Intervista a Mauro Casadio. Torniamo a soffermarci sul recente Forum su “Elogio del comunismo del Novecento” organizzato a Roma dalla Rete dei Comunisti per valutare e approfondire insieme a Mauro Casadio alcuni aspetti emersi dalla discussione.
Intanto è già cominciata la raccolta dei contributi pervenuti al Forum per procedere quanto prima alla pubblicazione degli atti. Già si prevede un volume “corposo” come avvenuto nel caso de “Il Giardino e la Jungla”, la cui circolazione e presentazione nelle città italiane consentirà di proseguire il dibattito e le analisi emerse dal forum del 4-5-6 ottobre. Mauro Casadio, per la Rete dei Comunisti, ha curato l’introduzione dei lavori del Forum.
Da cosa è nata l’esigenza di dare vita ad un Forum sull’elogio del comunismo del Novecento?
Nasce dalla palese ed incredibile rimozione che viene fatta di fronte ai drammatici scenari che stanno maturando per tutta l’umanità prodotti dallo sviluppo capitalista. Siamo di fronte nuovamente ai rischi di una guerra nucleare, ad un immiserimento generalizzato delle classi subalterne laddove il capitalismo e l’imperialismo comandano ed a questi scenari si aggiungono i danni prodotti dalla crisi ambientale.
Ebbene, a sinistra e tra la cosiddetta intellettualità nessuno si pone il problema di una rivisitazione storica di quello che è successo nel Novecento, quando il movimento comunista e di classe ha imposto un processo di emancipazione generalizzato per le classi ed i popoli sfruttati ed al capitalismo stesso un cambiamento profondo.
La storia palesemente non è finita eppure nessuno in modo organico si pone il problema di dire che quella esperienza rivoluzionaria, quel conflitto di classe è stato storicamente il più potente mai avuto, producendo crescita sociale, culturale ed umana. In questa incapacità, in buona ed in cattiva fede, ci sono tutte le premesse per capire l’impotenza che viviamo in occidente dove è nato il primo moto storico del proletariato e qui è stato sconfitto.
La Rete dei Comunisti sostiene che quella del movimento comunista nel XX Secolo è stata una sconfitta ma non un fallimento. Puoi spiegare meglio questo approccio?
La trasformazione sociale rivoluzionaria ormai si presenta come lungo processo storico dove sono possibili le vittorie ma anche le sconfitte, come è avvenuto anche per l’affermazione della borghesia in particolare nell’800 a cominciare dalla Rivoluzione Francese.
Non si può pensare, anche se questo non era affatto chiaro nella metà del ‘900 per nessuno di noi, che la marcia verso il socialismo sia “lastricata” di vittorie e possa essere data per scontata. Questa concezione deterministica era data per acquisita fino alla fine dell’URSS, in quanto si riteneva che quel processo fosse comunque irreversibile.
Non è andata così, ma quella crisi non ha portato affatto al fallimento ed alla scomparsa della lotta di classe che oggi si riaffaccia in forme storicamente determinate, e dunque è in questo filone che va ricollocata la funzione dei comunisti ed una possibile trasformazione rivoluzionaria.
Nessun fallimento dunque, ma un processo storico di apprendimento in cui le contraddizioni del Modo di Produzione Capitalistico (MPC) si rinnovano e con queste si riaffaccia la possibilità di superare “stato di cose presente”.
E’ troppo presto – come direbbero i cinesi – o è tardi per un bilancio storico sulle esperienze socialiste del Novecento?
Nè presto nè tardi, se quello in cui siamo immersi è un processo, è con questa dimensione che bisogna misurarsi mantenendo e riqualificando una teoria, sedimentata nel corso del ‘900, intesa come guida per l’azione ma sapendo che questa deve fare i conti con le condizioni concrete in cui opera, condizioni in continua evoluzione.
La prima sperimentazione socialista della storia – l’Urss – e quella cinese sono finite in modo piuttosto diverso. Tu hai parlato di paradossi. Puoi spiegare dove e come si sono manifestati questi paradossi?
I paradossi riguardano la situazione attuale. La Russia postsovietica, che pensava di liberarsi del comunismo inteso come forma oppressiva e di poter così accedere al paradiso capitalista, oggi è costretta, nello scontro che gli USA e la NATO hanno portato fin sotto la sua porta di casa, ad usare immagini e simboli che si rifanno all’Urss della seconda guerra mondiale, alla lotta al nazifascismo ucraino, diretta dal PCUS e da Stalin, per dotarsi di una identità diversa e irriducibile all’occidente.
Come abbiamo detto nel Forum questo non significa che ci sia un cambiamento socialista perché le classi sociali ed il ceto politico che comandano in quel paese sono quelle che hanno tradito il comunismo, ma certamente questo significa una mancanza di prospettiva strategica per quei gruppi dominanti fatti da oligarchi, in buona parte ex PCUS, e da burocrazia statale.
Per la Cina il discorso ovviamente è diverso perché il PCC è rimasto al potere ma, dopo aver accettato di far parte del mercato mondiale capitalista, sta modificando la propria linea nello scontro con l’occidente, sia nelle politiche sociali che recuperando una gestione del Partito più tradizionale dovendo contrastare la corruzione interna prodotta proprio dall’integrazione nel mercato capitalistico.
Come abbiamo più volte detto che il PCC deve fronteggiare la forza implicita e irrazionale del Modo di Produzione Capitalistico che è radicato nella società cinese, con una sfida egemonica di tipo strategico che è ancora nri suoi esiti tutta aperta, almeno dal nostro punto di vista.
Il livello di analisi e discussione nel forum del 4-5-6 ottobre è stato di qualità. Come pensate di procedere dopo questa prima tappa?
Come abbiamo fatto in altri momenti significativi l’approccio che abbiamo non è quello episodico o di gestione di un momento specifico per quanto possa essere valido sul piano qualitativo. Quello su cui ci impegniamo è un lavoro di non breve durata sul quale riconnettere la storia del movimento comunista e della lotta di classe del passato, l’assalto al cielo, con quello che sta accadendo nel mondo in cui le contraddizioni del MPC riaprono, a nostro modesto avviso, le condizioni per una trasformazione sociale ma in forme molto diverse da quelle del ‘900.
Il multipolarismo promosso dai BRICS, l’antimperialismo che si sta manifestando in America Latina ed in Africa, la crisi egemonica del capitale negli USA e nella UE, le guerre spalmate su tutta la terra sono i segnali di un cambiamento che pur nascendo dalle intime contraddizioni dello sviluppo del capitale assume forme e modalità che vanno comprese bene soprattutto da chi agisce dentro le cittadelle imperialiste dell’Euroatlantismo.
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Fabrizio Tomaselli
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