Risale a qualche giorno fa la notizia che si è già dato il via alla manutenzione degli stabilimenti balneari per non farsi trovare impreparati e, racconta l’assessore agli Enti locali Sanna, “in attesa della riapertura, al governo abbiamo chiesto linee guida omogenee per tutto il territorio nazionale per quanto riguarda la distanza da rispettare nel posizionamento di lettini nelle strutture, ma anche a quali regole dovranno attenersi i cittadini nelle spiagge libere”.
Già da gennaio 2020 lo stesso assessorato ha presentato la determinazione che ha disposto l’estensione delle concessioni balneari fino al 31 dicembre 2033, recependo il prolungamento disposto dalla legge 145/2018.
Un giro d’affari in crescita quello degli stabilimenti balneari visto che, secondo uno studio della Camera di commercio di Milano, solo nell’ultimo anno in Sardegna sono cresciuti di circa il 7%.
In questi giorni abbiamo sentito nei tg della Sardegna le preoccupazioni dei rappresentanti della categoria, che si sono spinti a chiedere un ulteriore allargamento degli spazi occupati dagli stabilimenti, in ragione del distanziamento antivirus e del mancato guadagno dovuto al ritardo nella partenza della stagione.
Pretesti occasionali per famelicità ordinarie, visto che da tempo immemore le spiagge sarde fanno parecchio gola ai tanti imprenditori del settore, anche esterni alla Sardegna, che potendo si approprierebbero dell’intera fascia costiera così come già accaduto in larghe fasce del litorale italiano.
Una voracità che va in crescendo, contestata da indipendentisti e ambientalisti, e che per ora ha avuto un freno con l’impugnazione – su segnalazione del meritorio Gruppo di Intervento Giuridico – della legge della Regione Sardegna n.3 del 21 febbraio 2020, recante “ Modifiche alle leggi regionali n. 45 del 1989 e n. 8 del 2015 in materia di piano di utilizzo dei litorali”.
Ma il fatto che i Sardi siamo frequentatori di spiagge libere non vuole dire che non vogliano nessun tipo di servizi o che questi debbano essere completamente gratuiti: vorrebbero servizi necessari come bagni, docce, bagnino, e li vorrebbero a prezzi accessibili a tutti.
L’evoluzione delle cose fa invece presagire che i facoltosi stabilimenti col pretesto del Covid e della crisi del settore si estendano ulteriormente e a tempo indefinito, tollerati quando anche non incentivati da settori politici compiacenti, riducendo progressivamente lo spazio delle spiagge pubbliche a zone ristrette e di qualità inferiore. In cambio di questa sottrazione all’uso collettivo, è arcinoto, corrispondono canoni che definire irrisori sarebbe un eufemismo.
A differenza di gran parte del turismo esterno, i Sardi solo recentemente hanno conosciuto il sovraffollamento delle spiagge e gli stabilimenti balneari a prezzi esorbitanti. Situazioni paradossali che portano tantissimi Sardi, pur padroni di casa, a preferire di usufruire del loro mare a maggio e settembre.
Stiamo praticamente adattando e modellando lo stare in spiaggia alle abitudini ed alle richieste dei vacanzieri, senza tener conto degli abitanti di questa splendida terra e del fatto che quelli sono beni demaniali, quindi della collettività. Non possiamo consentire che tutto venga ridotto a prodotto e tantomeno che ci sia una progressiva ghettizzazione di classe – e tutto pare andare in questa direzione – con i ricchi distesi nelle zone migliori occupate dagli stabilimenti e i meno abbienti ammassati in fazzoletti di scarso valore commerciale.
A questo punto ci chiediamo se dietro i proclami “ valorizzazione” delle spiagge non ci sia la stessa ottica politica che qualche settimana fa ha tentato di autorizzare la cementificazione delle coste di Piscinas e Castiadas. Un’operazione a vantaggio di due Srl, di cui una del nord Italia, che tentarono di definire come “di interesse generale”.
Abbiamo decisamente bisogno che si inizino a fare non gli “interessi generali” di alcuni settori, ma l’interesse collettivo del popolo sardo.
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