Antonio Fiordiso, classe 1984, è stato arrestato il 13 dicembre del 2001 per una rapina a mano armata commessa nella farmacia «Eredi di Cagnazzo» di Galugnano, in provincia di Lecce. Passano gli anni e il giovane, come spesso accade ai detenuti, viene fatto girare tra le carceri del Belpaese: dal «Borgo San Nicola» di Lecce a Taranto, poi un ricovero all’ospedale «Vito Fazi» ancora a Lecce, poi Asti, poi di nuovo Taranto.
Era l’8 dicembre del 2015 quando il cuore di Antonio ha smesso di battere. Dal 20 ottobre era ricoverato all’ospedale «Moscati» di Taranto in stato comatoso: setticemia e presunte lesioni che però non sono mai state accertate con un’autopsia.
La procura di Taranto ha aperto un’inchiesta, ipotizzando il reato di omicidio colposo a carico di ignoti. Gli stessi magistrati, però, hanno in seguito chiesto l’archiviazione del fascicolo e ora si attende soltanto la fissazione dell’udienza preliminare davanti al Gip: l’appuntamento decisivo per capire se nasce o se muore il caso di Antonio Fiordiso.
La famiglia del ragazzo si è affidata all’avvocato Paolo Vinci per opporsi all’archiviazione del caso, e la linea messa in piedi dal legale rappresenta un’enorme domanda che forse meriterebbe risposta attraverso un’inchiesta giudiziaria: come è stato possibile che un detenuto sia giunto in ospedale affetto da «stato settico in paziente con polmonite a focolai multipli bilaterali. Diabete tipo 2. Grave insufficienza renale. Tetraparesi spastica»? Ovvero se si può considerare normale che nelle patrie galere ci si possa ammalare in modo tanto grave da morire in ospedale nel giro di poche settimane.
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