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Pandemia e lockdown hanno accelerato l’invecchiamento del cervello degli adolescenti

Una ricerca coordinata dall’Università di Washington di Seattle, pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, ha fatto emergere che la pandemia Covid e i lockdown hanno fatto ‘invecchiare’ prematuramente i cervelli degli adolescenti.

Da storico che si occupa della sorveglianza internazionale delle malattie infettive (e non da medico, è bene specificarlo), mi sento di fare subito una premessa. La quarantena non è una pratica diffusa oggi, almeno per quanto riguarda questo tipo di patologie dell’apparato respiratorio.

Ci sono stati casi anche relativamente recenti (ad esempio, durante la Asian Flu del 1957) in cui è stata utilizzata come risposta alla pandemia, ma con scarsi risultati. Perché, ed è questo il problema effettivo, non c’è un modo con cui si possa davvero fermare il contagio.

La quarantena può essere utilizzata per rallentarlo, per limitarlo, ma prima o poi raggiungerà tutta la popolazione. L’unica alternativa è la vaccinazione, che da sempre non significa immunità totale, ma piuttosto la capacità del sistema immunitario di riconoscere il virus come agente pericoloso.

È questo tipo di informazione che è sempre mancata nella comunicazione pubblica sulla risposta pandemica organizzata a livello internazionale. E che in un certo senso ha fatto il gioco di Big Pharma, perché ha permesso che la critica si concentrasse sulla scienza, e non sulla sua non neutralità.

Per dirla più chiaramente, invece che porre sotto la lente di ingrandimento l’asservimento del pubblico all’interesse privato anche nella lotta a un pericolo globale, si è lasciato correre il dubbio intorno ai limiti dei vaccini, conosciuti da chiunque abbia un po’ di dimestichezza col tema.

Anzi, si è alimentata una visione dicotomica tra pro-vax e no-vax, in modo tale che si potesse creare una divisione verticale – interclassista – nella popolazione (da trattare con strumenti repressivi, alla bisogna) ed evitare il saldarsi di una divisione per vie orizzontali.

Quello che è stato sapientemente evitato è stato il fatto che una crisi globale potesse divenire il terreno su cui si palesasse il contrasto insanabile tra gli interessi della collettiva e l’appropriazione privata del profitto.

Così da far dimenticare che tante morti sarebbe state evitate, ad esempio, se i sistemi sanitari e la medicina di prossimità non fossero stati smantellati nel corso degli ultimi decenni, perché poco convenienti in termini di bilancio.

Fatta questa doverosa premessa, si capisce anche che il lockdown era, in un certo senso, una misura emergenziale che aveva certamente un senso, ma che allo stesso tempo nascondeva il danno prodotto dalla privatizzazione della sanità da quando il ‘mondo libero’ ha vinto la Guerra Fredda.

E se dunque, al momento dell’esplosione della crisi sanitaria, quel tipo di risposta poteva essere legittimata dall’immediata necessità di minimizzare il contagio, quello che non è accettabile è come le classi dirigenti occidentali siano tornate alla normalità pre-pandemica.

E soprattutto, di come si prendano per dati e inevitabili i risultati dei danni prodotti anche dalle risposte emergenziali, senza elaborare politiche che diano il giusto risarcimento a sofferenze che si sarebbero potute evitare, se i politici non fossero stati i maggiordomi del grande capitale.

Torniamo dunque allo studio con cui è cominciato questo articolo. Pandemia e lockdown hanno alimentato l’invecchiamento cerebrale degli adolescenti, e in particolare tra le ragazze con uno sviluppo accelerato in media di 4,2 anni rispetto all’età anagrafica, di 1,4 anni tra i maschi.

Patricia Kuhl, una delle autrici dello studio, ha spiegato che questo risultato è stato derivato dalla misurazione dello spessore della corteccia cerebrale, che si assottiglia naturalmente col passare degli anni. Stress cronico e altri problemi accelerano l’assottigliarsi, e ciò è accaduto col Covid-19.

Ciò può portare alla più facile emersione di patologie neuropsichiatriche e comportamentali. A partire da dati raccolti a partire dal 2018 su 160 ragazzi, gli esami eseguiti nel 2021 hanno registrato un assottigliamento eccessivo della corteccia cerebrale, rispetto ai modelli di riferimento.

L’assottigliamento ha riguardato in maniera estensiva la corteccia cerebrale nelle ragazze, mentre nei ragazzi è stato limitato alla corteccia visiva. Questa differenza potrebbe essere legata al diverso valore delle relazioni sociali per questi due gruppi.

I ricercatori hanno spiegato che “l’adolescenza è un periodo di radicali cambiamenti nello sviluppo emotivo, comportamentale e sociale”, e che perciò le restrizioni sociali potrebbero avere effetti negativi sulla salute mentale di molti giovani.

È proprio questo risvolto di cui la classe dirigente non sembra interessata a occuparsi. Anzi, le politiche sanitarie adottate sono tornate sostanzialmente agli indirizzi precedenti al Covid-19, un’opzione contro cui questo studio non fa che ribadire la necessità di lottare.

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