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Milano. Sala propone l’autonomia differenziata in salsa metropolitana

Con una lettera pubblicata sulle pagine odierne di Milano Finanza, il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha proposto una sorta di “Zona economica speciale metropolitana” per il rilancio post-pandemico del capoluogo lombardo.

L’idea arriva in risposta a un appello fatto ai candidati sindaci di Milano dall’avv. Bepi Pezzulli, “avvocato d’affari, manager e giornalista di orientamento atlantista e filoanglosassone” – come si legge sul suo blog –, su un progetto specifico di ripresa per la città in seguito alla pandemia.

Secondo l’attuale sindaco, Milano ha sì “pagato un prezzo altissimo al Coronavirus”, ma “i valori fondanti di Milano – cultura universitaria, solidarietà, creatività, imprenditoria e impegno civico” hanno scongiurato il crollo e permesso di “evitare quei danni sociali che in altre situazioni hanno generato ferite insanabili”.

Come il capoluogo della Regione con uno dei più alti tassi al mondo di decessi provocati dal covid per numero di abitanti possa promuovere la sua amministrazione resta un mistero, peraltro con ancora freschi nella cittadinanza i ricordi delle drammatiche vicende accadute nelle Rsa (milanesi e lombarde), frutto indiretto delle decennali politiche di privatizzazione nel comparto sanitario.

Comunque sia, la ricetta di Sala per la ripartenza cittadina sarebbe quella di un “regime finanziario speciale per Milano Piazza Finanziaria. È la strada – prosegue il candidato Pd nel capoluogo – per arrivare a porre il tema più generale di una Legge per le Grandi Città basate su un disegno riformatore più ampio che definisca ambiti di autonomia e scelta maggiori”.

Di cosa si tratta? Dietro le roboanti parole, si nasconde in realtà l’ennesimo tentativo di “autonomia differenziata”, stavolta in salsa metropolitana, che tanti danni ha provocato a partire dalla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, quella volta a livello regionale.

In termini politici, l’aver equiparato la potestà legislativa di Stato e Regioni su alcuni ambiti decisivi (come scuola e sanità, per esempio) per il governo del paese ha generato quel caos che, purtroppo, tanto bene abbiamo imparato a osservare nei momenti più duri della pandemia, dove l’unità d’intenti sarebbe stato la condizione minima necessaria per poter dare una risposta efficace alla diffusione del virus.

In termini economici, ha acuito le già profonde diseguaglianze che pervadono lo stivale, sia tra nord e sud, sia tra le figure sociali all’interno delle stesse zone d’Italia, a causa di una capacità inferiore di redistribuire la ricchezza sia alle fasce sociali meno abbienti, sia alle zone meno produttive.

La proposta di “regime finanziario speciale” allora si inserisce in piena continuità con lo spezzatino perpetrato da decenni al governo del paese. Lo scopo, per usare un linguaggio caro ai liberal-liberisti, è rendere Milano un hub dinamico e attrattivo per i capitali di mezzo mondo in cerca disperata di redditività, che nel gergo dei lavoratori significa sfruttamento e salari inferiori al valore di quello che si produce.

Per fare questo, il feticismo della concorrenza impone di rendere le condizioni di investimento per le multinazionali – nella fattispecie finanziarie – più favorevoli rispetto agli altri competitor.

Dov’è la fregatura? Che capitale e lavoro, ossia padroni e lavoratori, imprenditori e operai, businessman e impiegati (ognuno li chiamo come crede), hanno interessi opposti e il guadagno di uno significa la perdita per l’altro.

In effetti, questo significherà decontribuzioni, sgravi fiscali, sussidi, riduzione del costo del lavoro (cioè del salario, soprattutto indiretto e differito) ecc., ossia tutta la congerie di strumenti che alla fine dei conti sottraggono risorse alla res pubblica per costruire scuole, mantenere ospedali, mettere in sicurezza ponti, dighe, raccogliere l’immondizia, garantire i trasporti e via dicendo.

È in definitiva l’antitesi di un’idea di “città pubblica” al servizio della popolazione, con strumenti e risorse atte a ridurre le diseguaglianze, e non a favorire i prenditori privati di turno – che, fin dall’etimologia, privano il resto degli abitanti di ciò di cui si accaparrano.

A pensarci bene, è anche il filo rosso che lega le pagine del Pnrr e di tutte le riforme che il governo Draghi I è chiamato a implementare, dalla giustizia alla concorrenza, a quel che rimane del welfare al lavoro, al reddito di cittadinanza: ossia rendere il paese un porto sicuro e libero da lacci e lacciuoli per il volere delle imprese, con buona pace della sicurezza sul (e del) lavoro o del diritto a un processo equo, per esempio.

Sulle zone economiche speciali in aree metropolitane si era espresso nei giorni scorsi anche il Presidente della regione Campania De Luca in favore di una loro implementazione a Napoli (il Pnrr ne prevede in tutte le regioni del sud), mentre a Roma è in corso il dibattito di riforma Costituzionale per garantire alla capitale lo status di “Roma Regione”, ossia l’ennesima formula per aumentare il livello di concorrenzialità di un “luogo” per sottrarre risorse al “vicino”.

È il “tutti contro tutti” tanto caro al neoliberismo, quello che negli ultimi 40 anni a livello mondiale ha garantito solo aumento delle diseguaglianze, disastri ambientali, lavoro povero e, in ultima istanza, guerre.

Tutto quello di cui Milano, così come il nostro paese, non ha bisogno.

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