Esprimiamo profonda preoccupazione e indignazione per la sorte riservata ai lavoratori di Air Italy, spremuti come limoni e gettati dall’aereo una volta che i profitti non sono ritenuti più soddisfacenti. Non è giusto che la crisi della compagnia debba esser pagata dai lavoratori, che non hanno alcuna colpa di quanto accaduto.
Le colpe sono da ricercarsi non – come asserisce la compagnia – nella crudele competitività del mercato, ma nella mancata volontà dell’azienda ad adeguarsi a una realtà di cui gli stessi azionisti fanno parte. Sia l’Aga Khan sia il Qatar hanno ricevuto negli anni, giunta dopo giunta, ogni possibile sostegno dalla Sardegna. Hanno visto sfilate di assessori e presidenti con il taccuino su cui appuntare la lista dei desideri, sempre puntualmente esauditi anche quando non più convenienti per noi.
Abbiamo fortemente criticato la giunta Pigliaru quando si è fidata delle parole della compagnia, che asseriva che col trasferimento dell’hub a Milano niente sarebbe cambiato per le sorti dell’isola. Questi sono i risultati.
Abbiamo assistito al cambio di governo della Sardegna, con l’attuale classe politica vecchia che si spaccia per nuova, che come prima cosa ha cancellato gli accordi sulla continuità senza sapere dove avrebbe messo i piedi dopo il salto nel vuoto. Parallelamente il suo rapporto nei confronti della compagni sono stati gli stessi delle giunte precedenti, ovvero dare, sempre dare e prepararsi a dare ancora, come con la legge urbanistica che fa gola al Qatar, sperando che a tutto ciò corrispondesse paterna, o meglio, padronale comprensione per il fedele servitore.
Questi sono i risultati.
Ciò che accade oggi è la sommatoria dell’incapacità di una classe politica complessiva, fatta di attendenti, prestanome del potere coloniale, obbedienti e presuntuosi caporali mossi da molta ambizione, a cui corrisponde – i fatti parlano chiaro – una pessima capacità di governo.
Negli stessi giorni in cui si continua a voler scaricare le proprie responsabilità politiche sulla geografia, dando tutte le colpe all’insularità, la Sardegna affonda per mala politica, con una stagione turistica che non potrà che essere disastrosa, con altri 550 disoccupati sardi, con l’artigianato che muore, con il commercio schiacciato da quella grande distribuzione organizzata accolta con i tappeti rossi, con le fabbriche chiuse e non bonificate, con la pastorizia in ginocchio, con l’agricoltura annientata…
La Sardegna muore, ammazzata dalla politica di stampo italiano e dai suoi alleati autonomisti.
E per non smentire il nostro stato di colonia, la ministra dei Trasporti De Micheli appena saputo della fuga padronale ha espresso preoccupazione per i disagi che questo causerà ai turisti. Ai turisti. Non ha pensato alle 1200 famiglie messe sulla strada, non ha pensato ai 550 lavoratori sardi che stanno preparando la valigia non da steward e hostess ma da emigranti. E tantomeno ha pensato al popolo sardo, che vede un ulteriore colpo al suo diritto – grottescamente, quello sì, messo in Costituzione e disatteso da sempre – alla mobilità.
Deve essere chiaro a tutti che ieri non ha fallito solo Air Italy: ha fallito l’intera classe politica regionale degli ultimi anni, con il suo servilismo, la sua abitudine a lasciarsi abbindolare da promesse vane, solo per potere esibire sui giornali titoli altisonanti per (presunte) vittorie e foto ricordo con avventurieri di ogni dove.
A noi Sardi resta, ancora una volta, il dilemma se continuare eternamente a firmare assegni in bianco e suppliche di pietosa misericordia nei confronti di affaristi d’oltremare, oppure se ripensare, coraggiosamente, un nostro modello di sovranità dei trasporti, costituendo una Compagnia regionale al servizio dei nostri cittadini, come già accade in altre isole, rivendicando il diritto dei Sardi alla mobilità verso ogni direzione.
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