Parma. Il 10 gennaio scorso il Gruppo Iren ha siglato un accordo con la società israeliana Mekorot, interamente partecipata dallo stato di Israele. Questa società si è resa responsabile delle politiche di Apartheid di Israele utilizzando un bene primario come l’acqua come elemento di marginalizzazione e segregazione etnica e sociale.
Come documentato da un indagine condotta da Al Haq, un’organizzazione palestinese per i diritti umani, Mekorot sottrae l’acqua illegalmente ai territori palestinesi fornendola agli insediamenti illegali dei coloni. Una ricostruzione corroborata dalle denunce fatte sia da Amnesty International che Human right Watch che spiegano come la gestione idrica rientri nella più complessiva politica di segregazione dei palestinesi da parte di Israele. È intollerabile che un’azienda come Iren che ha partecipazioni pubbliche tramite diversi comuni italiani, tra cui anche il nostro, stipuli un accordo con un’azienda che l’organizzazione israeliana Who Profits definisce “il braccio esecutivo del governo israeliano per la questione idrica”.
Siamo di fronte ad uno scenario in cui Mekorot non è semplicemente un’azienda di gestione della rete idrica, ma un’istituzione attivamente coinvolta nell’occupazione militare (illegale) dei territori palestinesi e del loro sfruttamento. La gestione dell’acqua, il suo possesso e il suo utilizzo, soprattutto in uno scenario di carenza dovuto ai mutamenti ambientali e climatici diventa un’arma formidabile nelle mani del governo per perpetrare una politica che è riconosciuta da molte organizzazioni indipendenti come assimilabile all’apartheid sudafricano.
Secondo le inchieste che abbiamo citato, Mekorot non solo preleva l’acqua dai territori occupati per servire gli insediamenti dei coloni, ma dopo aver creato una penuria artificiale di questo bene fondamentale rivende ai palestinesi l’acqua ad un prezzo 4 volte superiore a quello a cui la vende agli israeliani. Chi vive nella striscia di Gaza ad esempio, secondo le Nazioni Unite, è rifornito di acqua per il 96% inadatto al consumo umano. Le disparità di forniture giornaliere d’acqua sono scandalosamente ineguali.
La dotazione di acqua procapite giornaliera dei coloni israeliani è di 350 litri al giorno, per i palestinesi dei territori occupati di soli 70 litri al giorno, considerando che lo standard minimo fissato dall’OMS è di 100 litri al giorno, abbiamo la misura della tragedia in atto, una tragedia in cui la gestione idrica è solo il tassello di una più ampia politica di segregazione.
Ci chiediamo il perché di una partnership con un soggetto come Mekorot, di quale know-how stiamo parlando? Mekorot ha attuato politiche di gestione idrica scellerate verso la popolazione palestinese, lucrando su una scarsità artificiale, figlia di un furto d’acqua, oltre che dannosa per l’ambiente, visto che una delle risposte a questa penuria, risolvibile ridistribuendo equamente le risorse già esistenti, è stata quella della desalinizzazione dell’acqua marina, un processo costoso in termini di energia e di inquinamento. E’ questo il modello di gestione della crisi climatica che Iren ha in mente? Certo, il driver delle decisioni di una società per azioni è il profitto ma non sentire l’odore di morte dietro i profitti che questo accordo potrebbe portare ci sembra davvero troppo anche per Iren.
Il presidio di stamattina sotto il Comune di Parma ha chiesto all’amministrazione comunale di prendere una posizione ufficiale come socia di Iren per recedere dall’accordo. Il sindaco ha ricevuto una delegazione delle realtà insieme agli assessori Borghi e Jacopozzi, che hanno partecipato al presidio e ci ha comunicato che l’accordo Iren-Mekorot è oggetto di attenzione da parte della giunta che porterà il tema in CDA la prossima settimana in Iren, esprimendo un evidente imbarazzo per la situazione.
Rimarremo in attesa del pronunciamento del CDA ma abbiamo ribadito l’intenzione di mantenere alta l’attenzione su questo accordo con altre mobilitazioni.
Questa piccola battaglia è importante non solo per cercare di far uscire dall’olio il dramma dell’occupazione militare israeliana della Palestina, ma anche per noi e i nostri territori, sostenere la lotta del popolo è sostenere la nostra lotta per una trasformazione sociale ed ecologica dei nostri territori e delle nostre vite. Se ci voltiamo dall’altra parte la crisi climatica diverrà l’ennesima scusa per consentire ai grandi gruppi finanziari e industriali di arricchirsi distruggendo il pianeta e le nostre vite. La lotta del popolo palestinese è la nostra lotta.
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