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Ostia. Analisi del voto. Perdono voti M5S e la destra “de panza e de governo”

Domenica scorsa al X Municipio di Roma (quello del litorale, con quasi 250mila abitanti) c’è stato il ballottaggio per la presidenza che ha visto prevalere nettamente la candidata del M5S rispetto a quella della destra. Il dato clamoroso è stato la bassissima affluenza alle urne (il 36% degli elettori).

Poco prima del ballottaggio, l’Istituto Cattaneo aveva analizzato i flussi elettorali delle forze in campo evidenziando tendenze che sono state confermate nel risultato di domenica. Se era prevedibile la debacle del Pd, in termini numerici va sottolineato il crollo dei voti al M5S e alla destra, mentre i risultati migliori sono stati quelli delle liste di sinistra e sull’altro versante dei fascisti di Casa Pound (che però hanno preso solo 5.944 voti) insomma prima di gridare all’allarme meglio guardare i numeri reali. Seimila voti ai fascisti su 180mila aventi diritto al voto non è proprio un plebiscito.

Qui di seguito lo studio di Marta Regalia e Marco Valbruzzi dell’Istituto Cattaneo sui flussi elettorali nel Municipio di Ostia.

Che cos’è successo nelle elezioni per il Municipio X di Roma? Quasi due terzi degli elettori non si sono recati alle urne, un partito di estrema destra ha sfiorato il 10% dei voti e il partito del sindaco in carica a Roma (il M5s) ha visto ridursi i propri consensi di oltre 13 punti percentuali. È passato appena un anno dalle elezioni amministrative a Roma, ma l’orientamento politico e il comportamento

elettorale dei cittadini romani sembrano già essere, almeno in parte, mutati. Come possiamo spiegare questi movimenti di voto? Ma, soprattutto, quali sono gli elettori che hanno concretamente messo in moto una dinamica di trasformazione elettorale così repentina?

Per rispondere a queste domande, l’Istituto Cattaneo ha effettuato alcune analisi sull’esito delle elezioni nel Municipio X, mettendo a confronto i risultati delle elezioni comunali del 2016 con quelli delle elezioni municipali di domenica scorsa. In particolare, verranno esaminati i flussi di voto tra le due elezioni, per capire come sono cambiate le preferenze degli elettori e chi maggiormente è stato premiato o danneggiato da questi spostamenti

Prima di analizzare i flussi elettorali, è utile dare uno sguardo d’insieme alle due tornate elettorali qui esaminate.

Il primo dato che risulta particolarmente evidente è la netta riduzione dei votanti: erano oltre 103 mila in occasione delle elezioni comunali e sono appena 67 mila nelle elezioni per il rinnovo delle cariche per il Municipio. In pratica, domenica scorsa poco più di un terzo dell’elettorato, pari al 36,1%, si è recato ai seggi. Un dato che, solo in parte, può essere spiegato dalla diversità dei contesti elettorali e delle cariche in palio, da un lato, il sindaco di Roma e, dall’altro, il presidente di un singolo Municipio.

Se poi esaminiamo i voti di coloro che si sono recati a votare, ci sono almeno tre aspetti da sottolineare.

Primo: sia nel 2016 che nel 2017, i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di consensi sono stati quelli del M5s e del centrodestra (che si sfideranno nel ballottaggio del 19 novembre).

Secondo: sono questi stessi due schieramenti a subire le maggiori perdite elettorali nel giro di appena un anno.

Il M5S ha visto il suo bacino elettorale ridursi di quasi 23 mila voti, mentre la coalizione di centrodestra ha perso più di 11 mila voti. In terza posizione per quel che riguarda la riduzione dei propri consensi si colloca il candidato del Pd, con una differenza in negativo di quasi 9.800 voti. Già questi primi dati – tra l’impennata dell’astensione e le perdite dei partiti maggiori – danno l’idea della quantità di elettori che in poco più di un anno ha modificato il loro orientamento elettorale.

A ciò va aggiunto il terzo elemento da mettere in evidenza: la crescita dei consensi per i candidati dei partiti non tradizionali e, in alcuni casi, alternativi o radicali. Il caso più eclatante è stato sicuramente quello di CasaPound, il cui candidato ha visto praticamente triplicare i suoi voti in termini assoluti, passando da meno del 2% dei voti validi a oltre il 9%. Ma un risultato simile, anche se in misura meno marcata, lo si ritrova per i candidati di sinistra (Eugenio Bellomo e il cosiddetto “prete rosso” Franco De Donno): se nel 2016 i candidati di sinistra (non alleati col Pd) avevano raccolto appena 4.000 preferenze, nel 2017 i candidati della stessa area hanno visto raddoppiare i loro consensi (8.006 voti).

Quindi, le elezioni del 2017 hanno visto una significativa contrazione dei voti per i candidati dei partiti tradizionali (di centrodestra o centrosinistra) e del M5s,il quale nel contesto della Capitale può essere definito come un esponente dell’establishment, in quanto espressione della giunta comunale. Al contrario,

sono aumentati notevolmente i consensi per i candidati più “radicali” o per quelli espressione del civismo che non possono essere inclusi nelle classiche categorie politiche della destra o della sinistra.

Alla luce di questi risultati e mutamenti, sono almeno quattro gli interrogativi rilevanti a cui merita dare una risposta attraverso l’analisi dei flussi:

1) dove sono finiti gli elettori della Raggi che nel 2017 non hanno sostenuto la candidato del M5s;

2) chi ha contribuito maggiormente ad allargare l’area del non-voto;

3) quali elettori hanno favorito la crescita dei candidati più radicali, in particolare di CasaPound;

4) come si comporteranno gli elettori dei candidati sconfitti in vista del prossimo turno di ballottaggio. Nell’ordine e sulla base delle stime statistiche derivanti dall’analisi dei flussi elettorali, cercheremo ora di rispondere a questi quattro interrogativi.

  1. Dove sono finiti gli elettori di Virginia Raggi e del M5s?

Alle elezioni comunali del 2016, Virginia Raggi ottenne il suo miglior risultato proprio nel Municipio X, superando il 43% dei consensi. A un anno di distanza, la candidata del M5s a livello municipale si è, invece, fermata al 30%. Come possiamo spiegare questa variazione? La tabella 1 riporta i flussi

in uscita tra le elezioni comunali del 2016 e quelle municipali del 2017. In sostanza, ponendo uguale a 100 il bacino elettorale di un candidato nel 2016, questa tabella ci permette di vedere come si è comportato o diviso quello stesso elettorato nelle elezioni successive. Come si sono orientati allora gli elettori del M5s?

Quasi un elettore su due di Virginia Raggi non si è recato alle urne per elezioni del Municipio e “solo” il 37,7% ha confermato la propria scelta per la candidata del M5s. In alcuni casi minori, si osservano anche spostamenti di voto verso il candidato del Pd (pari al 3,7% di chi aveva sostenuto Raggi nel 2016), del centrodestra (pari al 2,7%) e all’incirca per il 2% anche verso l’esponente di CasaPound. In sostanza, il M5s si è spaccato a metà (tra il non-voto e i partiti più disparati), confermando così l’eterogeneità del suo elettorato.

  1. Chi ha fatto crescere l’area del non-voto?

Tra il 2016 e il 2017 l’astensione è aumentata di 20 punti percentuali, passando dal 56,1% al 36,1%. Quali sono stati gli elettorati che hanno deciso di non recarsi ai seggi per le elezioni del proprio Municipio?

Per rispondere a questa domanda, è utile osservare la tabella 2, che riporta i flussi in entrata tra il 2016 e il 2017. In questo caso, sono i voti di un candidato nel 2017 ad essere posti uguale a 100, in modo tale da poter indagare la diversa “provenienza” dei suoi elettori.

Se osserviamo il dato dell’astensione nel 2017, notiamo innanzitutto che nel 62% dei casi si tratta di astensionisti cronici o ripetitivi, che cioè si erano già astenuti alle elezioni comunali del 2016.

È una forma di astensionismo a suo modo radicale. Però, non è stato questo astensionismo cronico a fare impennare nel 2017 l’area del non-voto.

A contribuire maggiormente all’aumento dell’astensione sono stati, in ordine di rilevanza, gli elettori di Virginia Raggi (18,2%), Giorgia Meloni (13,7%) e, infine, per un 3,8% sul totale degli astensionisti alle elezioni di domenica scorsa, Roberto Giachetti.

In numeri assoluti, all’incirca 19 mila di questi astensionisti “selettivi” – che hanno scelto di non tornare alle urne a un anno di distanza – provengono dal M5S, all’incirca 13-14 mila dagli elettori di Giorgia Meloni e 4 mila da chi nel 2016 aveva sostenuto la candidatura di Giachetti.

Quindi, il “partito del non-voto” si rivela ancora una volta come un aggregato pigliatutti, all’interno del quale si trovano (ex-) elettori di diversi schieramenti, disponibili a riattivarsi in occasioni future, forse anche in vista del ballottaggio.

  1. Chi ha votato per CasaPound?

Come possiamo spiegare l’enorme balzo avanti compiuto dal candidato di CasaPound che, partendo da una base di consensi dell’1,9% è arrivato a raccogliere oltre il 9% dei voti? Per rispondere a questa domanda è utile tornare ad osservare la tabella 2, contenente i flussi in entrata. Come si può vedere, il candidato di CasaPound nel Municipio X (Luca Marsella), oltre ad avere preso in eredità quasi i due terzi dei voti degli elettori di CasaPound nel 2016, è riuscito ad attrarre nuovi consensi anche dagli altri schieramenti. Nello specifico, tra gli elettori di Marsella troviamo chi nel 2016 aveva votato Alfio Marchini (22%), Virginia Raggi (15,2%) e Roberto Giachetti (8,5%). Così anche la destra radicale di CasaPound si dimostra a livello locale un partito catalizzatore della protesta, al di là degli schieramenti partitici o degli steccati ideologici. In questi casi, non conta più – o non conta soltanto – la divisione tra sinistra e destra, ma sembra prevalere un comportamento di voto basato su altre dimensioni, ad esempio tra chi si sente in una situazione di marginalità sociale e chi invece ritiene di occupare una posizione non periferica nella società.

Peraltro, questo orientamento di voto non premia soltanto la destra radicale. Come mostra l’analisi dei flussi, sono anche le candidature della sinistra civica o movimentista (Bellomo e De Donno) ad attrarre una porzione consistente di voti dagli elettorati dei candidati dal M5s, del Pd e anche di centrodestra.

  1. Che cosa succederà al ballottaggio?

Per rispondere a questa domanda, è necessario, da un lato, osservare l’orientamento di voto dell’elettorato dei candidati sconfitti (in particolare, di centrosinistra e di destra estrema) e, dall’altro, prendere in considerazione l’elettorato potenziale dei candidati andati al ballottaggio, soprattutto di quello che non si è recato ai seggi al primo turno, ma potrebbe decidere di andare votare nel turno successivo e “decisivo”.

In quest’ultima prospettiva, la candidata del M5s parte sicuramente in vantaggio perché possiede – come abbiamo indicato in precedenza – una quota consistente di elettorato “astensionista”che, se adeguatamente incentivato, potrebbe essere chiamato alle urne nel ballottaggio. Se la candidata dei cinquestelle riuscisse a rimobilitare una parte dell’elettorato della Raggi deluso e disinteressato, le sue chance di vittoria aumenterebbero notevolmente.

Osservando, invece, gli orientamenti di voto degli elettori dei candidati sconfitti, in particolare di quelli arrivati terzi (Pd) o quarti (CasaPound), la partita del ballottaggio appare tutt’altro che chiusa.

Tra i sostenitori del candidato di CasaPound nel 2016, la quota di elettori che si è divisa tra il M5s e lo schieramento di centrodestra è esattamente la stessa (15,6%; vedi tab. 1). Quindi, è probabile che anche al ballottaggio l’elettorato della destra estrema si divida a metà nella scelta tra le due opzioni.

Diversamente, tra chi nel 2016 aveva votato Giachetti, sembra prevalere un atteggiamento tendenzialmente più favorevole alla candidata del centrodestra rispetto a quella dei cinquestelle.

In questo modo, il vantaggio del M5s rispetto al centrodestra potrebbe riequilibrarsi, riaprendo la sfida del ballottaggio. Ma, essendo molte le variabili in grado di spostare l’ago della bilancia da una parte o dall’altra, è indubbio che, in tempi di astensionismo rampante, diventa fondamentale innanzitutto riportare al voto i propri fedeli sostenitori.

 

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