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Roma. La periferia torna in piazza contro la guerra

Si sono dati appuntamenti di primo pomeriggio a Casal Bruciato, sotto un bel sole primaverile mitigato da un vento fresco, poi hanno raggiunto la Tiburtina, svoltato a sinistra per arrivare in corteo all’altezza di Portonaccio, prima del ponte che dà sulla tangenziale, terminando la manifestazione con alcuni interventi di chiusura.

Dopo il corteo di Cinecittà del 19 marzo, a Roma la periferia torna in piazza per manifestare contro la guerra in Ucraina e i venti che soffiano sulla generalizzazione a livello mondiale di un conflitto che tanta sofferenza sta generando, da 8 anni a questa parte, e che comincia a far sentire le sue conseguenze economiche anche nel nostro paese.

La “Rete tiburtino contro guerra e riarmo”, questo il nome che racchiude le organizzazioni e i comitati di quartiere che hanno dato vita all’appuntamento, ha lavorato nelle scorse settimane per preparare la giornata, convinta che in città ci sia un generale consenso sul rifiuto della guerra e dell’ennesima escalation militare, come invece il sistema dei mass media e dei partiti asserragliati al governo tentano di nascondere.

E in effetti così è stato. Il combattivo contingente che ha attraversato la Tiburtina ha volantinato le sue parole d’ordine lungo il tragitto e fatto numerosi interventi all’amplificazione, preparata per l’occasione sul furgoncino di apertura, trovando orecchie pronte all’ascolto e generale approvazione negli abitanti presenti tra i negozi e affacciati dai palazzi raggiunti dalla manifestazione.

I temi principali sono stati innanzitutto il rifiuto dell’intervento bellico come risoluzione dei conflitti, intervento che rischia oggi più che mai di trasformarsi in una terribile terza guerra mondiale combattuta con armi nucleari.

L’elmetto indossato dal governo Draghi e dai partiti che lo sostengono, in particolare dal Pd, sono stati i bersagli politici più colpiti in quanto maggiori responsabili dell’attuazione cieca dei diktat che arrivano dall’Unione europea e dalla Nato.

La fuoriuscita dell’Italia dalla Nato è stato un altro punto dirimente, in quanto strumento di guerra, i cui automatismi (come il famigerato art. 5) fanno sì che i popoli si ritrovino in guerra senza nessuna possibilità di discussione parlamentare.

In ultimo, ma non per importanza, la guerra in Ucraina sta già facendo sentire le sue conseguenze in Italia da un punto di vista economico. I costi delle bollette, dei beni alimentari, della benzina ecc., registrano un innalzamento del costo della vita che mette in difficoltà ampi strati di popolazione che vive nella città (come del resto del paese).

Allora il rifiuto della guerra si trasforma in proposta positiva per l’utilizzo di quei soldi, magicamente spuntati fuori dopo anni di austerità e di “non ci sono le risorse”, che andranno ad aumentare le già alte spese militari e l’invio di armi (che hanno un costo, anche molto elevato) sul teatro del conflitto.

Un “No alla guerra”, come recitava lo striscione di apertura, che diventa immediatamente un Sì alle spese sociali, per maggiori investimenti pubblici sui servizi di quartiere; sulla sanità per tutti; sulla creazione di posti di lavoro; sulla manutenzione delle case popolari e per l’edilizia residenziale pubblica, togliendo il dominio ai palazzinari privati che speculano sui prezzi delle case; sulla messa in sicurezza degli edifici scolastici, e tanto altro.

In una città già martoriata da abbandono delle istituzioni, discariche a cielo aperto, trasporto pubblico inadeguato (per metà già privatizzato purtroppo, con i risultati che vediamo soprattutto in periferia), mancanza di servizi al cittadino, nonché due anni di durissima pandemia che ha messo in difficoltà tantissimi lavoratori e piccoli commercianti, ebbene gli abitanti della Tiburtina hanno scelto di scendere in strada per far sentire le proprie ragioni e costruire la propria forza.

Un altro passo dunque, di certo ancora piccolo ma molto significativo, per costruire una città diversa e una periferia “a misura di cittadino/a”, a partire dal rifiuto della guerra in corso, dell’invio di armi e dell’economia di guerra.

Dopo Cinecittà, anche la Tiburtina batte un colpo e promette di proseguire l’impegno nelle prossime settimane. Un’indicazione di lavoro importante, per chiunque abbia davvero a cuore le sorti degli abitanti di Roma e del resto del paese.

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