Dalla scorsa primavera – da quando la multinazione Whirlpool ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Via Argine a Napoli – la sacrosanta mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori di questa fabbrica e dell’intero indotto ha contribuito a tenere viva l’attenzione su tale Vertenza impendendo che questa partita venisse chiusa in qualche settimana.
L’autoritarismo della Whirlpool e la trattativa in questi mesi.
Il caso Whirlpool e l’arroganza con cui il manegement di questa azienda ha gestito le modalità dell’annuncio della chiusura e la parvenza di “trattativa” che si è svolta fino ad oggi stupisce solo chi non ha in mente – o finge di non conoscere – il modus operandi delle grandi aziende multinazionali le quali agiscono sulla base della propria mission: il massimo tasso di profittabilità e la continua svalorizzazione della forza lavoro!
La storia industriale del nostro paese ha già conosciuto (e pagato amaramente) vicende come quelle che si stanno consumando in questi giorni a Napoli.
In particolare il Sud d’Italia ha vissuto intere stagioni sociali e sindacali che hanno fatto i conti materiali con tale “humus ambientale”, in cui le multinazionali hanno goduto del massimo di discrezionalità possibile beneficiando, da un lato, di ogni tipo di incentivi e sgravi e, dall’altro, della disponibilità collaborazionista delle organizzazioni sindacali complici nel concedere deroghe ai già ristretti vincoli orari e salariali cui sono costretti a faticare le lavoratrici e i lavoratori.
Stridono, dunque, e provocano viva irritazione le dichiarazioni in corso in queste ore che si approssimano all’ultimatum del prossimo 1 Novembre (data che dovrebbe essere il giorno che Whirlpool ha annunciato che cesserà definitivamente la produzione) in cui esponenti di partiti, vertici istituzionali, uomini di Confindustria, Confcommercio e della cosiddetta società civile, mostrano il massimo dell’ipocrisia possibile nel dichiarare “stupore per le improvvise decisioni aziendali e preoccupazione per le sorti dei lavoratori”.
Mai come in questo periodo – in un’area metropolitana come quella partenopea – dove gli storici e strutturali fattori di sofferenza sociale conoscono una ennesima impennata, è veramente stomachevole assistere alle lacrime di coccodrillo ed alle rituali processioni alle porte della Whirlpool di quanti, a vario titolo, sono parte costitutiva e scatenante degli attuali problemi dei lavoratori di questa fabbrica e, più in generale, dell’intero mondo del lavoro.
E’ risaputo – infatti – che molti ambienti politici e sindacali erano già a conoscenza dei desiderata della multinazionale circa la sua decisione di delocalizzare le produzioni in Polonia e che nulla è stato fatto né per stigmatizzare preventivamente questa volontà padronale e né – questione politica e sindacale ancora più grave – organizzare per tempo una efficace forma di difesa operaia prima che scattasse il progetto di ristrutturazione e chiusura dello stabilimento.
In tutti questi mesi la cosiddetta trattativa – con il vecchio ed il nuovo governo Conte – quella svolta a Palazzo Chigi o al MISE, non ha prodotto nulla se non le “indignate dichiarazioni” del ministro di turno a fronte dell’intransigenza padronale. Mai il Governo (Conte 1 o Conte 2) ha avanzato uno straccio di proposta formale in cui venisse delineata una prospettiva di tutela della fabbrica e di garanzia dell’occupazione e della sua attuale qualità normativa e contrattuale.
Certo, ad un certo punto di questa telenovela, ha fatto capolino una società svizzera che avrebbe dichiarato una sua disponibilità ma, subito, ad una prima verifica economica e strutturale di questo “nuovo soggetto imprenditoriale” è apparso chiaro la natura della truffa che si stava preparando ai danni dei lavoratori e della città.
Siamo, dunque, ad un punto temporale e politico di possibile svolta di questa Vertenza la quale necessita di chiarezza e di trasparenza oltre che, naturalmente, di una impostazione programmatica che provi ad affrontare i temi veri che stanno al centro di questo scontro che non rigurda solo il sito di Napoli ma l’intero “segmento del bianco” il quale, come è noto, è sottoposto ad una feroce concorrenza internazionale in cui i lavoratori sono costretti continuamente a perdere salario e diritti dentro questa infernale spirale costituita dall’esigenza, a scala internazionale, di “ridurre il costo del lavoro ed aumentare la produttività” attraverso delocalizzazioni ed esternalizzazioni verso paesi sempre diversi.
Il ruolo di Fiom, Fim e Uilm e le loro scelte subalterne e suicide.
Fiom, Fim e Uilm in questi mesi hanno dovuto assecondare la spinta operaia alla mobilitazione ma hanno costentemente operato per far impantanare questa lotta nelle sabbie mobili dei “tavoli di trattativa” romani.
Anche in questi giorni – dove appare chiaro e netto che la Whirlpool ha agito con la consuenta modalità predatoria tipica delle multinazionali – queste organizzazioni si limitano a richiedere al Governo una “riapertura della trattativa” senza precisare ed argomentare null’altro.
Se escludiamo il prossimo sciopero del 31 ottobre che si terrà solo nell’area napoletana, convocato con al centro questo generico obiettivo Fiom, Fim e Uilm hanno evitato che la mobilitazione della Whirlpool potesse trovare monenti di confronto e di unità con altre vertenze simili come quella in atto a Marcianise (la multinazionale statunitense JABIL ha annunciato una pesante ristrutturazione), a Somma Vesuviana (alla DEMA – Design Manufacturing sono previsti licenziamenti e nuova cassa integrazione), a Pomigliano d’Arco (FCA disfa continuamente i precedenti “piani di sviluppo aziendali” e mantiene migliaia di operai in un clima di incertezza e di paura) o con le decine e decine di altri “bacini di crisi” esistenti, al momento, in Campania.
Inoltre al recente Meeting, al Castel dell’Ovo, organizzato da “Napoli non molla” le dichiarazioni della Fiom sono state particolarmente sprezzanti e spocchiose nei confronti di quanti (dal Sindaco di Napoli, ad esponenti del mondo della cultura e dell’università) hanno avanzato proposte che puntano a far prevalere – in questa come in altre Vertenze – il principio legittimo della “proprietà pubblica rispetto a quella privata” anche attraverso un urgente quanto necessario “nuovo intervento dello Stato in economia e nella programmazione economica del paese”. Un intervento, a detta di giuristi e giuslavoristi, che in virtù, soprattutto, del nostro dettato Costituzionale, che è prevalente in tale materia giuridica, potrebbe superare la gabbia antisociale dei famigerati Trattati Europei che impediscono “aiuti di stato alle imprese in crisi”.
Si tratta, dunque, di costruire una articolata mobilitazione che per contenuti programmatici e modalità di rappresentazione deve rompere con le liturgie di Fiom, Fim e Uilm le quali sono palesemente depotenzianti e destinate – purtroppo – a determinare le condizioni per una nuova sconfitta delle lavoratrici e dei lavoratori magari mascherata da qualche “soluzione tampone” che svanirà in breve tempo come sono stati platealmente stracciati tutti gli “accordi” stipulati poco meno di un anno fa dalla multinazionale americana con il governo italiano.
In tal senso, pur ribadendo il nostro sostegno alle ragioni della lotta dei lavoratori Whirlpool, l’ UNIONE SINDACALE di BASE non parteciperà allo Sciopero del 31 ottobre, indetto da Fiom, Fim e Uilm, ma sarà presente a tutte le iniziative di tipo generale che si organizzeranno per impedire lo smantellamento della fabbrica di Via Argine e la distruzione di tutta la rete dell’indotto.
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