchgate.net/publication/293649257_Depleted_Uranium). Anni fa coniai la definizione, per il DU, di “tracciante morale” per la malafede e l’ignoranza di chi lo utilizzava, e di coloro che ne giustificavano l’uso con argomentazioni negazioniste.
Le vicende di queste settimane sono state un’ulteriore tragica prova di quanto sostenevo e sostengo. Sapete che recentemente i britannici hanno fornito all’Ucraina proiettili al DU. Io speravo che qualcuno cum grano salis (anche in Ucraina come in Russia ce ne sono molti, non bisogna demonizzare un’intera nazione per colpa dei loro governanti è da qualunquisti) respingesse al mittente l’offerta, basandosi sui un ragionamento semplice: il DU è radioattivo, emette radiazioni alfa che lo rendono pericolosissimo qualora incendiato, polverizzato, inalato, ingerito.
Contaminare con DU un campo di battaglia è una pratica non giustificabile secondo i più semplici principi di radioprotezione: tanto più – scusate il cinismo – se il campo di battaglia è casa tua. Contamina il tuo territorio, le conseguenze a lungo termine sono ben note.
Gli USA e la NATO infatti lo han sempre usato quando portavano democrazia in casa d’altri: Iraq, Afghanistan, Jugoslavia.
Purtroppo, non so se per dabbenaggine o per asservimento, l’Ucraina ha invece accettato. Immediata, si mobilitò l’Armata Negazionista sostenendo che il DU fosse “debolmente radioattivo” e quindi poco pericoloso, una risorgenza che speravamo di non dover vedere, a fronte – oltre che delle prove scientifiche – anche soltanto della sorte tragica toccata a tanti nostri soldati tornati dai Balcani.
Stancamente, è stato necessario ribadire alcune cose ovvie: addirittura con un video casalingo che divenne virale, con l’invito ai negazionisti a grattare la polvere di uranio per condire la pasta.
E dopo un po’, cala il silenzio: l’opinione pubblica italiana è ormai così, “merito” dei media italiani, hanno la memoria del pesce rosso.
Peculiare in quelle settimane l’atteggiamento degli ‘ambientalisti ed ecologisti di Stato’, sempre così queruli quando si parla di nucleare e radioattività, sempre così verdi, sempre pronti ad agitare lo spauracchio delle radiazioni anche quando non c’entrano. Ma in questo caso stanno con la bocca cucita dal diktat di partito e di governo, ligi al Verbo: le armi all’Ucraina “salvano vite”, sono cosa buona e giusta, anche se radioattive. Pacifinti con l’elmetto e senza contatore Geyger, ovviamente sulla pelle della popolazione ucraina.
Poi, verso il 12 di maggio, succede il patatrac: la Russia, individuato un importante deposito ucraino delle armi al DU, lo bombarda e lo distrugge. A Khmelnytskyi (Ucraina) sono colpiti magazzini con le armi all’uranio impoverito forniti all’Ucraina dal Regno Unito.
Prendono fuoco. Beh, naturale, il DU è anche piroforico. Si forma una bella nube dall’incendio, con fumo, con polveri fini e particolato da combustione.
Nube, come? Oh, nube “tossica” dicono qui i media, disperati. Cogliamo il rumore delle unghie sui vetri e gli ordini di scuderia: la parola “nube radioattiva” è tabù.
Qualcuno cum grano salis in Occidente (ne abbiamo anche qui) inizia ad associare le parole “incendio”, “nube”, “uranio”, ma non appare nessuna fonte affidabile che confermi che la contaminazione da radiazioni è significativa.
Noi dobbiamo ricorrere, molto incuriositi anche per mestiere (insegno ‘Protezione dalle Radiazioni’ al Politecnico dì Torino sin dagli anni ’90) ai canali non ufficiali.
Gli ucraini, povere stelle, dichiarano nei commenti ufficiali che sono state danneggiate le infrastrutture. Come dire: si è incendiato il deposito dei botti a Fuorigrotta, ma han preso fuoco solo tavoli e sedie..
Arrivano i dati che temevamo. Un aumento del rateo di dose da fondo naturale, normalmente intorno a 0.080 microSievert/ora dalle parti di Khmelnytskyi, viene rivelato da semplici misure del rateo di radiazioni gamma è stata rilevata intorno al 12 maggio; si vedano per curiosità le figure 1-2: si arriva ad un raddoppio del fondo naturale, nelle rilevazioni che possiamo esaminare, fatte non intorno al deposito incendiato, ma nella cittadina nelle vicinanze.
Questo dimostra che c’è stato incendio da DU e contaminazione radioattiva della zona: senza nessun dubbio. Natura non facit saltus.
Attendevamo qui, nei giorni successivi, la sollevazione degli scienziati nucleari con laurea in radiazioni presso la ‘Google University’, ed eccola puntuale: “l’Uranio è radioattivo alfa, non gamma, le particelle alfa non sono rilevabili con quelle misure, quindi quei valori non possono essere causate dall’incendio!”.
Che fatica… Chi ha perfezionato la laurea su Google con quella universitaria in discipline adeguate (esempio: Ingegneria nucleare sì, Scienze politiche no) sa che l’Uranio è – sì – “radioattivo alfa”, ma tiene famiglia: i prodotti del suo decadimento sono una bella schiera, sono radioattivi, sia alfa, che beta, che – guarda un po’ – gamma. È pratica comune la rivelazione dell’Uranio mediante spettrometria gamma.
Agevoliamo in figura 3 l’album di famiglia con tutti i figli radioattivi dell’Uranio-238, ed in figura 4 una spettrometria gamma dell’Uranio.
Allora c’è la nube radioattiva, allarmi allarmi, invaderà tutta l’Europa, “come Chernobyl”? Calma. Diciamo che ce lo meriteremmo, di pagar qualcosa anche noi europei in termini di salute, mica solo gli ucraini.
Infatti, credo per divertimento e “per vedere l’effetto che fa”, dalla Russia con amore ci avvertono che verremo investiti da una nube radioattiva: e chi è causa del suo mal pianga se stesso, avete dato armi radioattive all’Ucraina? Beh ecco qui le conseguenze (figura 5).
Però la radioprotezione è una scienza, e non è al servizio di nessun politicante, europeo, ucraino o russo che sia. Qui seguono alcuni punti che è necessario sapere, per una corretta valutazione del rischio.
Quanto DU ha preso fuoco? Sono poi disponibili misure oneste dei livelli di radiazione ambientale nei dintorni? Perché un conto è il doppio del fondo naturale, un altro conto è dieci o cento volte.
Ci sono misure in diversi punti del territorio e nel tempo? Questo ce lo potrebbero dire solo gli Ucraini. Quindi quei dati, almeno fin quando non sarà finita la guerra, non li avremo mai. Dati verificabili, intendo.
Potevano andare gli inglesi, sul posto, a far misure: magari lo hanno anche fatto, ma anche qui, zero tituli sui giornali, zero report ufficiali e scientificamente verificabili.
L’uranio per fortuna è pesante (1 litro pesa 19 chili) e quindi, per dirla semplice, fa fatica a viaggiare a grandi distanze. Nel nostro gergo, questi elementi radioattivi così pesanti li chiamiamo “particolato”: ad esempio, dall’incendio di Chernobyl uscì di tutto, ma quello che arrivò in Occidente – la “nube” – era composta essenzialmente da due elementi, lo Iodio-131 e il Cesio-137, molto adatti a stare nell’aeriforme e fare anche migliaia di chilometri.
Uscì da Chernobyl anche parecchio Plutonio, ma essendo pure lui pesante come l’Uranio, contaminò solo l’area circostante.
D’altra parte, se ricordate, nel 1995 e 1999 la NATO rimpinzò la Jugoslavia di bombe al DU, ma qui in Italia non arrivò nessuna nube. Oddio, arrivarono quei poveri militari mandati dal ministro della difesa Mattarella a sgombrare le macerie a mani nude e in braghe corte: da allora, ne sono morti a centinaia, di linfomi, leucemie, altre malattie orribili.
Ma questa è una storia diversa. Popolo sardo a parte, poligoni di tiro e prova di quelle armi a parte, niente “nube da Uranio” in Italia.
Non dobbiamo quindi preoccuparci? Sì, invece, e molto. Dovremmo preoccuparci per la popolazione Ucraina, diciamo nel raggio di alcuni (decine di?) chilometri intorno al luogo del disastro.
Ma anche qui, come nel caso dell’Iraq, costoro stanno subendo tanti di quei danni di ogni tipo che – voglio sperare – un provvedimento di emergenza che abbia raccomandato di stare al chiuso (“sheltering”) per un po’ abbia ridotto gli ulteriori rischi a lungo termine sulla loro salute, povera gente.
Monitorerei il terreno, le acque, non due misure in croce come ho letto abbiano fatto i locali: potessi, bombe o no, guerra o no, vi assicuro che andrei io stesso con alcuni dei miei sodali del Comitato Scienziate e Scienziati contro la guerra. Ma, come è facile immaginare, lo scrivente è, da quelle parti, persona non grata.
Le rilevazioni fatte in Polonia e nel resto d’Europa dalle agenzie atomiche nazionali ed internazionali hanno confermato che – tolta l’Ucraina – non è arrivato nulla.
Come diceva la pubblicità di un salame, negli anni ‘70: “Sceriffo, anche questa volta è andata bene, ringraziamo la nostra buona stella”. Possiamo continuare a imbottire l’Ucraina di armi sempre più sofisticate, sempre armi “che salvano vite”: non ci rimetteremo in salute, almeno fin quando non ci sarà l’escalation al conflitto nucleare.
Ci rimetteremo nulla più che la situazione economica disastrosa del regime di guerra, e ci rimetteremo alla lunga la faccia davanti alle generazioni future. Ma per alcuni, compresi quegli pseudoscienziati che parlano di “bufala dell’uranio”, questo non è un problema: tanto, hanno la faccia come il **.
Nota. L’autore desidera ringraziare l’amico Adriano Ascoli di Pisa per l’aiuto nel reperire i dati e per le utili discussioni sull’argomento.
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Gianfranco
Ecco chi dovrebbe presiedere le unità di crisi
Valerio Bellucci
grazie di queste informazioni, che i nostri sigg.ri dovrebbero renderle note e invece se ne stanno silenti e Omertosi.