Questa mattina attorno alle ore 6 circa 400 poliziotti hanno accerchiato una delle palazzine dell’ex Moi (quella abitata per lo più dalle famiglie) per sgomberarla.
La modalità di sgombero è quella da copione per le case occupate in tutti i dettagli, eccetto l’ingente propaganda degli scorsi mesi sull’efficienza e la bontà del cosiddetto “sgombero assistito”. Per molto tempo infatti abbiamo letto su Stampa e Repubblica dichiarazioni di esponenti del comune sulla sincera volontà di risolvere la situazione nel migliore dei modi, garantendo la sicurezza del quartiere e soluzioni per gli abitanti delle palazzine che venivano descritti o come “poveri ragazzi” o come “criminali” a seconda di quello che le necessità di propaganda chiedevano al momento.
L’occupazione dell’ex Moi nasce nell’inverno del 2013 e la sua storia tiene dentro di se tutte le contraddizioni dell’assurda gestione delle risorse dei nostri tempi
– La costruzione fisica delle palazzine e il successivo abbandono sono il risultato della speculazione edilizia collegata allo spreco di soldi del grande evento delle Olimpiadi invernali del 2006, che provocarono gravi debiti alla città, ed ancora oggi vengono utilizzati come giustificazione a tagli di welfare e servizi. Erano state costruite per ospitare sportivi e giornalisti, la narrazione voleva che sarebbero poi state convertite a case popolari, ma i 7 anni di abbandono successivi e le carenze strutturali parlano chiaro su qual’era la loro funzione reale: permettere una maggior speculazione possibile con la minor spesa (È quindi assurdo che davanti a questa evidenza la giunta comunale possa pensare di candidare Torino per le olimpiadi del 2026.)
– L’ occupazione è il risultato della mala-gestione del fenomeno accoglienza: le palazzine sono state infatti occupate in seguito alla fine dei progetti di seconda accoglienza chiamati “emergenza Nord Africa”, il cui intento dichiarato era l’inserimento abitativo e lavorativo di migranti arrivati in Italia in seguito alla guerra in Libia. In realtà si è trattato solo di uno strumento di speculazione sull’emergenza, per fare soldi sulla pelle di persone che si erano spostate da un paese a un altro. Nei due anni in cui è durato, questo progetto ha provocato una forte esclusione dalla società dei soggetti coinvolti e un rapporto di dipendenza dalle strutture in cui erano inseriti, determinando l’esercitarsi di rapporti di potere.
Una volta finiti i soldi stanziati per il progetto è “finito l’amore”: centinaia di persone si sono improvvisamente trovate senza un tetto, catapultate nella società e nella città dalle quali l’accoglienza le aveva tenute escluse.
L’occupazione è stata quindi la reale risposta al problema abitativo: in modo autogestito e collettivo si è deciso di utilizzare le palazzine che erano state costruite per essere abbandonate e lasciate a loro stesse.
Questa situazione mostra la reale faccia dell’ accoglienza di cui tanto si parla negli ultimi tempi: una parola usata per giustificare l’esistenza di un welfare differenziale, il più delle volte utile a cooperative-privati-banche per fare soldi nel migliore dei modi con il beneplacito dello stato.
– Il progetto di sgombero assistito è la creazione di problemi per poterne fare ancora una volta una mala-gestione finalizzata alla speculazione.
Quella dello sgombero è una necessità creata e costruita politicamente attraverso una forte propaganda portata avanti da partiti e giornali, sia di estrema destra (casa pound, forza nuova e la morbosa attenzione mediatica di Salvini), ma anche dagli antirazzisti dell’ultima ora: PD e compagnia bella che se da una parte sventolano la bandiera dell’emergenza razzista post lega al governo, dall’altra hanno preparato il terreno per la situazione che abbiamo davanti agli occhi oggi (ricordiamo varie dichiarazioni dell’ex sindaco Fassino sulla pericolosità degli abitanti dell’ex Moi, e la costruzione del sistema-torino che ha permesso gli accordi con la San Paolo, oggi tra i finanziatori dello sgombero).
Si parla di 6 milioni di euro stanziati per dare soluzioni abitative e lavorative ad una piccolissima parte degli occupanti per periodi tra i sei mesi e un anno. Se una cifra del genere (senza contare gli stipendi delle centinaia di poliziotti oggi presenti per lo sgombero), fosse stata data agli occupanti per l’auto-recupero dello stabile e al quartiere per il miglioramento di alcuni servizi e lo svolgimento di alcuni lavori nella zona è chiaro che la soluzione si sarebbe data da sè.
La realtà dei fatti è dunque chiara. Nella nostra società non c’è alcun problema di mancanza di soldi ne tantomeno di case, visti i le 60mila alloggi vuoti in città. Quello che rappresenta un problema per gli accrocchi della politica alta (partiti e banche) sono le esperienze di autogestione nei territori che riescono a trovare soluzioni reali e strutturali non solo al problema abitativo ma anche a quello dell’abbandono di spazi – quest’ultimo porta realmente a un forte degrado cittadino.
Autonomia e autogestione producono, grazie alla loro forza organizzativa, delle soluzioni a lungo termine che rispettano le reali necessità di chi le costruisce e liberano dalle maglie burocratiche del governo il quale, con la creazione di problemi e la gestione delle soluzioni, mantiene il controllo sociale e produce rapporti di potere su cui si regge.
Esperienze di questo tipo non vengono fermate da uno sgombero ma continuano ad alimentarsi e riprodursi attraverso la forza delle lotte, in quanto uniche pratiche che danno dignità alle nostre vite e risposte reali ai bisogni: nelle resistenze antisfratto, nei picchetti della logistica, nelle occupazioni di stabili grandi e di case popolari.
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