“Le infrastrutture creano lavoro diretto e indotto e il lavoro? la chiave per lottare contro le troppe diseguaglianze di questo Paese: a questo proposito voglio fare l’augurio di una grande partecipazione allo sciopero unitario del 15 marzo degli edili indetto da Cgil, Cisl e Uil”. Apre così il piddino sindaco di Bologna, Virginio Merola, la manifestazione istituzionale per le infrastrutture, sabato scorso.
Regione, Città Metropolitana, Confindustria e alcuni sindaci del territorio si sono riuniti per rilanciare il piano di “riqualificazione” della viabilità regionale, in chiara polemica con le scelte di un governo che ha bloccato i finanziamenti non perché ne riconosca l’inutilità, ma perché ancora non ha trovato la quadra su quali interessi difendere (la questione TAV valsusina ne è esempio e simbolo).
Un progetto, quello per cui si sta battendo la regione Emilia Romagna, che vede nella costruzione del Passante di Mezzo, dell’allargamento dell’A14 e della costruzione della bretella Campogalliano-Modena, una fantomatica soluzione al problema del lavoro e della crescita dell’economia.
Un progetto che, come sostengono i movimenti ambientalisti locali e le forze politico sindacali di classe, sarà funzionale unicamente alla circolazione delle merci e alle tasche di chi si aggiudicherà gli appalti. 450 milioni di euro pubblici sono le risorse che, unite agli altri cantieri programmati nel biennio 2019-2020, fanno salire a 5 miliardi l’importo degli investimenti complessivi per le opere infrastrutturali in Emilia-Romagna. Il project financing prevede il coinvolgimento dei privati per portare avanti un progetto di distruzione di 24 ettari di suolo (anziché 200 rispetto ai progetti iniziati), in un momento in cui dalla scienza alle piazze di tutto il mondo si dice che la lotta contro il cambiamento climatico passa anche per il consumo di suolo zero, e per la messa in sicurezza del territorio. 450 milioni di euro, come dicono alcuni movimenti presenti in un contropresidio, fuori dal palazzo della fiera che ospitava la manifestazione istituzionale, da Legambiente all’Autonomia a Potere al Popolo, che potrebbero essere spesi per sanare la mancanza di manutenzione dei versanti appenninici, che ogni anno con le piogge causano inondazioni e frane nel territorio a più alto rischio idrogeologico d’Italia.
Il tema ambientale in questi mesi sta entrando a gamba tesa nella campagna elettorale per le europee. Ad oggi, mentre il governo giallo verde è ancora indeciso da che parte stare sulla questione TAV, il PD ha già scelto di stare con chi gli garantisce la svendita del territorio, attraverso la politica ormai cara della commistione tra pubblico e privato anche su questioni di pubblica utilità e sicurezza. D’altra parte anche parte della sinistra agita il tema del cambiamento climatico proponendo strategie più o meno green e più o meno impattanti a favore del pianeta, scordandosi però di dire che non può esserci sostenibilità ambientale (e sociale) se il fine è il profitto. Non può esserci compromesso tra natura e capitale, e ce lo dimostrano bene le catastrofi dell’ultimo inverno dal nord al sud Italia.
Il prossimo 20 marzo i rappresentanti della regione e il sindaco di Bologna incontreranno il ministro Toninelli sulla questione delle opere infrastrutturali. Vedremo, senza molta convinzione, se sarà più forte la politica di PD- Confindustria, o di un governo che sulla governance del territorio rischia di sfrantumarsi come il cemento dopo una grossa nevicata.
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