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Perugia. La lotta vincente dei precari in Arcisolidarietà

A fine gennaio si è conclusa l’ultima delle sei vertenze intraprese contro Arcisolidarietà Perugia. Con queste poche righe vogliamo raccontare come sono andate le cose.

Breve riassunto della vicenda.

Per diversi mesi ci siamo occupati come operatori sociali dell’assistenza ai migranti lavorando per Arcisolidarietà Perugia nei progetti di accoglienza (Emergenza Sbarchi) finanziati dalla Prefettura. Nei primi giorni di gennaio 2017, siamo stati mandati a casa da Arcisolidarietà. Così abbiamo deciso di iniziare una vertenza contro il nostro datore di lavoro, rivendicando i nostri diritti. Le nostre richieste riguardavano in particolar modo la necessità di avere un contratto di lavoro di carattere subordinato che superasse i famigerati contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co) imposti da Arcisolidarietà Perugia.

Abbiamo denunciato condizioni di lavoro critiche: dall’assenza di formazione ai carichi di lavoro spropositati, all’utilizzo del “lavoro nero” (tutti noi abbiamo iniziato a lavorare senza aver firmato alcun contratto, solo successivamente veniva “regolarizzata” la nostra posizione lavorativa attraverso un co.co.co.). Questa situazione implicava una pessima condizione sia per noi operatori che per gli utenti inseriti nei progetti di accoglienza.

Mentre a Perugia accadeva tutto questo i nostri colleghi operatori sociali dell’accoglienza, in altre Regioni lavoravano e continuano a lavorare con contratti di lavoro subordinato, con ferie, tfr e altri diritti che noi non abbiamo mai avuto.

Tutto ciò avveniva nel silenzio complice della CGIL, che quando è stata chiamata in causa ha sempre avallato le politiche di Arcisolidarietà, proponendo vergognose conciliazioni agli operatori e non prendendo in considerazione nessun tipo di rivendicazione in contrasto con le volontà di Arci.

Qui a Perugia, la linea filopadronale di CGIL ha di fatto rafforzato la nostra scelta di andare avanti sia legalmente sia politicamente in modo autonomo dai sindacati confederali. Altrove, ad esempio, a Bologna la CGIL e l’Arci hanno sottoscritto accordi per garantire a tutti i suoi lavoratori la copertura dell’art. 18, mentre a Perugia, in Arcisolidarietà c’erano solo co.co.co. a scadenza per tutti.

La dirigenza di Arci Perugia ha sempre rifiutato qualsiasi nostra richiesta a tal proposito ed è per questo che a Gennaio 2017 abbiamo deciso di intraprendere una serie di vertenze al fine di vedere riconosciute in sede legale le nostre richieste. Addirittura alla prima nostra richiesta formale, il Presidente di Arcisolidarietà ci rispondeva che l’associazione aveva sempre agito nel pieno rispetto della legge, sottolineando “gentilmente” che in caso di sconfitta in tribunale avremmo dovuto pagare le spese del processo. Ci siamo quindi ritrovati in tribunale.

Pochi giorni fa abbiamo concluso tutte le vertenze, nonostante le ostentate certezze iniziali di Arcisolidarietà, l’associazione ha preferito trovare accordi piuttosto che continuare i sei processi, pagando persino le spese legali dei nostri avvocati. In virtù di tali accordi sottoscritti fra le parti, Arcisolidarietà ha versato a noi operatori le dovute somme, riconoscendo fino al 40 % dello stipendio percepito da un operatore nell’ultimo anno di lavoro.

Nelle aule di tribunale, ci siamo trovati ad essere il primo caso a livello nazionale di operatori sociali dell’accoglienza che, come nel caso dei riders, rivendicano la subordinazione e i diritti connessi. Ci auguriamo che il risultato raggiunto possa essere un punto di partenza per chi verrà dopo.

Un piccolo segnale certamente, ma per noi molto importante, che riconosce la fondatezza delle nostre istanze e soprattutto dimostra come i diritti non vanno elemosinati, ma vanno conquistati con la lotta. Una lotta che nel nostro caso è costata il posto di lavoro, ma che portiamo avanti con fierezza e determinazione. La nostra piccola storia è importante e può essere d’incoraggiamento anche per chi fino ad oggi ha esitato a rivendicare condizioni di lavoro migliore, trovandosi spesso in condizioni di estrema ricattabilità e precarietà.

La nostra lotta è solamente iniziata, vogliamo allargare il nostro raggio d’azione approfondendo e intervenendo in modo diffuso e generale nel terzo settore e in tutti quei servizi esternalizzati che sono da sempre causa di sfruttamento, precariato e fonte di profitto per pochi.

Quello che stiamo sperimentando materialmente è che la solidarietà e la condivisione delle lotte sono delle armi vincenti ed è per questo che vanno usate ancora di più per rivendicare la nostra dignità nei luoghi di lavoro.

Uniti si vince.

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