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Di ritorno dallo Yemen. Intervista alla dottoressa Iezzi

La guerra dell’Arabia Saudita contro gli sciiti dello Yemen non trova spazio sui giornali italiani. Eppure ci sono testimoni diretti, italianissimi, come Federica Iezzi, cardiochirurgo pediatrico, attivissima in diverse aree di crisi tra Africa e Medio Oriente. L’intervista è stata realizzata da Radio Città Aperta, nello spazio di approfondimento intitolato Anubi.

Con noi al telefono Federica Iezzi, ciao Federica.

Ciao Alessio, grazie per l’invito.

Grazie a te per la disponibilità innanzi tutto … Seguiamo la dott.ssa Federica Iezzi, che abbiamo conosciuto questo inverno, nei suoi tanti viaggi che fa per motivi professionali in luoghi non proprio ameni in giro per il mondo. Ora sei appena tornata dallo Yemen… Stiamo parlando di una tragedia che costa migliaia di morti e tra l’altro, con una serie di problemi ulteriori, perché sappiamo che c’è anche un’epidemia in corso in questo momento…

Assolutamente sì…

Qui da noi, qualche giorno fa, c’è stata la Festa della Repubblica. Carri armati che sfilano, aerei che volano… Ma alcune delle armi che massacrano la popolazione yemenita, mi sembra che siano di nostra produzione, sono quelle che vendiamo all’Arabia Saudita

Sì, provengono da noi…

Per quale motivo per cui sei andata in Yemen.?

Esatto. Io non voglio dilungarmi sulla parte politica, non voglio nemmeno esprimermi sul ruolo dell’Italia che gioca in questo conflitto, che veramente è importante. Vi ricordo che la ministra Pinotti ha smentito la partecipazione dell’Italia nella fornitura di armamenti, mentre l’allora ministro degli esteri Gentiloni sostenne che la vendita di armi fosse legittima perché non esisteva un embargo con l’Arabia Saudita. E’ vero che tra i due paesi non esistono accordi economici che vietano la vendita delle armi, però ricordiamo sempre che il nostro art. 11 della Costituzione stabilisce espressamente il divieto di esportare materiale di armamento. E qui mi fermo. Voglio soltanto incentrarmi sulla parte relativa alla popolazione. Vi do un po’ di numeri. La popolazione totale dello Yemen è di 27 milioni. 18 milioni di yemeniti in questo momento hanno bisogno di assistenza umanitaria; 12 milioni ha urgente bisogno di questa assistenza. Vi ricordo che i morti sono stati più di 8 mila, in questo conflitto ormai al secondo anno, i feriti sono stati più di 44 mila. Questa è una statistica messa a punto dall’Organizzazione mondiale della Sanità, ma sul campo ti posso dire che i morti sicuramente sono molti di più e i feriti idem. Soltanto due parole sugli sfollati. Oltre 3 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case, troppo spesso senza sicurezza, perché lungo le strade, lungo il cammino dello Yemen, sui confini dello Yemen, ci sono continue esplosioni, continui bombardamenti, nonostante gli accenni di tregua e di volontà un po’ di chiudere questo conflitto. 121 mila persone hanno lasciato il paese, e 6mila persone – tra cui 2mila bambini – sono ora disabili che questa guerra ha creato. Purtroppo i numeri sono devastanti, la situazione è veramente molto molto grave, e sembra essere una situazione dimenticata non solo dal mondo arabo, non solo dalla comunità internazionale, ma fondamentalmente dai media, dalle tv, dai giornali. I quali a volte ne parlano, sì, ma in modo molto sommario, molto limitato; non fanno vedere le immagini che dovrebbero essere mostrate, anche se molto forti. Purtroppo la gente molto spesso non sa che dall’altra parte del mondo, comunque veramente dall’altra parte del nostro mar Mediterraneo, succede questo massacro.

Il discorso è questo, come per la Siria… Se ne parla distrattamente sui media mainstream, le cancellerie convocano tavoli

Sì, ce ne sono stati diversi…

Queste guerre in Medio Oriente sono guerre per procura, per interessi anche occidentali. Ma certamente non se ne parla nel caso di una guerra dimenticata perché non interessa a nessuno…

Esatto… Volevo soltanto ricordare che l’ultimo tavolo di trattati ci fu nel novembre-dicembre scorso, quando ci fu un piccolo accordo per la cessazione delle ostilità che poi fu rotto da entrambe le parti. Dopo di quello, praticamente più niente, se non un incontro a Ginevra dei rappresentanti dei “governi donatori” per affrontare questa tragedia che ormai è cronica, non è più acuta o contingente. Non bastano i 2 miliardi di dollari che vogliono donare allo Yemen per almeno sopravvivere. Siamo in una fase cronica, siamo in una fase in cui 18 milioni di persone hanno bisogno dei generi alimentari di base, di acqua pulita, di medicine di prima necessità. Io posso dirti che per esempio ci sono 3.500 strutture sanitarie nel paese, metà delle quali sono chiuse o funzionano solo parzialmente, in 49 distretti. Mancano medici specialisti e tutto questo lasci – io ti parlo di bambini… – 8 milioni di bambini senza accesso all’assistenza sanitaria di base. E’ drammatico. Non siamo in acuto, ormai la situazione è cronica.

Tu usi un termine medico che rende molto bene l’idea, una situazione cronica che se non si interviene diventerà incurabile, immaginiamo…

Esatto.

Tu hai dato cifre e numeri impressionanti, che parlano di un’emergenza umanitaria gravissima. C’è anche un’epidemia in corso, mi pare di colera… Non so se sbaglio…

Sì, sì… Questa è soltanto l’ultima delle malattie che si sono susseguite, perché tanto poi con la carestia, la malnutrizione, la mancanza di acqua purtroppo, vengono fuori queste malattie diciamo parassitarie… Parassitarie per il fatto che sopravvengono quando ci sono disastri in atto, e la prima in lista è il colera. Da settembre-ottobre scorso questa malattia, iniziata su 9 governatorati, si è allargata adesso in 19 governatorati. Sono 49 mila i casi sospetti, 360 e più i morti dichiarati solo per questa patologia. E le città più colpita è la capitale Sana’a, poi Abyan, nell’ovest del paese e ‘Amran al centro. Si prevede che nei prossimi sei mesi vengano fuori 250 mila almeno nuovi casi prima che l’epidemia inizi a spegnersi, quindi stiamo parlando di numeri importanti. E se tu pensi che il colera può essere semplicemente curato con l’idratazione della persona malata, ti viene da pensare che senza acqua tutte queste persone colpite moriranno. Purtroppo è così…

Dal punto di vista delle tue esperienze professionali dirette… Cosa ti ha colpito di più? C’è almeno qualche storia in senso positivo, qualche storia di speranza…

E’ difficile anche cercarle, in questo marasma di disastro. Le storie più tristi, purtroppo, vengono dal problema della malnutrizione. Il problema carenza di cibo in Yemen c’è sempre stato. E’ un paese che vive di importazioni per il 90 per cento, e per l’altro un po’ sopravvive con un’agricoltura che soffre per la mancanza di acqua. Perché comunque lo Yemen è un paese arido e fondamentalmente, in genere, l’acqua manca. Le storie più tristi, purtroppo, vengono da questi bambini malnutriti… Oggi arriviamo a 370 mila con i segni acuti della malnutrizione. Le cose più tristi sono queste, te lo dico con il cuore in mano. Purtroppo in molti ospedali bisogna scegliere quale bambino continuare a curare perché può darsi che si salva e quale invece lasciare indietro. Siamo a questi livelli, perché non arrivano le medicine, non arrivano i nutrienti per i bambini piccoli e per le donne che allattano; non arrivano gli importi calorici da mettere nel cibo… Non arriva proprio nulla… Poi ti voglio ricordare che l’unico porto adesso un po’ aperto al commercio è quello di Hodeidah, che è stato nel 2015 parzialmente distrutto, quindi puoi capire che la situazione è sicuramente grave.

Tu dove sei stata esattamente?

A Sana’a.

Quindi diciamo nella zona controllata dai ribelli, diciamo così, per capirci e per facilità di comprensione…

Sì, esatto, sì…

Dalle forze degli Houthi che sono le forze sciite ..

Le forze sciite, esatto…

Che vengono considerate filo iraniane e sostenute dall’Iran… Ci sono stati momenti di pericolo?

Sana’a è piena di posti di controllo, quindi la situazione non è mai tranquilla. Ci sono centinaia di punti di controllo lungo tutte le strade, all’ingresso degli ospedali, all’ingresso dei mercati, all’ingresso delle moschee, all’ingresso delle chiese. C’è un dispiegamento di forze che non si sa mai… E’ un po’ un miscuglio, perché ci sono divise diverse. Persone con armi, persone che non si sa esattamente chi sono… Però fondamentalmente la situazione non era molto pericolosa per la vita, non so come posso dirti. Si sentivano in lontananza dei bombardamenti però molto spesso non si sa questa bomba dove va a finire, da dove è stata sganciata e dove va a colpire… Questi sono dei grossi interrogativi che, purtroppo, la gente locale e le persone che magari lavorano nelle forze armate, o quelli che lavorano piuttosto nei punti di controllo, non ti sanno esattamente dire, non ti sanno esattamente localizzare.

Federica, per il momento ti ringraziamo. Avremmo altre mille cose da chiederti però ci rendiamo anche conto che diventa una specie di tortura…

Io sono contenta comunque che la gente un po’ magari riesce a incuriosirsi di questa cosa, magari sentendo un po’ di parole va a leggersi indipendentemente quello che sta succedendo, senza credere a quella voce piuttosto che all’altra…

Noi ti ringraziamo e ci sentiamo presto …

Grazie mille…

Tu sai che noi saremo sempre pronti a chiamarti e farti intervenire.

Assolutamente disponibile…

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