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Quale idea di cultura a Bologna?

Ricordiamo tutti i primi passi politici del sindaco di Bologna Matteo Lepore. L’allora fresco e giovane assessore nella giunta Merola aveva scelto di intitolare la propria delega “al turismo e all’immaginazione civica”. Dopo tre anni di mandato si può affermare che a Lepore l’immaginazione non manchi e che la sappia anche mettere a frutto.

Si delinea una chiara, preoccupante progettualità per la città di Bologna, una progettualità dove la messa a reddito di tutte le risorse cittadine è inarrestabile e si nasconde dietro belle parole come progressismo, partecipazione, ma soprattutto cultura.

Quale idea di Bologna? La proposta di questa maggioranza è chiara: Bologna per crescere deve attirare investimenti e turismo. E qual è lo strumento più potente per catturare l’acquirente, attirare la sua attenzione? Il marketing.

Le narrative provenienti dal centro si sono sprecate in questi anni: la città più progressista d’Italia, la città delle avanguardie culturali, la city of food, la città del modello d’impresa sostenibile. Il brand Bologna, ben cesellato dai parolieri della Fondazione Innovazione Urbana, si consolida con vigore.

Ma le visioni scintillanti, anche se distraggono, non cancellano la realtà. Il modello che propone questa Amministrazione crea capitale economico che va dritto nelle tasche dei privati lasciando le briciole alla cittadinanza. Viviamo in una città in cui l’immobiliare è alle stelle, le politiche sociali e di welfare sono insufficienti, la cementificazione è rampante e la crisi climatica è alle porte, i quartieri sono lasciati a sé stessi in preda a servizi non adeguati.

Se vengono poste queste domande, la risposta del Comune è sempre la stessa: grandi opere progressiste. Pensiamo ad esempio ai lavori monumentali che verranno messi in atto per la “Città della conoscenza”, punta di diamante della Fondazione Innovazione Urbana.

Il progetto promette rigenerazione con gli strumenti “la scienza e il sapere”, ma di fatto è il perfetto espediente per mettere a reddito le rare, preziose aree non ancora sfruttate attorno al centro.

O i nuovi progetti per il Mercato Sonato, hub culturale di quartiere che verrà raso al suolo per costruire un mastodontico centro polivalente di cui in nessun modo c’era bisogno, se non per gentrificare un’area colpevole di essere troppo “sporca” per essere così attigua al centro.

Uno dei fulcri del brand Bologna è la cultura. Del resto, la varietà e freschezza dell’offerta culturale è sempre stata un tratto caratterizzante della nostra città. Di fatto però gli ultimi anni sono stati teatro di un processo di inesorabile repressione del fermento bolognese, nel nome del decoro e del contrasto al degrado.

Le ruspe di Merola hanno cercato di distruggere ogni espressione dalla base sgomberando gli spazi che erano il cuore dell’avanguardia cittadina. Lepore ha raccolto l’eredità (pensiamo alla Vivaia, alle varie occupazioni di XM, chi più ne ha più ne metta) e prosegue a modo suo. Lontani sono i tempi in cui si incatenava (solo a parole) ai cancelli di OZ o faceva da garante nella trattativa con XM24.

Il periodo era diverso, il nostro uomo era un assessore in carriera e aveva la necessità di approcciarsi al mondo della cultura di base per costruire il proprio bacino di consenso e per consolidare l’immagine di uomo politico attento alla partecipazione.

Ci è riuscito egregiamente, ha gestito una fase di transizione complessa, cooptando parte dei protagonisti del fermento culturale di base in cambio di uno spazio pubblico o di un posto al sole in consiglio comunale, scaricando finalmente chi era incompatibile con le nuove linee.

Quest’eredità culturale così caratteristica e pittoresca però è perfetta per una cosa: essere messa a reddito. Come fare? Lepore lo sa.

Emblema di questo approccio è Bologna Estate, il mega cartellone estivo di eventi in città.

Il bando Bologna Estate

Ogni anno l’intera proposta culturale estiva in città e nell’area metropolitana viene gestita con il bando “Bologna Estate”, percorso sostanzialmente obbligato per chiunque voglia proporre iniziative in luoghi pubblici da maggio ad ottobre.

I report riportano cifre da capogiro per numero di eventi e partecipanti. “Non c’è un’ altra programmazione con questi numeri in Italia ed è una delle piú ricche d’Europa” diceva l’anno scorso Lepore.

L’impostazione generale del bando mette in concorrenza piccole associazioni e gruppi di cittadinanza attiva con grandi agenzie dello spettacolo e associazioni strutturate per grandi eventi: una competizione impari con un esito scontato.

La logica è quella di mettere in pole position le aziende dello spettacolo, capaci di garantire la forza tecnico-organizzativa, insomma chi è più forte e tecnicamente organizzato secondo le logiche di impresa va avanti, chi è più piccolo ed autorganizzato rischia di ottenere un punteggio più basso, al quale è legato anche il finanziamento del progetto.

Nel bando non è previsto un reale sostegno alle piccole associazioni, che si trovano sommerse da pratiche burocratiche molto complesse e requisiti per partecipare sempre più stringenti. Il tutto determina un contesto in cui, da una parte l’apparato normativo è sempre più labirintico, dall’altra il Comune non mette a disposizione strumenti di orientamento e supporto ai gruppi di cittadini.

Se si cerca di fare una sintesi generale dell’offerta di Bologna Estate, prendendo ad esempio le scorse edizioni, si nota come in molti casi questa rappresenti uno specchietto per le allodole e che lo scopo di base sia far lavorare l’indotto del food and drink locale.

Oltre all’assenza di una pianificazione nella proposta culturale che produca risultati sociali di medio e lungo periodo, come l’attivazione e il coinvolgimento diretto della cittadinanza.

Questo modello è esportabile; pensiamo al progetto Extrabo, mirato a mettere a reddito i territori dell’Appennino tramite il turismo culturale.

L’estate finisce, cosa rimane?

Finita la bella stagione, quali sono gli strascichi di Bologna Estate? Culturalmente, non molto: la qualità delle iniziative promosse è spesso non a livello, molte iniziative si rivelano una scusa per creare o allargare i dehors e profittare dalla somministrazione. I tanti piccoli tasselli di gentrificazione sparsi per i quartieri sono la vera eredità che ci lascia Bologna Estate di anno in anno.

Dove c’era il “degrado” ora c’è la sicurezza del “presidio culturale”; la narrativa securitaria si amplifica, i quartieri diventano più desiderabili, i prezzi del mattone salgono. Intanto sempre più luoghi vengono sottratti all’aggregazione informale, come se questo fosse il male da scongiurare, come se l’unica forma di socializzazione lecita fosse quella legata al consumo di un biglietto, di un aperitivo.

Un esempio lampante di questa dinamica ce l’abbiamo in Bolognina: la tettoia Nervi, ora Piazza Lucio Dalla. “Diventerà una nuova piazza Maggiore“, disse il sindaco il giorno dell’inaugurazione.

Per realizzare questo grande progetto velleitario si è cancellata la storia di un pezzo di quartiere, dove avevano sede il vecchio Link, lo storico XM24 e l’occupazione abitativa dell’ Ex Telecom. Non è stato difficile trovare il modo di andare in deroga al regolamento edilizio della zona per fare nascere il lussuoso Student Hotel.

Saranno stati i 500.000 euro donati da Student Hotel a favore della ristrutturazione della tettoia? Quello che resta, tralasciando le narrative trionfali dell’Amministrazione, è una piazza pubblica che pubblica non è: di notte è chiusa, è recintata e presidiata da guardie, viene gestita come se fosse un luogo privato da una nota ditta di organizzatori di eventi grazie a un bando che a molti è puzzato come ad hoc.

Un dato su tutti dimostra quanto il Comune ritenga strategica quest’opera: i fondi destinati a Bologna dal Ministero della Cultura per le periferie sono pari a 600.000 mila euro e la metà è stata destinata a chi gestisce Piazza Lucio Dalla.

 

In questo scenario restano in secondo piano le tante piccole associazioni del settore e i collettivi/gruppi di cittadini attivi e radicati nei quartieri. Soffocati dalle spese e in mancanza del sostegno finanziario dell’amministrazione, fanno fatica a dare continuità alle proprie attività e progetti che, in un contesto generale di decrescita dei servizi nei quartieri periferici, risulterebbero fondamentali per migliorare la vita dei cittadini. C’è poi la questione fondamentale del lavoro nel settore dei beni culturali, basato sul precariato e sullo sfruttamento, sulla svalutazione delle competenze e in parecchi casi sul lavoro gratuito.

CHE FARE?

Pensiamo che questo modello di politica culturale sia sbagliato e poco lungimirante, e che generi un dannoso appiattimento generale dell’offerta culturale rivolta alla cittadinanza. Gli spazi pubblici vengono monopolizzati dai pochi grandi attori economici che tolgono l’ossigeno alle piccole realtà o a chi non è perfettamente allineato.

Crediamo che un modo diverso di fare cultura e di gestire gli spazi di socialità sia possibile solo uscendo da una logica di profitto, costruendo eventi, iniziative e percorsi culturali veramente accessibili a tutta la cittadinanza attraverso la conoscenza dei bisogni dei territori, il radicamento e la presenza nei quartieri in cui viviamo.

I quartieri di Bologna non hanno bisogno delle “grandi opere delle cultura” come la tettoia Nervi, Dumbo o il nuovo Mercato Sonato, ma di spazi pubblici e luoghi di aggregazione in cui cittadini e le associazioni possano esprimersi liberamente, senza vincoli e condizionamenti da parte del comune e della Fondazione Innovazione Urbana.

Il nostro appello è rivolto alle realtà che come noi non condividono questo modello culturale basato sulla mercificazione e che considera i cittadini meri spettatori invece che attori della vita culturale della città. Costruiamo una risposta collettiva alternativa, facciamo rete, organizziamoci insieme.

Ridiamo vita a quell’anima libera e aperta che da sempre contraddistingue la nostra città!

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