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Il clamoroso 2011 degli studenti cileni

Santiago del Cile – Dall’aprile scorso la mobilitazione giovanile ha cambiato il volto del paese «L’evento migliore» dell’anno passato? Il 63%: il movimento studentesco e quello ambientalista.

Gli studenti cileni non solo mettono in questione l’educazione che ricevono perché è mercantile ed elitaria, e perché riproduce e approfondisce le disuguaglianze, ma nelle scuole occupate mettono in pratica l’educazione che sognano e per la quale lottano da anni.

«Se i lavoratori possono autogestire una fabbrica, noi siamo in grado di gestire in autonomia il liceo», butta lì con un sorriso stampato in faccia Christopher, 17 anni, studente del liceo Luis Corvera Galecio A-90, nel municipio di San Miguel di Santiago. Il liceo è stato occupato come altri 200 in città, ma il 26 settembre ha deciso di seguire l’esempio dei lavoratori della fabbrica di ceramica Zanon di Neuquén (Argentina), occupata dai lavoratori e rimessa in funzione già da dieci anni. «In quel momento le cose erano complicate perché l’occupazione si stava indebolendo – riflette Christopher – Sapevamo che non bastava criticare l’educazione che riceviamo e bisognava fare qualcos’altro, ma non sapevamo cosa. Finché siamo venuti a sapere che si teneva un incontro con gli operai della Zanon presso la Universidad de Chile, siamo andati a sentire e quando siamo tornati abbiamo iniziato l’autogestione del liceo». Con l’autogestione cominciarono a tornare la gran parte degli studenti, si aggiunse una parte degli insegnanti e si ottenne l’appoggio entusiastico di molti genitori. In pochi mesi gli studenti delle scuole superiori hanno imparato di più che in anni di monotone lezioni, prendono l’iniziativa sul corso degli studi, suggeriscono argomenti, arrivano puntuali e sono felici di non dover indossare la divisa da «pinguino» che lo Stato gli impone.

Uno scossone tremendo

Lo lotta degli studenti è stata uno scossone tremendo per la società cilena. Niente sarà più come prima. Riflettono questa realtà anche i sondaggi. Il quotidiano La Nación ha posto la domanda «Qual è stato l’evento migliore del 2011?». Il 63% ha risposto «il movimento ambientalista e quello degli studenti», contro il solo 17% che ha scelto «la campagna della U», la squadra di calcio della Universidad de Chile che ha vinto la Coppa del Sudamerica a fine novembre. Solo il 3% ha detto che il fatto più importante è stato il Premio Cervantes assegnato al poeta Nicanor Parra.

Gli intellettuali più importanti del Cile sono d’accordo con la valutazione del direttore di Le Monde Diplomatique, Victor Hugo de la Fuente: «Gli studenti cileni in cinque mesi di proteste di massa hanno cambiato il volto del paese». Il Manifesto degli storici va anche oltre, sostenendo che «siamo in presenza di un movimento di carattere rivoluzionario-antineoliberista», che sta riconsegnando la politica alla società civile e riannodando il «filo spezzato della nostra storia», interrotta dal colpo di stato del 1973.

Dalle mobilitazioni di massa degli anni ’80 contro la dittatura di Augusto Pinochet, il Cile non conosceva una così vasta ondata di azioni collettive. L’anno scorso è iniziato con una forte resistenza nel sud, intorno alla città di Punta Arenas, contro l’aumento dei prezzi del gas. Tanto forte che il governo ha dovuto negoziare con l’assemblea cittadina di Magallanes e ritirare gli aumenti.

In maggio più di 30 mila persone hanno manifestato a Santiago contro il progetto di Hydro Aysen, che cerca di costruire 5 mega-dighe in Patagonia, con il sostegno di governo e opposizione, senza consultare la popolazione. Mai prima d’ora una azione ambientale aveva riunito tante persone, e questo ha annunciato che qualcosa stava cambiando.

Poco dopo vi sono state le proteste delle persone colpite dal terremoto del 2010, la maggior parte delle quali ancora non ha una casa e ha trascorso il secondo inverno in condizioni assai precarie.

Le azioni degli studenti sono iniziate a fine aprile. Il 30 giugno, 200 mila studenti hanno marciato nella Alameda, la grande arteria centrale di Santiago. Da quel momento, ci sono state decine di cortei. «Un senso di festa animava i giovani», secondo lo storico Mario Garcés. Nelle settimane successive gli studenti, soprattutto i liceali, occuparono il canale TV Chilevisión per protestare contro il modo in cui i media raccontano le manifestazioni. Hanno anche occupato sedi di partiti politici, Udi (estrema destra, governartivo) e Partito socialista all’opposizione. Il momento più importante è stato il 4 agosto. La repressione della polizia fu molto dura e furono arrestati 874 studenti. La popolazione di tutto il paese manifestò solidarietà con massicci cacerolazos e cortei spontanei nelle principali città, trasformando la giornata in una «protesta nazionale», come quelle che si ebbero contro Pinochet. La popolarità del presidente Sebastián Piñera precipitò al 22% a fine settembre.

La notte del 4 agosto

Ma la profondità del movimento si è vista soprattutto nella notte del 4 agosto nei quartieri. Camila Silva, del collettivo di «pedagogia militante» Diatriba, vive alla Florida, un barrio di classe medio-bassa. «Nel primo cacerolazo siamo usciti con il mio compagno e c’era già un centinaio di persone. Nel successivo, i ragazzi del centro culturale giovanile hanno tirato fuori le batterie e le chitarre elettriche, sono arrivati gli ultrà calcistici con le bandiere del Colo Colo e gruppi con le bandiere mapuche». Camila sottolinea la allegria della gente, l’organizzazione spontanea dei vicini di casa, soprattutto donne. «Questa organizzazione è come una comunità e tutto questo risveglia la memoria. La gente gridava ‘Y va a caer’ come nelle proteste contro Pinochet. Hanno ballato fino alle tre della mattina, in ogni angolo c’era un gruppo, e questo in molti quartieri di Santiago».

«La sinistra ha creduto che la repressione fosse riuscita a distruggere il legame sociale. Ad un certo punto questi rapporti diventano invisibili, ma quando accade qualcosa di molto forte rinascono, perché c’è una memoria latente e le persone tornano ad aiutarsi. Con il terremoto è accaduto qualcosa del genere», dice Cristian Olivares, membro del collettivo Diatriba.

Donne e uomini delle zone periferiche che non manifestavano dal 1989, quando «tornò» la democrazia, sono ridiscesi in piazza, un vasto movimento contro la disuguaglianza sociale in un paese che l’Undp classifica tra i quindici più diseguali al mondo.

Con le riforme neo-liberiste attuate dal regime di Pinochet, l’educazione è diventata una merce. Il 75% del sistema educativo è finanziato dai contributi degli studenti e delle loro famiglie e solo il 25% dallo Stato. Il 70% degli studenti deve prendere un prestito attraverso crediti universitari per completare gli studi. L’istruzione è fortemente segmentata. Secondo Garcés, vi è una formazione per i ricchi, una per la classe media e un’altra per i poveri. Nelle secondarie, il 7% va nelle scuole private che costano da 300 a 500 dollari al mese. La classe media frequenta il sistema sovvenzionato o semiprivato, che richiama il 50% degli studenti, costa meno (da 40 dollari al mese in su) e il finanziamento è condiviso con lo Stato. I più poveri, il 40%, vanno alle scuole municipali, che hanno assai poche risorse.

Il settore semi-privato è dominato da un insieme di piccoli imprenditori che traggono profitto dai sussidi governativi. Sono autorizzati ad avere fino a 45 studenti per classe, mentre quelli privati non possono averne più di 35. Il 40% di coloro che escono dalle scuole municipali o da quelle semiprivate non capiscono ciò che leggono, e il 70% non raggiunge il punteggio per l’ammissione all’università.

All’università le differenze sociali si traducono in indebitamento, perché non c’è un accesso universale gratuito. Oltre alle università statali, che pure sono a pagamento, ci sono 60 atenei privati, dato che il sistema è stato liberalizzato durante la dittatura militare (1973-1990). Il costo dei corsi varia da 150 dollari al mese per le scienze sociali ai 1.200 per ingegneria o medicina. L’unico modo per studiare è chiedere un credito al sistema finanziario, ovvero indebitandosi.

Di fronte a questa situazione, gli studenti delle scuole superiori hanno proposto di ri-nazionalizzazione l’istruzione e la nazionalizzazione delle risorse naturali per finanziare l’istruzione. Un precedente è la società statale del rame, Codelco, l’unica che non fu privatizzata da Pinochet perché una parte dei suoi profitti finanzia l’esercito. Non è strano quindi che il movimento degli studenti-indebitati sia sostenuto dalle classi medie.

Autogestione liceale

A mezz’ora dal centro di Santiago, la municipalità di San Miguel mostra tutte le varietà di classi medie: da quelle che vivono nelle alte case ai margini delle avenidas ai poveri che vivono in vecchie case precarie. Un’area ricca di contrasti sociali.

Al liceo A-90 l’anno scolastico è iniziato con 179 studenti, ma ce n’erano 4.000 iscritti dieci anni fa. Gli studenti hanno abbandonato a favore delle scuole sovvenzionate che hanno fama di fornire una migliore educazione. Il sindaco socialista della municipalità, Julio Palestro, è uno dei più grandi sostenitori dell’istruzione privata. Nel 2009 ha chiuso la scuola pubblica che aveva duemila studenti. Riuniti in assemblea nel liceo, i giovani hanno spiegato che la scuola si trova al numero 14 nella classifica del «rischio scolastico». Il numero «si riferisce al rischio che diventiamo delinquenti». La maggior parte dei genitori lavorano come operai edili per poco più del salario minimo (180000 pesos, circa 350 dollari).

L’ossessione per la disciplina

Forse è per questo che la disciplina è l’ossessione dei presidi. «Questa era praticamente una prigione», afferma Yergo, studente al terzo anno. Camilo, del secondo, senza uniforme si sente felice: «E’ come una dottrina militare, tutti con i capelli corti, cravattina, non fate questo, non fate quello, uno deve esprimersi liberamente, venire qui per educarsi, non militarizzarsi». «Il centro dell’autogestione è l’assemblea – spiega Christopher -. Tutti gli studenti partecipano e, qualche volta, apriamo agli insegnanti. Noi facciamo la vigilanza e il cibo è fatto qui con personale volontario. Questo cambia il modo di interagire con la materia e con il liceo».

Così come gli operai delle fabbriche recuperate modificano l’organizzazione del lavoro, gli studenti in autogestione hanno cambiato l’organizzazione dello studio. Dice Juan Francisco, professore di filosofia: «Tutte i dibatti nel movimento richiedono che si rifletta sulla struttura del potere in Cile», perciò nelle loro lezioni analizzano la Costituzione, la partecipazione è incoraggiata e le assemblee settimanali sono inserite nel programma.

I rapporti tra studenti e insegnanti hanno avuto un grande cambiamento. Scongelata la distanza gerarchica, sono rapporti di compagnerismo e cooperazione. Nelle aule si siedono in cerchio, l’insegnante è qualcuno che aiuta, ma non è collocato più in alto degli studenti. Eliana Lemus, professoressa di biologia, fisica e chimica, la decana del liceo, dice che la disciplina è molto maggiore rispetto a prima, forse perché non è imposta ma nasce dal desiderio di stare insieme e condividere questa esperienza.

Uno dei fatti più importanti è che il movimento studentesco sta promuovendo l’organizzazione sociale nei quartieri. Al liceo A-90 l’associazione dei genitori sostiene l’occupazione e l’autogestione. A San Miguel, al calore dei cacerolazos, hanno promosso la formazione di «assemblee territoriali», in cui gli abitanti vengono a discutere i problemi del quartiere, ma anche questioni più ampie, come l’istruzione. Dicono che si sono formate, queste assemblee, in molti distretti di Santiago e che vi partecipano fino a 200 persone.

Il movimento studentesco del 2011 in Cile è stato il movimento sociale più importante dell’ultimo decennio. Nel 2000, gli studenti delle superiori sono scesi in piazza con richieste sui trasporti in un movimento chiamato «mochilazo». Nel 2006 ci sono state manifestazioni e occupazioni di scuole superiori che hanno costretto alle dimissioni il ministro della pubblica istruzione e in parte sono riuscite a modificare la legge sull’istruzione.

La «rivoluzione dei pinguini», chiamata così per via della divisa scolastica, è stato il primo movimento di successo dal ritorno della democrazia, massiccio e innovatore. Però, secondo Mario Garcés, quel movimento fu cooptato e imprigionato nei corridoi della Moneda, il palazzo presidenziale, e «negli interstizi istituzionali». La presidente socialista Michelle Bachelet creò una commissione di esperti con dentro pochi studenti che redasse una nuova legge, ma non eliminò il profitto del sistema educativo.

Adesso, il movimento non è solo studentesco e non è focalizzato sulla formazione, anche se questa è l’occasione che lo ha creato. Il Cile affronta la crisi di legittimità di un sistema politico erede della dittatura, che non può soddisfare le esigenze sociali. Come nota il Manifesto degli storici, la società torna a discutere, contesta verticalità e rappresentanza e mette in piedi «forme di democrazia diretta e decentrata». Questa «politica di strada» mette in discussione il modo in cui avvenne la transizione alla democrazia, una transizione «sottratta ai movimenti sociali», dice Garcés.

Infine, nuove pratiche formano persone nuove. Marcela Moya, docente di inglese del liceo A-90, mette in evidenza «la facilità dei ragazzi nel parlare in pubblico, l’autodisciplina». Una evoluzione personale che non è individuale ma collettiva e politica, e anticipa cambiamenti più profondi di quelli oggi visibili.
 

Raúl Zibechi, giornalista uruguaiano, professore e ricercatore presso la Multiversità francescana dell’America Latina, e consigliere di vari gruppi sociali (Da Il Manifesto del 17 gennaio 2012)

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