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«Trattati come scimmie». Inferno nel Cpr di Potenza: un arresto e trenta indagati

«La somministrazione massiccia di un farmaco come il Ritrovil a soggetti che si ritiene ipoteticamente possano dare fastidio, perché un po’ agitati, è un modo di calpestare la dignità umana che lo Stato per primo ha il diritto di preservare».

Lo ha detto ieri il procuratore di Potenza Francesco Curcio a margine della conferenza stampa sull’inchiesta che riguarda la gestione del Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Palazzo San Gervasio, Potenza. «Quelli che creavano problemi venivano trattati come scimmie», ha aggiunto.

Quattro misure cautelari nei confronti di un poliziotto, due dirigenti dell’ente gestore e un medico.

Le accuse sono a vario titolo di violenza privata pluriaggravata, falso ideologico, calunnia, truffa aggravata ai danni dello Stato, frode in pubbliche forniture, inadempimento, maltrattamenti. In totale gli indagati sono una trentina, tra loro agenti, medici e avvocati.

Un secondo filone di inchiesta affronta una sorta di monopolio delle difese d’ufficio instaurato nel centro. Falso, induzione indebita e concussione le ipotesi di reato. Parcelle fino a 700mila euro per l’ufficio legale, l’unico, che si occupava delle persone trattenute.

I pm avevano chiesto il carcere per l’ispettore di polizia Rosario Olivieri in forza dell’accusa di tortura. Il Gip Antonello Amodeo ha derubricato il reato in violenza pluriaggravata e l’uomo è finito agli arresti domiciliari.

Un episodio che ha colpito gli inquirenti riguarda un migrante che sarebbe stato immobilizzato attraverso l’applicazione di fascette di contenimento a polsi e caviglie per costringerlo a «ingerire contro la sua volontà dosi di farmaci antipsicotici e tranquillanti di derivazione benzodiazepinica». Tra questi Rivotril, Seroquel e Tavor.

Il giudice ha disposto il divieto per un anno all’esercizio dell’attività d’impresa o uffici direttivi di aziende in rapporti con la pubblica amministrazione per i coniugi Alessandro Forlenza e Paola Cianciulli. Entrambi amministratori della Engel Italia srl, che ha cambiato nome in Martinina Srl, cioè la società finita sotto indagine a Milano per la gestione del Cpr di via Corelli, sequestrato il mese scorso.

Con la procura lombarda c’è stato uno scambio di informazioni, ma l’indagine potentina era partita prima ed è durata anni: «abbiamo dovuto esaminare una quantità notevole di testimoni e documenti. Le società di gestione sono “formalmente diverse” ma collegate», ha detto Curcio.

Il medico di base Donato Nozza, infine, per un anno non potrà esercitare la professione nel Cpr. È accusato di maltrattamenti, falso ideologico e violenza privata pluriaggravata. «Là dentro era un inferno e solo chi si trovava a viverlo può capire», ha confessato agli inquirenti un’infermiera che ha lavorato nella struttura per oltre un anno e mezzo.

35 gli episodi incriminati. Gli indagati avrebbero messo in piedi tra il 2018 e il 2022 maltrattamenti sistematici basati sull’«indebita somministrazione anche occulta e/o forzata e in ogni caso senza che fosse acquisito il consenso informato di psico-farmaci anticonvulsivi» inducendo in alcuni migranti, soprattutto tunisini, «uno stato di prostrazione e una continua sedazione coatta» con «menomazione della dignità umana e lesione della libertà morale».

Dalle ricerche svolte dai Nas è emerso che tra gennaio e dicembre 2018 sono state somministrate 1.315 confezioni di Rivotril e altre 920 tra gennaio e agosto 2019. Intorno ai 150 posti la capienza massima regolamentare.

Secondo Curcio le prove raccolte mostrano che l’abuso di quel tipo di farmaci serviva da un lato a contenere i migranti, dall’altro a evitare di fornire loro l’assistenza sanitaria cui avevano diritto.

Il report L’affare Cpr, pubblicato nel 2023 dalla Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild), definisce il centro di Palazzo San Gervasio «la Guantanamo italiana».

A 65 chilometri da Potenza, lontano dal paesino che lo ospita, difficile da raggiungere per i parenti dei reclusi, è stato aperto nel 2011 dal governo Berlusconi per fronteggiare la cosiddetta «emergenza nordafrica» ma chiuso pochi mesi dopo: 57 tunisini erano stati segregati in una struttura simile a una gabbia per uccelli.

La struttura ha riaperto a gennaio 2018, quando al Viminale c’era Minniti, e fino al 2023 è rimasta sotto la gestione della Engel (con alcuni mesi di inattività per ristrutturazione).

Le immagini uscite dal centro mostrano la presenza di blatte, bagni senza porte, letti in cemento. Un altro squarcio sul sistema di detenzione amministrativa, cioè di persone che non hanno commesso reati, che l’Italia ha consegnato agli interessi privati e adesso vorrebbe anche esportare oltre Adriatico.

* da il manifesto

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