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Roma. I prigionieri e le prigioniere prendono parola

Sono sempre poche le voci che si esprimono sul carcere, sulla sua funzione e sulle sue progressive trasformazioni indissolubilmente legate a quelle dei tempi della società in cui è inserito.

Quelle poche diventano un numero più alto quando qualcosa accade al suo interno. Quando la sua quotidianità viene, per qualche ragione, interrotta.

A quel punto, però, i mass-media riportano solo le testimonianze di chi sembra essere l’unica fonte attendibile: i sindacati di polizia penitenziaria.

E le voci di chi vive la galera sulla propria pelle? Silenziate…

Quelle devono essere alte, molto alte, per essere ascoltate.

E a volte diventano urla.

È accaduto durante le rivolte dei prigionieri e delle prigioniere negli anni ‘70, quando anche fuori quelle mura la società era in piena trasformazione, grazie alle lotte portate avanti su tanti fronti (da studenti, lavoratori, donne…) e la connessione tra “dentro” e “fuori” era intensa e costante.

È accaduto nel marzo 2020, quando la paura del contagio e l’isolamento dai propri affetti (con l’interruzione dei colloqui familiari – detenuti) hanno vinto sulla rassegnazione in cui, negli ultimi anni, sembrava fossero cadute la maggior parte delle persone detenute.

Rivolte decise, esplosioni di rabbia. Forse non paragonabili a quelle di 50 anni prima per progettualità. Ma il grido diceva “noi esistiamo!” a fronte dell’assoluto disinteresse dello Stato nei loro confronti.

Rivolte sedate con violenza inaudita, anche a distanza di mesi, come accaduto a Santa Maria Capua Vetere (perché lo Stato non dimentica) e che hanno causato la morte di ben 14 persone, di cui 9 a Modena.

Ieri come oggi?

Quale era il tessuto prigioniero degli anni ‘70 e quale quello attuale?

Perché proprio a Modena la repressione si è manifestata nel modo più violento, provocando una strage mai avvenuta prima?

Perché a Santa Maria Capua Vetere, quella che da più parti è stata definita una mattanza, è avvenuta un mese dopo quelle rivolte?

E oggi, cosa sta accadendo all’interno delle mura perimetrali che delimitano l’isolamento tra chi è fuori e chi è dentro?

Come provare a superarle per ascoltare le voci che da lì dentro provengono?

Abbiamo scelto di confrontarci e approfondire questi temi in una tavola rotonda con gli autori di tre importanti volumi che negli ultimi anni hanno trattato di questi temi:

– L’aria brucia di Antonio Susca e Giancarla Rotondi

– La Settimana Santa di Luigi Romano

– Morti in una città silente di Sara Manzoli.

Ci vediamo sabato 18 novembre ore 19 a Logos festa della parola.

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