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Sinistra ecologia

Non potete lamentarvi. Se siete rimasti delusi dalla politica ambientale di Nichi Vendola la colpa è di un vostro fraintendimento grammaticale. Lui una “sinistra ecologia” ve l’ha promessa fin dalla scelta del nome del partito. Se poi non sapete l’italiano e confondete gli aggettivi con i sostantivi, non gliene potrete mica imputare la colpa.

Magari vi eravate illusi quando, nel novembre 2008, lo vedeste sfilare per le vie di Taranto nel corteo contro l’inquinamento industriale, promosso  dalle associazioni ambientaliste.

Nel caso, la telefonata del governatore a Girolamo Archinà, rilanciata ieri dai telegiornali della sera, infrange contro un muro di cinismo qualsiasi residuo di illusione.

Potete giudicare voi stessi il video che riprende Archinà, all’epoca responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva, mentre strappa il microfono ad un giornalista reo di chiedere conto a patron Riva dei tumori di Taranto. Potete giudicare voi stessi icommenti di Vendola a riguardo. E’ strano: la scena che diverte tanto il governatore poeta a me fa vomitare. Sarà che le sensibilità sono diverse. Io sono prosaica.

Non posso fare a meno, inoltre, di notare una certa differenza fra i contenuti squallidi di quella conversazione privata,  la piaggeria leccosa verso l’emissario dei Riva, a confronto con le figure retoriche a cui il governatore poeta ci ha abituati all’interno del suo discorso pubblico.

Solo qualche anno fa l’ascesa di Nichi Vendola alla guida della Regione Puglia aveva creato molte speranze e forti aspettative, alimentate dai suoi primi atti. Era il governatore che aveva avuto il coraggio di bloccare le esercitazioni militari in regione, misurato (per la prima volta dopo 50 anni) i livelli di diossina prodotti dall’Ilva, promosso una legge per contenerne le emissioni.

Era partito bene, insomma, il presidente che prometteva ai bambini di Taranto di brindare, con un bicchiere di latte «quando verificheremo se sul fronte delle emissioni, tutte le emissioni, di tutte le aziende, avremo compiuto significativi passi in avanti. Se non sarà così, vorrà dire che metteremo un marchio su tutte le fabbriche ammazzabambini. E faremo le barricate, con i piccoli e i loro papà. Operai al mio fianco».

Sapeva parlare, il governatore poeta, al cuore dei tarantini avvelenati dall’Ilva. Sapeva evocare immagini potenti: la vita, la morte, il futuro.

Nascosta sotto la retorica, più che una progettualità, una contraddizione in termini: la pretesa di ottenere risultati credibili sull’inquinamento di Taranto attraverso un percorso di contrattazione con Riva.  Era un progetto piuttosto velleitario, quello di convincere uno dei maggiori artefici del disastro ambientale della città a cambiare rotta, anche perché le motivazioni di patron Riva in senso contrario erano molto più consistenti delle chiacchere, tanto quanto lo possono essere svariati miliardi di euro sottratti negli anni agli investimenti ambientali e dirottati nei paradiso fiscale del Lussemburgo.

Insomma, il governatore pretendeva di conciliare l’inconciliabile: il capitale con la salute e l’ambiente, gli interessi dei poteri forti con quelli della gente.  O forse l’unica cosa complessa da conciliare erano le forti aspettative della sua base elettorale con la sua scarsa propensione verso uno scontro serio con il  potere industriale.

Se questo era il problema, occorreva almeno far finta di intervenire, ostentando  un intenso lavorio, fatto di protocolli di intesa, trattative, accordi, completamente inutili ma mediaticamente spendibili.  Insomma “vendere fumo”, come disse Girolamo Archinà con una definizione sintetica e ficcante.

Per accreditare i Riva come interlocutori credibili, bisognava  intanto dimenticarne il passato.  Quello di Emilio Riva condannato per mobbing per il reparto confino della palazzina LAF, dove chi si opponeva alla ristrutturazione del siderurgico veniva annientato psicologicamente. Le voci dall’interno dello stabilimento dicevano che i rapporti di potere, l’arroganza dei capi e i livelli di pericolo e nocività, da allora, non erano affatto cambiati. Lo stillicidio di morti operaie continuava a ritmi regolari.  Ma che importa. I Riva erano credibili.

Bisognava inoltre ridimensionarne le responsabilità, tanto per cominciare negando, dall’altare della “evidenza scientifica”,  che a Taranto vi fosse un disastro ambientale in corso. Riconoscerlo, ratificarlo avrebbe automaticamente chiuso lo spazio ai temporeggiamenti e ai compromessi.

Nell’ottobre 2007 il governatore dichiarava: “Per la prima volta in quarant’anni, abbiamo imposto all’Ilva il monitoraggio della diossina. Finalmente cominciamo a discutere, grazie al preziosissimo lavoro svolto dall’Arpa, con dati scientifici secondo i quali la condizione non è quella del disastro ambientale”.

Eppure i dati scientifici in questione non erano particolarmente benevoli: “dai campionamenti di metà giugno, realizzati in condizioni idilliache, da “Mulino Bianco”, con visibili difformità rispetto alla gestione abituale dell’impianto siderurgico…emergono valori di diossina 27 volte più alti del limite vigente in Friuli Venezia Giulia”.

Comunque, qualche sospetto sulla gravità della situazione a Vendola sarebbe potuto pure venire consultando i dati (pubblici) dell’European Pollutant Release and Transfer Register, che riportavano gli inquinanti dichiarati dalla stessa Ilva nel 2004:

EMISSIONS TO AIR  Benzene 183 t, Cadmium and compounds 305 kg, Methane 468 t, Chlorine and inorganic comp. 754 t, Carbon monoxide 446.000 t ,Carbon dioxide 9.560.000 t, Chromium and comp. 3,16 t, PCDD + PCDF (dioxins + furans) 76,2 g, Sulphur oxides 40.600 t, Zinc and comp. 13,7 t, Copper and comp. 1,52 t, Fluorine and inorganic comp. 434 t, Hydrogen cyanide 3,04 t,Mercury and comp. 1,14 t Ammonia 25,9 t, Nickel and comp. 461 kg, Non-methane volatile organic comp. 1.500 t, Nitrogen oxides 27.800 t, Polycyclic Aromatic Hydrocarbons 25,8 t, Lead and compounds 61,1 t.

EMISSIONS TO WATER: Arsenic and compounds 1,09 t, Cadmium and compounds 384 kg, Chromium and compounds 26,2 t, Copper and compounds 12,2 t, Cyanides 32,0 t, Mercury and compounds 640 kg, Nickel and compounds 4,38 t, Polycyclic Aromatic Hydrocarbons 2,56 t,  Lead and compounds 4,09 t, Phenols 15,2 t, Total nitrogen2.150 t, Total phosphorus 26,5 t, Total organic carbon 979 t, Zinc and compounds 57,9 t.

Anche tenendo conto della probabile sottostima dei dati di fonte aziendale, si trattava comunque di agenti cancerogeni, mutageni, teratogeni, allergizzanti, tossici per il sistema nervoso, per il sistema immunitario, per quello endocrino e per i filtri del corpo (fegato, reni), sparsi ogni anno a tonnellate nell’aria e nell’acqua della città.  Non era abbastanza come disastro ambientale ?  Cazzo voleva Vendola di più, la bomba atomica ?

Il contenuto di questi dati non era forse sufficiente per procedere ad attivare un immediato monitoraggio epidemiologico di tutte le patologie correlate ai singoli inquinanti,  i campionamenti in aria e acqua di tutte le sostanze dichiarate, oltre alle misure sanitarie necessarie a fronteggiare l’emergenza ?  Stiamo parlando delle funzioni istituzionali proprie delle Asl e delle Arpa, attivabili direttamente dalla Regione senza tanti clamori, e soprattutto senza dover contrattare alcunché con i ministeri o con i padroni dell’acciaieria.

La prima giunta Vendola (2005/2010) perseguì questi obiettivi in maniera molto limitata, concentrandosi sulle emissioni in aria di due inquinanti, le diossine e il benzo(a)pirene, sicuramente fra i più micidiali, ma trascurando tutti gli altri. Quanto all’epidemiologia, la giunta  aspettò cinque anni prima di finanziare il registro tumori, e i primi risultati vennero resi pubblici solo nel 2013. Sicuramente, meglio tardi che mai, anche se nel 2013 già molto si sapeva comunque, grazie alle perizie disposte dalla Procura di Taranto, al progetto Sentieri dell’Istituto Superiore di Sanità, alle statistiche dell’Inail, ad indagini del Policlinico di Bari .

Si sapeva già che:

Mancano ancora i  numeri di ciò che non è stato ancora indagato, ma che l’epidemiologia dal basso dei comitati e delle associazioni già sa, vale a dire l’eccesso di tiroiditi autoimmuni, dermatiti, endometriosi, forme infiammatorie artritiche o vascolari, allergie di ogni tipo, sindrome MCS (sensibilità chimica multipla), disturbi bipolari, malattie neurodegenerative, SLA, patologie genetiche, malformazioni alla nascita.  L’infinita varietà di forme che a Taranto può assumere il dolore, che segue l’infinita varietà degli inquinanti chimici prodotti da Ilva.  Gli effetti di un disastro ambientale.

Si diceva, una volta, che “chi non ha fatto l’inchiesta non ha diritto di parola”. Indagare da subito la realtà per poterla svelare, avrebbe forse permesso al governatore poeta di nominare la vita e la morte con più cognizione di causa, magari con termini più appropriati, quali lesioni gravi e gravissime, omicidio, strage. Termini però più consoni al linguaggio giuridico di una denuncia alla Procura che al discorso poetico.  Sicuramente imbarazzanti nell’ambito di una trattativa coi Riva.  (Continua)

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