TERZO SGOMBERO IN TRE MESI: CHI HA PAURA DELLE CASE DEL POPOLO?
4 giugno 2019, all’alba Unicredit ordina lo sgombero del Centro Popolare Colapesce a Catania.
12 settembre, le forze dell’ordine su richiesta di Ater – l’istituto per l’edilizia popolare – murano ingressi e finestre di Berta, la Casetta del Popolo riaperta dal 1 maggio.
18 settembre, la Casa del Popolo di Palermo viene improvvisamente sgomberata dopo due mesi di attività intensissima.
Neppure un anno fa avevamo detto “una Casa del Popolo in ogni provincia!”. Non era uno slogan: Potere al Popolo ha aperto sedi, avviato comitati territoriali, tirato su con fatica e solo grazie alla preziosa attività militante, decine di Case del Popolo. Una rete estesa ormai in tutta Italia.
Spesso si tratta di edifici abbandonati per anni, destinati alla svendita o alla speculazione di privati, su cui non insiste nessun progetto di recupero o restituzione alla collettività. Così la riqualificazione avviene dal basso, dalla volontà delle tante e dei tanti che si sono stancati di aspettare che qualcun altro conceda qualcosa, che si prenda cura del loro territorio, e hanno deciso, in primo luogo di agire.
Nel farlo si sono messi contro piccoli e grandi poteri economici e amministrativi (Ater, Unicredit, sono solo alcuni esempi), pezzi di pubblico e privato che hanno distrutto i nostri territori, palazzinari parassitari, che le forze dell’ordine e della sicurezza pubblica hanno scelto ancora una volta di tutelare, di fronte agli interessi generali, con gli sgomberi, le denunce, la repressione.
Qualcuno vorrebbe che le Case del Popolo tornassero vuote, abbandonate, ma non sarà così.
Le Case del Popolo sono attraversate da migliaia di persone. Attivisti di tutte le età, storie politiche e culturali che si sono incrociate, che si sono fuse arricchendosi vicendevolmente. Dentro le Case del Popolo hanno acquisito un nuovo protagonismo soprattutto le generazioni giovani che stentano a trovare una collocazione e un proprio ruolo nel mondo di fuori, completamente ignorati dalla politica e tagliati fuori dal dibattito pubblico sul futuro del paese, spesso invece i più reattivi nelle mobilitazioni (pensiamo alla questione di genere o al neonato Fridays for future), i più propensi a mettersi in gioco. Non solo: in un sud Italia devastato da spopolamento e povertà, le Case del Popolo sono presidi di antimafia sociale, pezzi sottratti alla criminalità organizzata e ai suoi uomini…
Qualcuno vorrebbe che le Case del Popolo fossero inutili, neppure questo accadrà.
Ambulatori popolari, attività sportive, sportelli legali gratuiti per lavoratori e migranti, doposcuola, reti antisfratto e gruppi che si occupano della distribuzione di cibo, medicinali, beni di prima necessità. Chiunque ha messo piede in una Casa del Popolo ha trovato queste forme di attivismo sempre più diffuse e capillari, ha toccato con mano l’attività mutualistica, il suo farsi strumento di inchiesta, connessione, risposta a bisogni materiali che restano insoddisfatti da istituzioni e mercato.
Le Case del Popolo, nei quartieri popolari, nelle periferie dove nessuno più vuole entrare e che tutti dipingono come zone rosse irrecuperabili, nell’enorme distesa di piccole province da cui è fatta l’Italia, diventano punti di riferimento per le classi popolari, scuole per l’autorganizzazione, forme che sperimentano piccoli processi di autogoverno e controllo popolare.
Le Case del Popolo sono il tentativo quotidiano di ricomporre il tessuto sociale che è frammentato e scivola verso forme di competizione tra poveri sempre più sfrenate, sono argini all’emarginazione e alla depressione. Il nostro è un processo che ricrea comunità di lotta, radicamento territoriale, e si pone l’obiettivo di ricostruire il terreno sociale, ma pure cognitivo-affettivo, di cui necessita ogni progetto politico di rottura con questo presente.
Si tratta di spazi di incontro, luoghi di accumulazione di forze e socializzazione di competenze, di sostegno alle lotte politiche generali o alle vertenze locali. I nodi di un terreno strategico che consentono a un movimento politico come il nostro di alimentarsi dello scambio e del contatto permanente con l’esterno, e di istituire forme di consenso non tanto intorno a discorsi propagandistici o promesse, ma sulla base dell’esperienza diretta, del mettersi al servizio ed essere immediatamente utili alla classe.
Questo fanno le Case del Popolo, si fa presto a capirne chi ne ha paura: chi non vuole che il popolo si ricompatti, prenda fiducia in sé e inquadri bene i nemici, chi non vuole che si produca un orizzonte di vita e di destino altro che sia, già qui e ora, praticabile, e quindi desiderabile, in costruzione, chi fa profitti sulle nostre condizioni di vita.
Le Case del Popolo sono i polmoni aperti verso il mondo che vogliamo costruire, le tappe di un processo molecolare e ambizioso, appena messo in moto, e che nemmeno una settimana, a Napoli, fa ha avuto un suo importante momento nazionale (il primo incontro italiano!) di bilancio di quanto fatto e di rilancio dell’attività su tutti i livelli.
Non basteranno gli sgomberi a farci tornare a casa.
Viva le Case del Popolo, costruiamo il Potere Popolare!