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Sulla “dottrina Parot”: la voce dei prigionieri politici baschi


Nello stato spagnolo non esiste l’ergastolo; ma, da un lato la riforma del codice penale voluta dal PSOE nel 2003 e dall’altro proprio la “Dottrina Parot” conducono ad un pesante inasprimento delle condizioni carcerarie dei prigionieri politici. Nello specifico la “Dottrina Parot” consiste nell’applicare le redenzioni maturate non al massimo di condanna stabilito dai Codici Penali del 1973 o del 1995, da 20 a 30 anni, bensì al totale di condanne ricevute, metodo per cui le redenzioni rimangono praticamente senza effetto. L’effetto concreto è che decine e decine di detenuti si sono trovati dinanzi a sbarre chiuse nel giorno in cui, secondo sentenze dei tribunali spagno
li, avrebbero invece dovuto riacquistare la libertà. Si tratta di un modo di aggiungere ulteriori anni di carcere a persone che ne hanno già scontati decine e che, in molti casi, sono gravemente malate. Come in quello di Goztone, prigioniera politica cui è stato diagnosticato un tumore al seno nel 2006 e che ancor oggi è costretta a cercare di combattere questo male nella condizione di detenuta. La sua è una delle cinque storie raccontate nel documentario “Barrura begiratzeko leihoa – Finestre all’interno”, prodotto da cinque differenti registi baschi e che può essere considerato una summa delle condizioni che soffrono i prigionieri politici nello stato spagnolo ed in quello francese.
In occasione della discussione a Strasburgo sono state organizzate iniziative di solidarietà coi prigionieri baschi in diverse città europee dinanzi alle sedi dell’UE. Noi, anche in quest’occasione, vogliamo far sentire tutta la nostra vicinanza e solidarietà con i prigionieri e le prigioniere reclusi nelle galere spagnole e francesi, simbolo dell’aspirazione alla libertà e al socialismo
 della gente di Euskal Herria.

La traduzione che riportiamo di seguito, a cura del nodo EHL Napoli, vuole essere un piccolo strumento per chiunque voglia cercare di addentrarsi nella questione basca proprio a partire dall’angolatura dei prigionieri. I due intervistati sono infatti rappresentanti dell’EPPK, il collettivo dei prigionieri politici baschi che recentemente ha tenuto diversi incontri anche in Italia, in occasione della VII settimana internazionale di solidarietà con Euskal Herria.

Libertà per i/le prigionieri/e politici/che baschi/e!
Euskal presoak etxera!

 


Xabier Alegria e Lorentxa Gimon
Sono due dei sei portavoce de “Euskal preso Politikoen Kolektiboa” (EPPK, Collettivo dei  prigionieri politici  baschi)  che hanno  risposto a un’intervista congiunta di “Gara” e  “Berria”, quasi un anno dopo l’ultima intervista concessa dall’EPPK,  in un momento in cui il problema irrisolto dei prigionieri politici ha riacquistato grande centralità, a partire dalla manifestazione di massa del 12 gennaio fino ad arrivare  agli appuntamenti chiave dei prossimi giorni come il Social Forum che si terrà Giovedi e Venerdì  e l’emanazione del verdetto il giorno 20 nella Sala Grande di Strasburgo, in merito all’abolizione della dottrina Parot.

Non è un compito semplice intervistare l’EPPK, a causa delle difficoltà dovute al carcere e inasprite dagli Stati di competenza. Nel mese di aprile dello scorso anno, quattro dei sei relatori appena nominati dall’EPPK  risposero alle domande di “Gara” e “Berria”. Ora spetta agli altri due, Xabier Alegria e Lorentxa Gimon,  affrontare le  nuove questioni sollevate da allora, rispondendo ancora una volta a un’intervista congiunta sviluppata da entrambi i giornali. L’intervista originale è stata condotta in basco (la trascrizione letterale è consultabile su NAIZ)  mentre qui è riportata la  traduzione in castigliano. Le domande sono state recapitate ai prigionieri  nel mese di gennaio e le risposte sono datate in febbraio; trattano, in ogni caso, temi che saranno di grande attualità nelle prossime settimane. Xabier Alegria, di  Lezo, è in carcere a Port-III (Cadice) e Lorentxa Gimon, di Anglet, a Rennes (Bretagna).

Prima di tutto, come è stata vissuta  in carcere la manifestazione del 12 gennaio? Oltre a questi grandi eventi, cosa può fare la società per risolvere  la situazione dei prigionieri? Ora cosa sarebbe necessario fare??
Xabier: Come l’anno scorso, ci ha riempito di gioia e di orgoglio. Ci ha dato una grande forza. La manifestazione di quest’anno è stata particolarmente importante perché ha risposto adeguatamente al desiderio di provocare un momento di rottura. L’anno scorso fu enorme, ma quest’anno ha sottolineato la volontà di tenere saldo il timone e di continuare a remare con forza. È la dimostrazione  che  l’impegno e il senso che questo processo reclama stanno prendendo forma.
Nonostante sia importante, non è sufficiente.  È  necessaria una pressione sociale e politico-istituzionale permanente. L’opinione pubblica è consapevole che occorre prendere provvedimenti, e che la scarcerazione dei prigionieri è un evento positivo e naturale. È tempo di mobilitare e agitare il popolo. Ci vuole l’impegno di tutti, compreso quello dei responsabili dei partiti, dei sindacati e soggetti politici vari. Nel sottoscrivere il progetto e nell’assumersi la  responsabilità di sostenere  i diritti dei detenuti e il loro rilascio, diventa necessario  costruire un accordo di ampio consenso fra tutte le parti in causa.

Lorentxa: In Baiona e Bilbo è stato possibile catturare un’immagine veramente bella ed emozionante, la solidarietà dimostrata alle nostre famiglie. Ci ha particolarmente toccato il calore ricevuto dai familiari e partendo da questo vogliamo sottolineare lo sforzo incredibile messo in campo e la loro dignità. Grazie  a loro, è come se avessimo trovato  il modo di essere a  Bilbo.

Alcuni prigionieri hanno affermato che la lotta per la libertà di Iosu Uribetxebarria è stata molto sentita dal Collettivo, molto spontanea, segno di grande unità… –  è stata vissuta così?
X.A.: È stato importante. Iosu era in una situazione estrema, abbiamo dato una risposta ampia e in totale accordo con la linea da lui adottata. Allo stesso tempo è stata spontanea, perché non c’erano dubbi al riguardo, siamo andati fino in fondo per denunciare una situazione completamente irrazionale che abbiamo cercato di risolvere. Ed è stato difficile, ha portato sofferenza a Iosu e alla sua famiglia, però la vittoria contro l’ostinazione del governo e del tribunale è stata di tutti. Il collettivo non ha sentito la necessità di confrontarsi su questo,  ha risposto prontamente ad un’emergenza di vita o di morte. E anche per i diritti umani e la pace.

L.G.: È difficile parlare di vittoria, ma lo sforzo ha dato i suoi frutti, e, di sicuro, ha piantato un seme per il futuro. Siamo felici e ne è valsa la pena. Facciamo arrivare a Iosu la nostra solidarietà e il nostro abbraccio più forte.

Il caso  Uribetxebarria ha  aiutato ad individuare  la strada  giusta per trovare una soluzione alla condizione dei prigionieri malati?
XA: Con Iosu è emerso l’atteggiamento assunto dallo Stato nei confronti dei prigionieri malati. È servito a mostrare quali sono i loro punti fermi, che non hanno intenzione di rilasciare i prigionieri malati. Non occorre  alcun tipo di dibattito politico riguardo  ai compagni che hanno malattie gravi. Penso che la priorità sia la loro libertà e che sia necessario fare il possibile  per la loro scarcerazione. Stanno tentando di bloccare questo cammino.

LG: La rabbia e la crudeltà del nemico non ha limiti. Non sono  disposti a fare passi in avanti in questa direzione, nemmeno in casi estremi. A quanto pare  l’unico modo per ottenere il rilascio dei prigionieri malati rimane il pentimento. Non c’è dubbio che l’obbiettivo è bloccare il processo in corso, usando a tal fine anche le situazioni più gravi.

Nell’ultimo comunicato, è stato sottolineato come la fine della dispersione fosse la scommessa politica dell’EPPK. Si tratta di un passo necessario. Come è possibile velocizzare il tutto? Come spingere in questa direzione?

XA: Fermare la dispersione è un problema  che prescinde il lato politico, vale a dire, una questione risolvibile con il semplice rispetto dei diritti. Sarebbe sufficiente che i governi dichiarassero un cessate il fuoco permanente verificabile, abbandonando questa politica punitiva carica di violenza. Una politica che non è solo contro i prigionieri, anche contro le loro famiglie, gli amici e migliaia di cittadini baschi. I governi continuerebbero ad avere il coltello dalla parte del manico. Noi, anche se in carcere,potremmo vedere rispettati i nostri diritti e, soprattutto, far ritorno nei Paesi Baschi. La velata pena di morte che incombe sulle famiglie  potrebbe essere sospesa. I prigionieri malati potrebbero essere finalmente liberi , così come coloro che hanno scontato la loro condanna, senza essere trattenuti a mò di sequestro di persona. Basterebbe rispettare gli standard democratici internazionali e i diritti umani.
A partire da qui,  hanno la possibilità di intraprendere un percorso per  la risoluzione definitiva del conflitto. Il riconoscimento della nostra linea politica, il riconoscimento dell’EPPK, sviluppato nella pratica senza protagonismi, sarebbe un investimento efficace per la pace e la democrazia reali. Perché solo  rispettando la volontà e le decisioni del popolo basco si può pensare ad un futuro di pace e libertà.

LG:  Noi detenuti  vogliamo e dobbiamo  prendere parte al nuovo  processo in corso. Per questo è necessario avviare un processo di scarcerazione, è impensabile una soluzione con le carceri di Spagna e Francia piene di prigionieri baschi. Di questo se ne dovrà discutere e bisognerà arrivare ad un accordo. ETA e i governi dovranno dare l’esempio. Il collettivo ha una mente aperta, disposta ad approfondire il dibattito.

Che cosa si è disposti a fare? È possibile utilizzare le scappatoie offerte dalle leggi?
XA: In generale avrebbero dovuto applicare la legge, le sue interpretazioni e applicazioni, garantendo la sicurezza dei vari passaggi, in questo non avremmo avuto nessun problema. Se non cambia questo punto di vista sarà difficile avanzare, non perché non lo vogliamo, ma perché non ce lo permettono. È molto importante che i prigionieri siano uniti per prendere decisioni e procedere insieme. In Euskal Herria, con il popolo basco. Poter dare il nostro contributo al processo nel modo più fermo e veloce. La dispersione rappresenta l’ostacolo per agire più efficacemente, più “unitariamente”.

LG: Fermare la dispersione significa stare insieme in Euskal Herria. È la priorità, perché creerebbe nuove condizioni politiche, scelte e meccanismi, facilitando a tutti il cammino. Le leggi non prevedono la dispersione… ma il contrario. La legge viene utilizzata non per garantire i diritti, ma per calpestarli. Le leggi di eccezione sono diventate un ostacolo all’avanzamento, una scusa per non muoversi. Attualmente  le leggi  non rappresentano una soluzione adeguata. Ma in ogni caso vogliamo approfittare delle possibilità che concedono.

In uno degli  ultimi  comunicati si afferma che compete agli Stati disabilitare lo stato di eccezione e tutte le sue misure. Se non c’è questa volontà, dove e come si può incidere?
XA: I prigionieri hanno le mani legate. La chiave della porta della prigione è nelle mani del nemico e non della sinistra abertzale.  La izquierda abertzale ha individuato il cammino  per la risoluzione del conflitto e offre una nuova opportunità. Al governo costa prendere atto della nuova realtà. Se non vuole compiere  passi in avanti, i prigionieri, la società basca e la comunità internazionale dovranno obbligarlo.

LG:  Farà la differenza la forza che via via si sta organizzando, l’ostinazione basata sulla ragione; anche se costituiti da modesti flussi, con molti fiumi sarà possibile superare il muro erto dai governi, o, in caso contrario, abbatterlo. Fare breccia è importante in ogni momento e in ogni fase del processo. Come la difesa dei diritti dei cittadini fortifica la risoluzione, allo stesso modo tutte le lotte condotte per essere persone libere in Euskal Herria sono in grado di accelerare il processo in corso.

C’è qualcosa nelle mani del Collettivo? Si è espressa la volontà di dare “passi decisivi”. Quali sono?
X.A: Sì, certo. Come abbiamo ricordato nell’ultimo comunicato, siamo convinti di aver intrapreso un percorso importante. Siamo pronti a dare passi decisivi, a proporre nuove iniziative per contribuire a risolvere la situazione, iniziative che possono apportare un miglioramento alla nostra situazione, ma, soprattutto, ci impegniamo per accelerare il processo che vogliono che  anneghi o marcisca. Agiamo in virtù di tale responsabilità. Nella prospettiva che si compia il processo di liberazione, tenendo bene in vista gli obiettivi politici.
C’è una certa attesa,come si evince da diverse dichiarazioni rilasciate da più parti,  che EPPK  faccia  o dica  qualcosa su ETA, sulle vittime, ecc… La nostra posizione è chiara e continuiamo a dichiararla per permetterne  la diffusione. In ogni caso, incoraggiamo tutti quelli che continuano a parlare di o in nome dell’EPPK di agire nel proprio ambito di competenza.

LG: Il collettivo  è formato da militanti  politici responsabili.  Che ci sia una  volontà politica nel  far avanzare il processo di liberazione di Euskal Herria è stato dimostrato in maniera nitida. Saranno fatti passi concreti quando si presenterà il momento giusto, assumendoci tutta la responsabilità di sbloccare il processo, avendo come priorità il rilascio di tutti i prigionieri e l’autodeterminazione all’orizzonte; vale a dire con l’amnistia come prospettiva (piena risoluzione).
Finché  persiste la legge di dispersione, hanno la possibilità di convertire qualsiasi avanzamento in un ricatto o in una punizione contro alcuni prigionieri, utilizzando il mantra di “è insufficiente” o inventando nuove divisioni e classificazioni tra di noi. Senza tener conto di questo, si finisce con il chiedere e chiedere cose che favoriscono solo coloro che usano la violenza.

Siete disposti ad accettare le differenze tra i detenuti? E a prendere atto delle diverse situazioni?
LG: Tra i prigionieri ci sono compagni che hanno preso strade diverse, è una realtà che noi accettiamo e rivendichiamo. Ciò che ci rende uguali è che in un modo o nell’altro abbiamo lavorato e stiamo lavorando per il Paese Basco e per questo ci hanno incarcerato. Ci hanno incarcerato per motivi politici e per questo ci sono prigionieri politici. Condividiamo gli stessi obiettivi politici e di questo ne è la dimostrazione la coesione politica del Collettivo.

XA: Quello che ci ha reso uguali in carcere è il nemico, affermando che siamo tutti membri di ETA, con  una manovra giuridica e politica senza fondamento e credibilità, classificandoci come FIES o DPS, con le conseguenze che questo comporta nella vita quotidiana. Un tuffo nella pluralità del Collettivo nel dibattito del 2003. Ci sono compagni di diversa provenienza e orientamento  e questo lo abbiamo sempre tenuto in considerazione, il contrario sarebbe un non senso. Ma un’altra cosa è il tentativo di alimentare le differenze  attraverso una sorta di gioco, distribuendo premi e punizioni, o punendo alcuni compagni più di altri.
È tempo che i governi, alcuni partiti, i mezzi di comunicazione e il resto accettino che le minacce fanno solo in modo che  l’unità assuma  la forma di conchiglia e la mano diventi pugno. Il riconoscimento dei diritti, il rimpatrio, o per lo meno un’apertura verso queste soluzioni, farebbero brillare di più i diversi colori della nostra anima.  Di fronte a condizioni diverse, agiremmo in modo diverso.
Il problema non è accettare o meno  un rilascio a scaglioni, non sono le diverse modalità o scadenze, ma che questi si inseriscano in un piano di risoluzione globale. Le differenze tra i prigionieri che vanno seriamente valutate sono diverse da quelle che prendono in considerazione le autorità: per esempio, la durata del rilascio, l’età, le condizioni… La pluralità non si basa sull’appartenenza  o meno a ETA. 

Dopo l’ultimo dibattito, l’orientamento dell’EPPK è stato rinnovato e la struttura è stata riorganizzata. Come valutate  il cambiamento? Oggi risponde meglio alla realtà del collettivo?
XA: Il dibattito ha permesso al Collettivo di adattarsi alla situazione politica e affrontare le  nuove sfide politiche. Con la Dichiarazione di Aiete e la decisione dell’ETA, siamo entrati in una nuova era. L’EPPK ha riformulato la sua linea politica, avendo come riferimento la proposta di Anoeta, l’accordo di Gernika e la Dichiarazione di Aiete. Nel mese di giugno giungemmo ad  una conclusione importante. Da allora, ci siamo immersi in una sorta di dibattito permanente per decidere le strade concrete da intraprendere. 

LG: Ci sono stati cambiamenti anche dal punto di vista organizzativo. Tre membri per ogni stato si aggiornano sul dibattito in corso. Affiancati ad essi abbiamo nominato altri quattordici compagni, a completamento della direzione del Collettivo. In ogni carcere, un membro del collettivo si occupa di  risolvere i problemi esistenti con i funzionari. Si tratta di misure che ci permettono  di rispondere meglio  alla realtà esistente, di  avanzare nel dibattito e di prendere le decisioni. Per essere parte attiva nella discussione  politica.

Come sono i rapporti tra i membri del Collettivo e su cosa si incentra il dibattito?
XA: Abbiamo diverse provenienze politiche e un diverso orientamento , si va dai membri di ETA ai giornalisti di EGIN. Ci sono molte persone,  diversi pareri, ciascuno dà la propria visione e il suo contributo. Definiamo la nostra linea politica dinamica, tenendo in considerazione questa grande pluralità. Per il collettivo, ogni contributo è essenziale per avanzare insieme. Le difficoltà ci sono: la dispersione, i divieti, le perquisizioni sono aumentate, eccetera… Ma nonostante tutti gli ostacoli, siamo più vivi che mai. Certo sarebbe più semplice, naturalmente, se fossimo tutti insieme e in Euskal Herria.

LG: La nuova fase politica ha sollevato un grande interesse, e riflettiamo su tutte  le notizie che riceviamo dall’esterno. Il dibattito, che consente di valorizzare ogni contributo, è molto ampio, si può dire che è il più vivo degli ultimi anni, con una partecipazione molto alta, che ha  rafforzato l’unità. Dal momento in cui ti trovi in carcere, si instaurano all’interno del Collettivo relazioni personali e politiche importanti. È molto gratificante.

Anche il  movimento pro-amnistia ha apportato modifiche alle proprie pratiche politiche. Dal carcere che idea vi siete fatti?
XA: La fase politica ha introdotto dei  cambiamenti e le formazioni politiche, le organizzazioni, i movimenti… si stanno  adattando a questa nuova fase. Anche noi lo abbiamo fatto. Negli ultimi decenni, il movimento pro-amnistia è stato un riferimento politico molto importante per le rivendicazioni e la situazione dei prigionieri politici baschi. Il collettivo ha un grande debito con tutti i compagni che hanno lavorato in tutti questi lunghi anni. Hanno fatto in modo che si conoscessero le origini politiche del conflitto e la natura politica del Collettivo. Molti di loro, che sono stati incarcerati per aver svolto questo tipo di  lavoro politico, ora sono membri dell’EPPK  e sono ancora in carcere.

L.G: Sono nati nuovi  riferimenti. Per  esempio il movimento Herrira , che si presenta sotto un nuovo profilo e presenta diverse modalità d’azione, risulta indispensabile per l’unità delle forze e l’attivazione popolare. Siamo certi che i diritti e le rivendicazioni di prigionieri politici baschi siano stati sedimentati correttamente nella società basca.

ETA ha recentemente presentato un ordine del giorno per la pace e  in esso indica che c’è la necessità di cercare “i termini e le formule” per portare a casa i prigionieri e i rifugiati. Quali sono le condizioni e le modalità possibili? Qual è la posizione dell’EPPK?
XA: ETA ha una grande responsabilità nella risoluzione del conflitto, e l’EPPK le riconosce questa responsabilità e questo compito. In questo momento, crediamo che sia indispensabile aprire spazi e che i passi compiuti siano concordati, valutati, sia nel tempo che nelle forme. Il contrario sarebbe irresponsabile. Comporterebbe non chiudere il conflitto politico e le sue conseguenze. Comprometterebbe la sicurezza e la stabilità richiesta da questi processi. Pertanto, c’è bisogno che  i termini e le formule siano concordati. Per la risoluzione definitiva del processo è indispensabile che tutti gli interlocutori offrano garanzie reciproche. Non concedere una via d’uscita dalle conseguenze del conflitto comporterebbe un elevato rischio di paralizzare il processo politico.

LG: Per dimostrare  che esiste la volontà di fare  passi in avanti, i governi,come prima cosa, dovrebbero iniziare un confronto con i prigionieri. Questa esperienza rappresenterebbe un vantaggio per tutte le parti in causa. Lasciando da parte i ridicoli canti di sirena lanciati finora, ribadiamo l’invito ai governi di avviare i contatti con i membri dell’EPPK.

Anche in Irlanda si cercarono i “propri termini e formule”. Può rappresentare un modello per  EPPK?
XA: In Irlanda non solo si cercarono le condizioni e le modalità di risoluzione del conflitto, ma furono  concordate  da entrambe le parti. Non  bisogna dimenticare che, prima di risolvere il conflitto, fu preso un accordo politico, noto come l’Accordo del Venerdì Santo. Questo  modello è servito per aprire una strada, non senza difficoltà e senza ostacoli. Ogni conflitto reclama le proprie soluzioni.

LG: Naturalmente sono molte le esperienze interessanti. Ma in ogni caso qui abbiamo bisogno di creare un nostro modello, abbiamo una realtà peculiare, e si può prendere esempio da diverse esperienze, ma alla fine bisogna rispondere a questa realtà. Più che in una formula specifica, la capacità di diventare un esempio  risiede in alcuni elementi chiave: creare le condizioni  che permettano di  dar voce ai prigionieri e ne consentano il rilascio. Entrambi sono fattori che favoriscono la risoluzione del conflitto.

“La posta in gioco non consiste nel  migliorare la nostra situazione, ma nella vitalità del processo.” Sciogliere il nodo dei prigionieri politici potrebbe facilitare il tutto?
XA: Come già detto, la fine della dispersione ha una connessione  diretta con l’accettazione e il rispetto della volontà dei cittadini baschi. Il processo dovrebbe essere declinato nella sua interezza, e le forze che vogliono provocare il blocco hanno scelto il “tema” dei prigionieri–esiliati-deportati.
Il modo in cui gli stati si stanno trincerando, barricando, di fronte alle richieste basilari finora avanzate mostra le  condizioni  in cui si sviluppa il processo democratico, e come il  confronto democratico debba essere lungo e intenso. Saremo pronti! Le manifestazioni di Bilbo e Baiona dimostrano una tenace e immensa accumulazione di forza. La chiave è nel riuscire ad incidere in tutti i  settori e di rispondere a tutte le sfide del processo, rendersi conto dell’importanza di tutte le gocce di acqua che penetrano la pietra, nei paesi, nei vari settori…

LG: La fine della dispersione non è soltanto la fine di una situazione di emergenza, non significa solo sbloccare una situazione che è momentaneamente ferma. È anche questo, ma la sua importanza risiede nella dimostrazione del  rispetto della volontà  dei Paesi Baschi.  Un avanzamento nel problema politico dei prigionieri  ci fornirebbe la possibilità di muovere altri fili, potrebbe alimentare il coraggio di tutte le parti e accelerare il processo, gli darebbe vigore e  forza. In ciò risiede la sua importanza.

Il gruppo di mediatori dell’EPPK, che ha avviato contatti con le varie forze presenti sul territorio, ha annunciato che è stato ben accolto. Quali sono le sue richieste?
XA: I mediatori dell’EPPK stanno mettendo in atto quanto deciso e di questo e ci rallegriamo. Hanno risposto in modo responsabile alle nostre sollecitazioni. Siamo ansiosi di avere un confronto diretto  con queste formazioni politiche, così come vogliamo che ascoltino da noi le nostre idee e proposte, senza mediatori. Pensiamo che una relazione diretta possa connettere con maggiore forza il Collettivo al popolo basco. Se fossimo nel Paese Basco, sarebbe molto più facile.

LG: Nella misura in cui essi rappresentano la collettività, le varie formazioni svolgono un ruolo importante. Non chiediamo loro di condividere la nostra posizione politica, rispettiamo la loro. Quello che chiediamo è che diventino una forza influente in grado di far rispettare i diritti dei prigionieri, che prendano coscienza dell’importanza di sostenere i diritti dei prigionieri e la trasmettano al popolo, che incoraggino i leader politici ad impegnarsi nel processo. I portavoce sono pronti a confrontarsi con i partiti baschi e le diverse formazioni politiche. È però importante che i governi non siano d’ostacolo.

Si può intuire come all’interno del PSE vi sia stato un cambiamento su questo tema. Come lo valuta l’EPPK?
XA: In alcuni comuni sono stati fatti passi in avanti, che dimostrano la volontà di mettere fine alla dispersione e di rilasciare i prigionieri malati, mentre a noi sono giunti segnali sulla necessità di un cambiamento nella politica penitenziaria. La domanda ora è se queste parole siano il riflesso di un desiderio sincero. Il PSE non ha potere nel sud di Euskal Herria e neanche a Madrid. Noi pensiamo che vogliano ripercorrere i passi di alcuni eletti del PSF.  Se questa volontà  fosse confermata, ci sarebbe l’opportunità di percorrere nuove strade, anche perché se il PSE, unito al PSN, lo richiedesse, non sarebbe possibile prolungare questa situazione.

Cosa dovrebbe fare Iñigo Urkullu dal Lehendakaritza per la questione dei prigionieri? E il PNV?
XA: Il PNV ha una grande responsabilità nei confronti del popolo basco nella risoluzione del problema dei prigionieri. Come Urkullu ammette, nei palazzi spagnoli hanno avallato molte decisioni che  hanno generato la situazione attuale. Cioè, una continua violazione dei diritti. Una politica che ha causato molti morti.
Quello che Urkullu deve fare è rispettare la volontà di questo popolo, le rivendicazioni di una maggioranza molto ampia. Applicare e far applicare ciò che è stato ribadito nel Parlamento di Gasteiz: “Euskal presoak Euskal Herrira”!. Almeno, per non rinnegare il suo giuramento sotto l’albero di Gernika. Capire che il PNV ha  delle grosse responsabilità nell’applicazione e nel perpetuazione  della dispersione, ignorando  di fatto anche la sua base sociale.

LG:  è  necessario che si metta in gioco nel processo politico che si è aperto e che si accordi per  cercare una soluzione globale e definitiva. Rispettando tutti i cittadini baschi e, quindi, i Paesi Baschi nel suo complesso. E  per quanto riguarda noi prigionieri politici, è necessario che prenda decisioni politiche efficaci, insieme con gli altri protagonisti di questo processo, mettendo fine alla dispersione nel breve periodo e dando inizio alle scarcerazioni.

Quali sono invece le richieste al fronte ampio che si è formato intorno a EH Bildu?
XA: EH Bildu è il risultato concreto di un lavoro fatto di  accordi e che ha permesso di sommare le forze, e che, come conseguenza del successo che ha avuto, è stato investito di una grande responsabilità.  Ha molto lavoro da fare come promotore del processo in atto e per garantire che, indipendentemente dalle etichette, questo si radicalizzi nella regione basca. La chiave di svolta è nei Paesi Baschi, è qui che  il processo può acquisire forza, approfittando delle nuove opportunità e condizioni aperte dall’accordo di Aiete e dalla mobilitazione popolare. Nel suo complesso.
EH Bildu ha enormi capacità e responsabilità nella costruzione del consenso delle  diverse forze politiche e sociali. Vista la maturità mostrata, sarà in grado di trovare il giusto compromesso tra gli sforzi richiesti a livello istituzionale e le rivendicazioni dei movimenti. Dovrà fare numerosi sforzi affinché la primavera basca,che ha il compito di far germogliare una nuova era, si concluda con una fioritura. E anche per mettere fine alla dispersione.

LG: Data la rappresentanza politico-istituzionale che possiede, gli chiediamo di prendere decisioni e intraprendere iniziative che definiscano e rafforzino il processo in corso. Anche sulla questione dei prigionieri.

Come valutate  la partecipazione della comunità internazionale nel processo politico basco?
XA: Rispetto ai precedenti processi,  il coinvolgimento internazionale è importante e ci rincuora. Se si considera  che le personalità e le organizzazioni coinvolte sono di prim’ordine, si conferma l’interesse internazionale per risolvere il conflitto. Hanno incontrato grandi difficoltà, a causa dell’atteggiamento negativo di Francia e Spagna. Dovranno ricorrere ad altri strumenti che esistono in ambito internazionale per avanzare in questa direzione.

LG: A livello internazionale, ma soprattutto nei Paesi Baschi, l‘ampia eco e l’adesione alla dichiarazione di Aiete dimostrano  la fattibilità della tabella di marcia prevista. Guardiamo con grande interesse, fiducia alla nuova strada intrapresa, all’organizzazione del Social Forum e alle proposte di lavoro che verranno avanzate. A nostro avviso, questo percorso deve andare avanti con l’appoggio internazionale, ma soprattutto con il sostegno dei cittadini baschi. Anche noi ne facciamo parte, e siamo pronti ad intraprendere questa strada. A tal fine, abbiamo detto sì all’invito del Social Forum, facendo sì che l’EPPK possa partecipare attivamente al dibattito. In realtà, abbiamo fatto  noi la richiesta all’Amministrazione.

La Corte di Strasburgo riesaminerà  il 20  marzo la sentenza di Inés del Rio e quindi la dottrina 197/2006. Entrambi gli scenari sono  possibili: cioè esiste l’eventualità  che  confermi la sentenza dell’anno scorso o, al contrario, si pronunci contro. Come bisogna prepararsi?
XA: Tenendo presente i due scenari possibili e preparando la risposta per entrambi. Strasburgo l’anno scorso prese una posizione in merito, e lo fece anche in modo netto. Nessuno adesso capirebbe  una decisione negativa. Il tribunale non solo ammette che si stanno violando i diritti fondamentali dei detenuti, in più, dato il nuovo processo politico in atto, sarebbe negativa e pericolosa la  difesa della dottrina. La Corte di Strasburgo conosce la situazione e saprà fare le sue valutazioni.
Lo Stato spagnolo  ha avuto una reazione così violenta da far sì che il ricorso fosse riesaminato, con una  pressione diretta da parte delle alte cariche (con la conseguenza che la questione è stata rinviata e la violazione dei diritti dei compagni si è prolungata ulteriormente), e che non possiamo sottovalutare un responso negativo. Il governo spagnolo sa bene che si tratta di un processo chiave.

L.G: Non si tratta solo di una battaglia legale. Ha un forte significato politico. Strasburgo potrebbe segnare un punto di svolta  importante nella politica penitenziaria che attua Madrid. Il governo  di sicuro sarebbe tentato di non applicare una decisione contraria, inventando scuse e ricorrendo a chissà quali trucchi. I cittadini baschi e i rappresentanti politici dovranno quindi mostrare grande forza per impedirlo. Per porre fine alle gravi violazioni dei diritti umani che ancora continuano e  il rilascio immediato di tutti i compagni, perché il danno  causato è già inammissibile, irreparabile. Dato che questo può avere conseguenze  politiche di vasta portata, c’è bisogno di uno sguardo al futuro.

Visto che i governi spagnolo e francese non hanno fatto passi in avanti, come sono gli spiriti dei membri  dell’EPPK? In un’intervista dello scorso aprile avevano dichiarato di essere fiduciosi della nuova situazione. È ancora così?
X.A: Sapevamo che la scommessa non sarebbe stata facile. Non vogliono prendere le misure necessarie alla risoluzione del conflitto, pur avendo sul tavolo un’opportunità politica mai presentatasi prima. Continuano con gli arresti,i processi e le condanne senza dare alcun segnale positivo. In questo modo  appare chiaro come non siano a favore di una soluzione e come utilizzino i prigionieri come ostaggi politici per ricattare il popolo.??LG: La lotta di tanti  anni ci ha insegnato a pensare e ad agire con saggezza, e per questo non ci perdiamo d’animo. Bisogna sempre avere speranza,anche se solo con questa non ci facciamo niente, la speranza non cambierà la situazione. La determinazione nella lotta guida la nostra testa. E si potrebbe dire che è più forte. Abbiamo fiducia nelle nostre forze e  in quelle del popolo basco.

Secondo le dichiarazioni, la collisione tra il ministro Manuel Valls  e gli eletti di Iparralde  è molto evidente. Come si interpreta questa situazione?
XA: Da Parigi hanno ribadito più volte che seguono la linea politica della Spagna,  si sono presentati come fedeli collaboratori  dello Stato  Spagnolo, ma la Francia guarda ai propri interessi quando nega l’esistenza politica di Euskal Herria. La Francia è uno dei protagonisti del conflitto. Ci sono molti esempi di coinvolgimento diretto. Non può sottrarsi dal problema politico né può negare le conseguenze del conflitto, e dovrà impegnarsi in modo responsabile nel processo di risoluzione.

LG: Sembra che il ministro Valls o la posizione che rappresenta  rispecchi quella del governo francese, e di conseguenza  ha confermato i sentimenti degli ultimi mesi. In  Iparrralde , dalla dichiarazione di  Aiete in poi è sorto un problema. Si è costruito un ampio fronte politico da sinistra a destra, che riteniamo importante.
Come già menzionato, il modo di rispondere al blocco va cercato nei  Paesi Baschi. In Lapurdi, Navarra Beherea  e Zuberoa  sta prendendo forma  un modo molto valido di agire. Si sta dando una grande spinta al processo, con impegni concreti, privilegiando il lavoro comune. Siamo d’accordo che bisogna lavorare tenendo presente l’intero processo, Il riconoscimento dei Paesi Baschi, la fine della dispersione, l’esperienza permanente di dialogo tra  le diverse formazioni politiche, ognuno con le sue pratiche e nel proprio ambito, potenziandosi e appoggiandosi a vicenda. Il Forum  di Bayonne in questo è all’avanguardia. La posta in gioco è il riconoscimento territoriale e la risposta del popolo.
Alla pietra che rotola non aderisce il muschio. La strada è fatta di piccoli passi. Abbiamo iniziato col costruire un terreno di gioco democrático.  L’EPPK sta prendendo misure  in questa direzione e continuerà a farlo. Con il  popolo basco, con l’obiettivo dei Paesi Baschi, con i Paesi Baschi nel cuore.

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