Per gli arrestati negli scontri di sabato, la Procura di Roma ha deciso di non procedere come avviene di solito con giudizi per direttissima. In questo modo ritiene di per poter proseguire negli accertamenti che riguardano i movimenti avvenuti nell’ambito del corteo da parte di chi ha organizzato o partecipato agli scontri nella manifestazione di sabato.
La richiesta di convalida degli arresti e di detenzione in carcere per i 12 arrestati per gli scontri di sabato a Roma, è stata accompagnata dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti da un’ampia motivazione nella quale tra l’altro si sottolinea quali sono le impressioni del magistrato a proposito delle azioni messe in atto. Secondo Saviotti “i reati contestati si inseriscono in un complesso di condotte di maggior gravità che in attesa di altre acquisizioni, esaltano la pericolosità dei reati contestati nella consapevolezza di fornire un apporto alla situazione di prolungata ed allarmante violenza messa in atto”. Agli arrestati viene contestato dalla Procura di aver agito “nel corso di una manifestazione pacifica e autorizzata” utilizzandola “come contesto idoneo ad ostacolare la pubblica difesa”, ossia l’intervento della polizia. La manifestazione per i magistrati è stata quindi “strumentalizzata” dagli arrestati per i loro fini che hanno usato il corteo di manifestanti pacifici “come luogo di mimetizzazione” sapendo che la polizia non avrebbe potuto caricare il corteo.
L’entità della pena prevista per il reato di resistenza a pubblico ufficiale pluriaggravata contestata agli indagati dalla Procura è di tre anni. “Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”, si legge nell’articolo 337 del codice di procedura penale, ma che nel caso specifico risulta aggravato come all’articolo 339, secondo il quale «le pene stabilite sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è della reclusione da tre a quindici anni”.
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