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Venezia in piazza per una vocazione “fu-turistica”. Serve un muovo modello

Ieri a Venezia c’è stata una bella e partecipata manifestazione contro quella che viene spacciata come vocazione fu-turistica, un gioco di parole che coglie bene il problema e prova a rimettere in campo una visione alternativa di città. Durante la manifestazione è stato srotolato un lunghissimo striscione con su scritto: “Venezia rinasce se tutte e tutti insieme ci battiamo contro la speculazione e per costruire un nuovo modello di città …”

Qui di seguito una riflessione su Venezia e la città di Ilaria Boriburini, ambientalista, urbanista e esponente di Potere al Popolo.

“La città può essere un eccellente strumento di distribuzione di ricchezza e benessere tra gli abitanti oppure essere un affare su cui imprenditori, investitori e presunti mecenati lucrano con il beneplacito dei governi locali e nazionali.

Non c’è dubbio che anche a Venezia l’ingerenza delle forze economiche e la subordinazione delle istituzioni a queste forze ha svilito la pianificazione come strumento di giustizia sociale e ambientale.

Anziché governare le trasformazioni e l’economia urbana per garantire a tutta la popolazione l’accesso a una casa, ai servizi, allo spazio pubblico, al verde, alla mobilità e a un ambiente sano si è affidato il comando della città agli investitori privati, agli affari facili, agli interessi dei politici di turno.

La città insulare è stata trasformata in uno dei luoghi più intensamente sfruttati dall’industria turistica e culturale, dove ci sono più posti letto per turisti che per residenti. I valori immobiliari e politiche urbane a favore della rendita, rendono Venezia accessibile agli investitori che acquistano per speculare, escludendo le classi popolari e i giovani.

La terraferma laddove non è considerata una discarica, dove alienare le esternalità di un’economia predatoria che semina lavoratori sempre più precari, studenti e residenti espulsi dalla Venezia ‘cartolina’, viene vista come terra di conquista.

È qui che si consumano gli ultimi ettari di suolo naturale con grandi opera viarie, bretelle ferroviarie, ampliamenti aeroportuali in funzione del turismo. Alberghi low cost e centri commerciali o monofunzionali stanno ammazzando la vivibilità dello spazio urbano, l’economia locale dei piccoli negozi locali, e la tradizione della spesa sotto casa, tanto importante per gli anziani e chi non ha l’auto. Marghera, mentre ancora aspetta di essere risanata dai disastri ambientali, continua a essere trattata da pattumiera, da recipiente di vecchi e nuovi scarti, di fabbriche obsolete, di bombe a orologeria che di tanto in tanto esplodono senza che la città tutta si rivolti.

Da una parte dobbiamo affrontare una città ancora più diviso e ingiusta; la gestione dell’emergenza covid-19 e della ripartenza dopo il lockdown stanno funzionando come moltiplicatori delle diseguaglianze. Dall’altra l’innalzamento dei mari e i cambiamenti climatici in generale ci impongono di fronte a scelte radicali se si vuole preservare la continuazione di questa comunità e consegnarla alle future generazioni almeno non peggio di come l’abbiamo ereditata.

Bisogna partire dalle persone più fragile dagli ultimi, dagli invisibili, che in queste crisi, sociale, economica e climatica, sono loro che stanno pagando il prezzo più alto. Non possiamo lasciare indietro nessuna e nessuno, dobbiamo partire proprio dai bisogni concreti e dalle necessità delle zone più massacrate dal disagio, dall’inquinamento, dalla mancanza di servizi e manutenzione. E tutto questo richiede un ripensamento di ciò di cui abbiamo veramente bisogno per orientare le scelte di produzione, di consumo e del lavoro”.

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