Oggi si è tenuta un’altra udienza del processo TAV scaturito dalle due inchieste della magistratura negli anni passati; non era presente nessun giornalista e nemmeno il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, preso da impegni istituzionali; sicuramente lo vedremo al prossimo incontro con la ministra dei trasporti Paola De Micheli, quando questa verrà in visita in Toscana. I politici nostrani saranno a pigolare perché le grandi opere ripartano in fretta, tutti benedetti dalla Confindustria locale e dai suoi vassalli, sindacati compresi.
Nell’udienza sono stati ascoltati come testimoni alcuni dirigenti della Regione Toscana: il capo gabinetto di Rossi, Ledo Gori, l’ex direttore generale Riccardo Baracco e l’attuale, Antonio Davide Barretta. La selva dei “non ricordo” è stata fitta, soprattutto quando si è tentato di ricostruire l’allontanamento dal settore VIA dell’architetto Fabio Zita, reo di aver bocciato il progetto di stoccaggio delle terre di scavo della fresa a Santa Barbara.
Imbarazzato molto l’attuale direttore generale della Regione Barretta davanti a intercettazioni e email, soprattutto quando l’allora AD di Italferr Mari Rita Lorenzetti si congratula con il presidente Rossi e il suo capo di gabinetto Gori per l’allontanamento di Zita. Imbarazzo anche quando è emerso che la dottoressa Paola Garvin, succeduta a Zita nel settore VIA, avrebbe esternato perplessità sulla possibile contaminazione delle terre da conferire a Santa Barbara (Cavriglia) e allora il Barretta sarebbe prontamente intervenuto perché il procedimento di VIA fosse positivo.
Quel che più impressiona è la pretesa, da parte del direttore generale Barretta, che “i risultati dei procedimenti tecnici siano compatibili con gli indirizzi politici” espressi dalla maggioranza. Questo voler piegare le questioni squisitamente tecniche e scientifiche agli interessi economici e politici di turno non deve passare inosservato, perché si tende a subordinare tutto alla volontà di chi ha il potere; questo è un atteggiamento totalitario foriero di un pessimo futuro. La politica toscana ne è intrisa.
Molto istruttiva è stata la ricostruzione dell’allora capo di gabinetto del ministero dell’ambiente del governo Letta nel 2013, Rosanna di Nictolis, che ha ricordato come il possibile riutilizzo delle terre TAV sarebbe stato possibile solo con l’introduzione del decreto ministeriale 161/2012 (sul riutilizzo delle terre e rocce da scavo) e di come poi questo decreto non sia stato più utilizzato in altri procedimenti. Questo fa legittimamente supporre che quel provvedimento fosse stato emesso ad hoc per il fallimentare progetto fiorentino.
Interessantissima la ricostruzione della vicenda che ha visto coinvolto il geologo Valter Bellomo, rinviato a giudizio con la Lorenzetti nella branca romana del processo TAV, di come questi avrebbe occultato le anomalie delle terre prodotte dalla fresa per destinarle a Santa Barbara, degli accordi di favori reciproci perché tutto andasse come volevano costruttori e politici compiacenti.
Suona strana la pervicace pretesa dei sindaci che si sono succeduti a Cavriglia nel volere le terre di scavo TAV, visto che queste erano legate a molti milioni di euro di compensazioni; forse non hanno mai voluto vedere che i sottoprodotti provenienti dalla fresa sarebbero state al massimo terre contaminate per terreni industriali (previste in tabella B del DL 152/2006), non certamente terre pulite (previste in tabella A) per terreni agricoli o parchi cittadini. Uno degli imbrogli sventati dalle inchieste della magistratura è stato proprio quello di inviare terre contaminate in zone urbanisticamente destinate a zona ricreativa e parco.
Nei prossimi giorni si riparlerà di TAV, ma non del processo; si dirà dei suoi meravigliosi meriti strategici che porteranno Firenze in un radioso futuro tecnologico, si dimenticherà il verminaio descritto dalle inchieste della magistratura, si eviterà accuratamente di parlare dei problemi irrisolti, dei pericoli sottostimati, si mentirà dicendo che l’opera è fatta per metà, si blandirà la vanità dei politici di turno dando ampia eco ai loro poveri slogan.
Le Cassandre non vanno di moda nemmeno oggi.
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