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I lavoratori non pagheranno la guerra dei padroni!

Come sempre, nel corso della Storia, le guerre hanno due obiettivi principali.

Da un lato, ridisegnare gli equilibri geopolitici ed economici tra le grandi potenze imperialistiche sullo scacchiere internazionale.

Dall’altro, la normalizzazione degli assetti sociali, all’interno dei diversi stati nazionali, con il riallineamento degli interessi delle borghesie e la ristrutturazione delle filiere produttive.

Insomma la guerra, lì dove le armi dell’economia e della politica hanno sostanzialmente fallito, procede con la “politica delle armi” verso quella concentrazione di capitali e quell’accentramento di governance che costituiscono i principi dottrinari di ogni ristrutturazione capitalistica, declinata secondo la più stretta osservanza neoliberista.

Ma, in conseguenza del conflitto, ridefinendone gli ambiti di potere all’interno di un nuovo ordine mondiale.

Un New Order caratterizzato, pur tuttavia, dalla inesauribile circolazione di merci e capitali, rispondendo alle esigenze di quel Modo di Produzione Capitalistico che costituisce, poi, la ragione principale, con la sua inesauribile richiesta di mercati, di ogni conflitto. Sia esso regionale o su larga scala.

Circolazione di merci e capitali che, nel caso dell’economia di guerra, passa anche e soprattutto attraverso l’incremento dell’industria bellica e la vendita di armi.

Non fa eccezione, naturalmente, all’interno di questa logica di conflitto armato inter imperialistico, la tragica vicenda in corso in Ucraina.

Le cui cause – com’è oramai evidente, al netto della vergognosa campagna di stampa orchestrata dalla propaganda e dai media occidentali – sono da rintracciarsi nei deliri espansionistici della Nato ad est e nelle rinnovate velleità nazionalistiche e panrusse di Putin.

A pagare l’alto prezzo, materiale e morale -in termini economici e di vite spezzate- di questi ciclici scontri tra potenze, furono, sono stati e sono, come sempre, i lavoratori e le classi subalterne.

E naturalmente, anche nel caso della guerra in Ucraina, ciò sta già accadendo.

Non solo all’interno del teatro di guerra, con migliaia di incolpevoli civili uccisi. Ma anche nei più ristretti enclave nazionali su dimensione globale.

Dove il rischio di aggravamento della già drammatica crisi provocata dalla pandemia e dalle precedenti recessioni economiche, è altissimo.

Per non dire dei funesti presagi e degli apocalittici scenari che la guerra disegna.

Vuoi sul piano della oramai chimerica transizione ecologica; vuoi su quello, ancor più fatale, di un eventuale ingaggio nucleare.

Dunque, le società europee sono in piena fibrillazione.

E lo spettro di un’ulteriore recessione, accompagnata da inflazione, ristagno della domanda e stagflazione, con prezzi alle stelle, drastica riduzione del potere di acquisto dei salari, licenziamenti e disoccupazione alle porte, è quanto mai tangibile.

Spettro che in Italia allunga sempre più minacciosa la sua ombra.

Paese di fatto cobelligerante, a causa del suo triste vassallaggio atlantista, il governo Draghi ha già deciso di aumentare le spese militari fino al 2% del Pil -come richiesto dalla Nato- stanziando ulteriori 10 miliardi di euro.

Intanto, si sono già spesi qualche centinaia di milioni per inviare armi all’Ucraina, in violazione dell’articolo 11 della Costituzione.

Tutto ciò, mentre il rincaro delle bollette mette spalle al muro migliaia di famiglie.

Ma, soprattutto, mentre si procede speditamente al progressivo taglio dello stato sociale e all’opera di ristrutturazione già in atto sul mercato del lavoro.

Con licenziamenti, compressione dei salari e smantellamento dei diritti sociali.

Il che si sta ulteriormente traducendo -come abbiamo constato in questi giorni con l’invio di avvisi orali ai compagni del Si Cobas- in un più evidente giro di vite repressivo sulle lotte sindacali, intraprese dalle organizzazioni di base (Si Cobas, Usb, Cub, Cobas) per la difesa delle categorie più deboli e tartassate.

Un fardello pesantissimo, che si sta scaricando sulla pelle dell’intera classe lavoratrice.

Tra cui, non vanno dimenticate le lavoratrici e i lavoratori della cultura e dello spettacolo, il cui ambito è da sempre caratterizzato da una fisiologica intermittenza e precarietà.

Contro questa guerra e il peggiorare della crisi, che sta già mietendo non poche vittime, anche sul piano sociale, una voce di condanna netta risuona, dunque, da un settore tra i più marginalizzati.

Le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo, che negli scorsi due anni hanno dato vita ad un’intensa azione di lotta, tornano a far sentire la propria voce in questo tragico tornante storico.

Innanzitutto, ripudiando la logica della guerra imperialistica, tutta interna ad un conflitto tra borghesie internazionali.

Per poi avanzare le proprie ineludibili istanze, per un comparto che vede la maggioranza delle figure professionali non garantite, tanto sul piano salariale quanto su quello degli ammortizzatori sociali, a causa di una deregolamentazione e di un vulnus legislativo decennale e vergognoso.

Una delle lotte più convinte e pervicaci fu condotta a Napoli – città sempre in prima linea – dalle Lavoratrici e i Lavoratori dello Spettacolo Campania (LLSC).

L’occupazione del Teatro Stabile Nazionale Mercadante fece da detonatore, lo scorso mese di Marzo, per le occupazioni del Piccolo di Milano e del Globe di Roma, rappresentando la punta avanzata di un movimento di protesta che oggi ripropone il suo protagonismo per la tutela dei diritti e del lavoro.

Non solo delle categorie attinenti al settore cultura e spettacolo. Ma, nell’ottica di unità delle lotte, di tutta la classe lavoratrice vittima di sfruttamento e precarietà esistenziale.

Impegno che viene confermato dalle dichiarazioni di alcuni esponenti del Coordinamento, con cui abbiamo scambiato due chiacchiere:

«A distanza di quasi un anno dall’iniziativa di occupazione del Teatro Mercadante -ci dicono- le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo, che hanno dato vita a quella lotta, si sono rivisti per fare un bilancio delle mobilitazioni degli ultimi due anni.

E il risultato non è tra i più confortanti!

La situazione, determinatasi alla ripresa del lavoro post pandemica, non è per nulla favorevole.

A fronte della riforma storica annunciata alcuni mesi fa dal ministro Franceschini, la realtà è infatti ben diversa.

Gli emendamenti sul reddito di continuità proposti sulla Legge Delega in discussione in Parlamento, sono stati rimandati a data da destinarsi per mancanza di fondi.

Una dichiarazione, da parte del governo, che stride fortemente -come giustamente sottolineano- con lo stanziamento di miliardi di euro, per un riarmo inutile e profondamente rischioso.

D’altra parte -continuano- non ci stracceremo, certo le vesti per questo.

Avevamo detto, sin da subito, che questa riforma era irricevibile, configurandosi come un riadattamento della Naspi (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) e lo confermiamo.

Si tratta, infatti, di un provvedimento lontanissimo dalle richieste che erano uscite dai teatri occupati a Napoli, Milano e Roma.

E, nel frattempo, la situazione va addirittura a peggiorare! Tanto che, nei teatri lirici, alcune maestranze sono state assunte tramite agenzie interinali.

Ciò che costituisce un ulteriore mortificazione per i nostri profili professionali e le nostre situazioni contrattuali.

Di fronte a tale inadeguatezza, ribadiamo, perciò, la necessità di riprendere le mobilitazioni. Affinché la riforma del settore venga scritta dal basso e con la partecipazione attiva dei lavoratori. Come sempre abbiamo chiesto!

Invitiamo, pertanto, tutte le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo a costruire uno spezzone unitario nella mobilitazione nazionale, indetta il 26 marzo a Firenze dai lavoratori della GKN, in difesa del lavoro e del diritto al reddito.

Perché solo l’unità delle lotte può produrre un avanzamento delle legittime richieste della classe lavoratrice tutta.

Per la stessa giornata invitiamo, inoltre, tutte e tutti a costruire presidi come lavoratori dello spettacolo nelle varie città.

E chiediamo, da subito, a tutte le organizzazioni dei lavoratori del settore, ancora intenzionate a dare battaglia, di confrontarsi sulla possibilità concreta di rilanciare le lotte».

La Lotta di Classe la fanno i lavoratori. La Guerra la fanno i Padroni!

 * Lavoratrici Lavoratori Spettacolo Campania

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