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1919-2019: i cento anni dell’Internazionale Comunista

Dal 2 al 6 marzo 1919 si svolse a Mosca il primo Congresso del Comintern, in un momento di crescita del movimento rivoluzionario mondiale e di generale entusiasmo per la nuova organizzazione, tanto che il secondo Congresso, un anno dopo, con le famose 21 condizioni, ritenne necessario porre un freno all’adesione di quei partiti socialisti ancora impregnati di opportunismo

Dopo il centenario della Rivoluzione d’Ottobre, nel 2017; dopo il bicentenario della nascita di Karl Marx, nel 2018; i comunisti celebrano quest’anno i cento anni di quella Conferenza comunista internazionale, apertasi il 2 marzo 1919 a Mosca, che il 4 marzo proclamò la fondazione dell’Internazionale Comunista e si trasformò nel primo Congresso del Comintern.

L’atmosfera in cui si tenne l’incontro era di generale entusiasmo, per la crescita del movimento rivoluzionario mondiale; tutti gli interventi in quel primo Congresso, conclusosi il 6 marzo, esprimevano la certezza che in molti paesi europei si sarebbe presto arrivati alla rivoluzione proletaria. Il delegato del giovane Partito comunista tedesco, Hugo Eberlein, disse che non era “lontano il tempo in cui il proletariato tedesco porterà la rivoluzione alla sua vittoriosa conclusione”. Il rappresentante ungherese concluse: “possiamo già ora predire che il Comunismo in Ungheria rivestirà un ruolo decisivo”. Molti delegati si dichiararono convinti che “l’idea di collaborazione con la borghesia è già praticamente spenta all’interno del movimento operaio e il proletariato sempre più decisamente volta le spalle ai capi social-riformisti”.

In effetti, nonostante la sanguinosa repressione della rivoluzione a Berlino, nel gennaio precedente, a opera del governo socialdemocratico, con il massacro di centinaia di operai e dei capi del movimento spartachista, col feroce assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, poi di Leo Jogiches e di tanti altri capi comunisti negli eccidi di marzo, la situazione europea infondeva entusiasmo: di lì a poco sarebbero state proclamate Repubbliche sovietiche in Ungheria, Baviera, Slovacchia, poi però soffocate nel sangue, al pari delle rivoluzioni tedesca e finlandese.

Anche in campo riformista si cercava di riallacciare i legami internazionali. Tra i partiti socialisti restii ai tentativi di rianimare la morta II Internazionale o di trovare “terze vie” (Internazionale “due e mezzo”) alcuni chiesero l’adesione all’IC. Tra il 1° e il 2° Congresso, i partiti socialisti di Francia, Italia, Germania, Norvegia e altri avevano rotto con l’Internazionale di Berna, orientandosi verso Mosca. Si trattava di partiti centristi, diretti da elementi di destra e ciò dettò la necessità di adottare le famose 21 condizioni per l’ammissione all’IC, approvate dal 2° Congresso nel 1920, tra cui le principali erano il riconoscimento della dittatura del proletariato, espulsione dal partito di riformisti e centristi, centralismo democratico.

La degenerazione della II Internazionale

Lenin e i bolscevichi russi denunciavano da molti anni la degenerazione della II Internazionale e allo scoppio della prima guerra mondiale, col vergognoso atteggiamento dei principali capi riformisti, avevano cominciato a parlare della necessità della fondazione di una nuova Internazionale, comunista. Il 1° novembre 1914, Lenin scriveva sul Sotzialdemocrat, organo del Partito bolscevico: “la maggioranza dei capi dell’attuale II Internazionale socialista … hanno tradito il socialismo votando i crediti di guerra, ripetendo le parole d’ordine scioviniste (“patriottiche”) della borghesia dei “loro” paesi, giustificando e difendendo la guerra, partecipando ai ministeri borghesi … Il fallimento della II Internazionale è il fallimento dell’opportunismo, che si è sviluppato sul terreno delle particolarità del periodo storico trascorso (cosiddetto “pacifico”) … Oggi non si può costituire un’effettiva unione internazionale dei lavoratori senza rompere decisamente con l’opportunismo… Alla III Internazionale spetta il compito di organizzare le forze del proletariato … per la guerra civile contro la borghesia di tutti i paesi, per il potere politico, per la vittoria del socialismo!”.

Alcuni embrioni della futura III Internazionale erano spuntati prima del 1914. Nonostante i partiti socialisti fossero ridotti ad appendici governative, di fronte alla prospettiva della guerra, al VII Congresso di Stoccarda della II Internazionale nel 1907 e a quello straordinario di Basilea nel 1912 si erano levate voci contro la guerra. Il manifesto di Basilea dichiarava che “i lavoratori gridano ai governi un ammonimento che è una sfida: osate di proclamare la guerra e noi reagiremo con tutti i mezzi. Se dobbiamo morire, non moriremo uccidendo i nostri fratelli, ma ci sacrificheremo per la causa della emancipazione operaia, cercando di rovesciare per sempre il dominio della borghesia”. La coscienza dell’irriformabilità della II Internazionale e dell’impellenza della creazione di una nuova Internazionale si faceva strada, e non solo tra i dirigenti bolscevichi.

Nella corrispondenza con Aleksandr Shliapnikov dell’ottobre 1914, Lenin scriveva che “Nostro compito oggi è la lotta inflessibile e aperta contro l’opportunismo internazionale e coloro che lo coprono (Kautsky)… E’ sbagliata la parola d’ordine della “pace”: la parola d’ordine deve essere quella della trasformazione della guerra nazionale in guerra civile”. Un mese dopo, in “La guerra e la socialdemocrazia russa”, lanciava l’appello a trasformare la guerra imperialista in guerra civile, accolto sprezzantemente dai vertici social-sciovinisti e dagli opportunisti alla Kautsky. A essi rispose Rosa Luxemburg, rinfacciando a Kautsky di aver trasfigurato l’appello del Manifesto dei Comunisti, trasformandolo in “Proletari di tutti i paesi unitevi in tempo di pace e prendetevi reciprocamente alla gola in tempo di guerra”.

Nel 1915, alla Conferenza di Zimmerwald, si crearono una destra e una sinistra e quest’ultima, disse Lenin, costituiva “un primo passo verso la III Internazionale; un timido e incoerente passo verso la scissione dall’opportunismo”. Un anno dopo, a Kienthal, ancora “un modesto passo in avanti – in sostanza si segna il passo”(Lenin): la destra di Zimmerwald era ancora per la conciliazione coi social-sciovinisti e respingeva l’idea di una III Internazionale. Ne “Il programma militare della rivoluzione”, Lenin scriveva che “La lotta contro l’imperialismo, se non è strettamente collegata alla lotta contro l’opportunismo, è una frase vuota o un inganno. Uno dei principali difetti di Zimmerwald e di Kienthal, una delle cause fondamentali del possibile fiasco di questi germi della III Internazionale, consiste appunto nel fatto che la questione della lotta contro l’opportunismo non è stata, non dico, risolta nel senso della necessità di rompere con gli opportunisti, ma neppure posta apertamente”.

Nella primavera del ’15 scriveva ad Aleksandra Kollontaj: “Come si può “riconoscere” la lotta di classe senza capire che è inevitabile che in dati momenti essa si trasformi in guerra civile?”; e nel dicembre 1916, rivolto a Ines Armand: “Bisogna saper combinare la lotta per la democrazia con la lotta per la rivoluzione socialista, subordinando la prima alla seconda”.

In numerose opere di quel periodo, Lenin continuò a denunciare l’opportunismo e il social-sciovinismo, delineando al contempo le basi ideologiche della nuova Internazionale. “La difesa della collaborazione delle classi” scriveva Lenin, “il ripudio dell’idea della rivoluzione socialista e dei metodi rivoluzionari di lotta … la trasformazione in feticcio della legalità borghese, la rinuncia al punto di vista di classe e alla lotta di classe … queste sono le basi ideologiche dell’opportunismo”.

Verso l’Internazionale Comunista

Ancora rivolto alla Kollontaj, nel marzo del ’17 Lenin scriveva: “E’ chiaro che “Zimmerwald” è fallita … La maggioranza di Zimmerwald è costituita da Turati e C, Kautsky e Ledebour, Merrheim: tutti costoro sono passati sulla posizione del socialpacifismo, condannato così solennemente (e così sterilmente!) a Kienthal… Il “centro” di Zimmerwald poi è Robert Grimm, il quale il 7 gennaio 1917 si è alleato con i socialpatrioti della Svizzera per la lotta contro la sinistra!”. In quell’anno, tra le famose “Tesi di Aprile”, scriveva: “Rinnovare l’Internazionale. Prendere l’iniziativa della creazione di una Internazionale rivoluzionaria contro i social-sciovinisti e contro il “centro”; la VII Conferenza del POSDR(b), poi, impegnava il Partito a prendere l’iniziativa di creare una Terza Internazionale.

Nell’agosto successivo, rivolto all’Ufficio estero del CC, scriveva: “Considero la partecipazione alla conferenza di Stoccolma e a qualsiasi altra insieme coi ministri (e farabutti) Cernov, Tsereteli, Skobelev, un vero e proprio tradimento … tutta questa “semi”-socialsciovinistica Commissione di Zimmerwald, che dipende dagli italiani e dai ledebouriani, i quali desiderano l’”unità” coi socialsciovinisti, è la più deleteria delle istituzioni…. Noi commettiamo il più grave degli errori … mandare per le lunghe o differire la convocazione di una conferenza della sinistra per la fondazione della III Internazionale …. I bolscevichi, la socialdemocrazia polacca, gli olandesi, la Arbeiterpolitik, il Demain: ecco un nucleo già sufficiente. Ad esso si aggiungeranno di certo… una parte dei danesi…. una parte dei giovani svedesi… una parte dei bulgari, i sinistri dell’Austria, una parte degli amici di Loriot in Francia, una parte dei sinistri in Svizzera e in Italia e poi gli elementi… del movimento anglo-mericano”.

Nel gennaio 1918, una conferenza di partiti e gruppi socialisti, indetta a Pietroburgo dal Partito bolscevico, decise la convocazione della conferenza internazionale. Un ulteriore stimolo venne dalla fondazione, nella seconda metà del 1918, di partiti comunisti in Austria, Polonia, Ungheria, Finlandia, Lettonia, Argentina. La situazione suscitava entusiasmo, ma ciò che più mancava, come osservava Lenin, era il fattore soggettivo: l’organizzazione internazionale dei comunisti avrebbe aiutato a superare quella carenza.

A conclusione dell’articolo pubblicato sulla Pravda del 11 ottobre 1918, dal titolo “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky” (dato il procrastinarsi dei tempi della pubblicazione dell’omonima opera e l’urgenza di smascherare le calunnie al potere sovietico lanciate da Kautsky che, nonostante tutto, godeva ancora di una certa influenza, Lenin aveva sintetizzato il contenuto del libro in un articolo di giornale) Lenin scriveva che “La più grande disgrazia e il maggior pericolo per l’Europa è il fatto che qui non c’è un partito rivoluzionario. Ci sono partiti di traditori, del tipo degli Scheideman, Renaudel, Henderson, Webb e Co, oppure degli spiriti servili del tipo di Kautsky. Non c’è un partito rivoluzionario…. [questa è] una grande disgrazia e un grande pericolo. Per questo, è necessario smascherare in ogni modo i rinnegati del tipo di Kautsky, sostenendo i gruppi rivoluzionari dei proletari effettivamente internazionalisti, che ci sono in tutti i paesi. Il proletariato volterà presto le spalle ai traditori e ai rinnegati e seguirà quei gruppi, formerà da essi i propri capi”.

Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, dopo l’urgenza di far fronte alla guerra civile e arginare i primi interventi di truppe straniere, a Mosca si tornò a mettere al centro la creazione della nuova Internazionale. Due fattori convinsero i bolscevichi che la situazione fosse matura per la creazione della Terza Internazionale. Il primo, fu la fondazione, a dicembre 1918, del Partito comunista in Germania, considerata il cuore del movimento rivoluzionario in Europa; il secondo, a febbraio 1919, fu il congresso socialdemocratico di Berna, che condannava la Rivoluzione d’Ottobre e ribadiva l’ostilità alla rivoluzione socialista.

Il 1° Congresso dell’IC

Si giunse così alla fondazione dell’Internazionale Comunista, le cui prime deliberazioni, per la sostanza stessa della propria nascita, in lotta con l’opportunismo socialdemocratico, si incentrarono sulla denuncia del tradimento dei principi del socialismo scientifico da parte della vecchia II Internazionale. Ciò si riflesse nei principali documenti adottati al Congresso.

Contro le formule opportunistiche che consideravano la repubblica parlamentare borghese come la migliore delle repubbliche e ponevano lo Stato “al di sopra delle classi”; contro i centristi socialdemocratici che parlavano di “democrazia pura”, o di “democrazia in generale”, contrapposta al potere proletario della Russia sovietica, i comunisti consideravano urgente smascherare tali concezioni riformiste, che idealizzavano la democrazia borghese. “Il punto di vista democratico-formale” scriveva Lenin, è proprio “il punto di vista del democratico borghese, il quale non riconosce che gli interessi del proletariato e della lotta di classe proletaria stanno al di sopra”. E ancora: “La democrazia è una delle forme dello stato borghese, difesa da tutti i traditori dell’autentico socialismo, che si trovano ora alla testa del socialismo ufficiale e che sostengono che la democrazia contraddice la dittatura del proletariato”.

L’assassinio di Liebknecht, Luxemburg e di centinaia di operai tedeschi, costituiva una tragica prova del cinismo della democrazia borghese. Il Congresso dichiarò che non esiste alcuna “democrazia pura”, che rispecchia un’unica “volontà popolare”, dato che nella società divisa in classi e nello stato di classe non può esserci una volontà unica. Già nel 1916 Lenin aveva scritto che “la democrazia è anch’essa una forma di stato, che dovrà scomparire allorché scomparirà lo stato” e che “la democrazia è anch’essa il dominio di “una parte della popolazione sull’altra”, è anch’essa uno stato”.

Avrebbe poi ribadito il concetto al VIII Congresso del Partito bolscevico, nel marzo 1919: “Oggi vediamo che molti ex-marxisti – ad esempio, in campo menscevico – sostengono che nel periodo della battaglia decisiva tra proletariato e borghesia possa regnare la democrazia in generale”.

In quel periodo di ascesa del movimento rivoluzionario, in cui era all’ordine del giorno l’abbattimento del capitalismo, il congresso fondativo dell’IC non poteva non porre come centrale la questione della conquista del potere da parte del proletariato, la questione della forma statale del potere proletario. Contro le litanie opportuniste sulla “democrazia pura”, seguendo i concetti del Manifesto di Marx e Engels, secondo cui la borghesia non lascia volontariamente il potere, il Congresso fece propri i concetti leninisti su democrazia e dittatura.

La cosa più importante, ora” aveva scritto Lenin un anno prima, “è dire addio a quel pregiudizio intellettuale borghese, secondo cui dirigere lo Stato possono solo speciali funzionari, interamente dipendenti dal capitale”; al contrario, la strada verso la “progressiva liquidazione dello Stato” passa per “il sistematico coinvolgimento di un numero sempre maggiore di cittadini al diretto e quotidiano adempimento della propria parte di onere alla direzione dello Stato”.

Lo Stato proletario

All’inizio degli anni ’90 del XIX secolo Friedrich Engels aveva detto che “… l’unica istituzione che il proletariato trova pronta dopo la propria vittoria, è proprio lo Stato. Per la verità, questo Stato necessita di cambiamenti molto significativi, prima di poter adempiere alle sue nuove funzioni”. Ora, stravolgendo il pensiero di Engels, gli opportunisti sostenevano che egli proponesse non di distruggere il vecchio Stato, ma solo di cambiarne le funzioni. In realtà, Engels polemizzava con gli anarchici, secondo i quali il primo atto della rivoluzione socialista sarebbe stato la liquidazione di ogni Stato, anche dello Stato proletario.

Dopo la Comune di Parigi, sia Engels che Marx avevano sempre parlato di “spezzare”, “eliminare”, “tagliare”, “liquidare” lo Stato borghese, quale macchina per l’oppressione della classe operaia, e sostituirlo con il nuovo Stato proletario. Il primo Congresso dell’IC ritenne fondamentale chiarire che l’instaurazione del potere proletario equivale a eliminare, spezzare la macchina statale borghese e creare una struttura statale nuova, che in Russia si era concretizzata nei Soviet, definiti da Gramsci “forma immortale di organizzazione della società” e che avevano cominciato a diffondersi in numerosi paesi europei, quali embrioni di un nuovo potere.

La “rivoluzione è un’autentica rivoluzione e non vuota e gonfiata retorica demagogica” scriveva Gramsci nell’estate 1919, “solo quando si incarna in uno stato di un tipo determinato, allorché diviene sistema organizzato di potere… La rivoluzione proletaria è tale solo quando dà vita a uno stato di tipo nuovo – lo stato proletario – e si incarna in esso … Lo Stato socialista non può incarnarsi nelle istituzioni dello Stato capitalista, ma è una creazione fondamentalmente nuova rispetto ad esse … La formula “conquista dello Stato” deve essere intesa in questo senso: creazione di un nuovo tipo di Stato, generato dalla esperienza associativa della classe proletaria, e sostituzione di esso allo Stato democratico-parlamentare”.

Un tratto importantissimo del potere proletario consiste nella sua funzione di repressione della resistenza delle classi sfruttatrici e nella costruzione del socialismo. L’essenza della questione, aveva già scritto Lenin, è “se si conserva la vecchia macchina statale (legata con mille fili alla borghesia e interamente impregnata di routine e immobilismo) o se essa venga distrutta e sostituita con una nuova”.

Nel 1917, in “Stato e rivoluzione”, scriveva che “L’opportunismo non conduce il riconoscimento della lotta di classe per l’appunto fino al momento principale, fino al periodo del passaggio dal capitalismo al comunismo, fino al periodo dell’abbattimento della borghesia e della sua piena liquidazione. Di fatto, questo periodo è inevitabilmente un periodo di lotta di classe di un accanimento senza precedenti, in forme quanto mai aspre e, conseguentemente, anche lo Stato di questo periodo deve essere uno Stato democratico in modo nuovo (per i proletari e i non possidenti in generale), e dittatoriale in modo nuovo (contro la borghesia)”. Uno Stato che, in Russia, si esprimeva nei Soviet degli operai dei soldati e dei contadini.

Il “passaggio dal capitalismo al comunismo” produrrà un’immensa “varietà di forme politiche” nei diversi paesi, scriveva Lenin, “ma la essenza sarà inevitabilmente una: la dittatura del proletariato”. E Gramsci, su L’Ordine Nuovo: “L’essenziale fatto della rivoluzione russa è l’instaurazione di un tipo nuovo di Stato: lo Stato dei Consigli”; poi, nel luglio 1919, continuava: “Aderire alla Internazionale comunista significa aderire alla concezione dello Stato soviettista e ripudiare ogni residuo della ideologia democratica, anche nel seno della attuale organizzazione del movimento socialista e proletario”.

E a novembre, pensando all’Italia, scriveva: “Gli operai e i contadini d’avanguardia … hanno indicato al Partito la via della presa del potere, la via del governo, la cui base costituzionale non sia il parlamento eletto a suffragio universale, sia dagli sfruttati che dagli sfruttatori, bensì il sistema dei Consigli degli operai e dei contadini, che incarnino sia il governo del potere industriale, sia quello del potere politico, che servano quale strumento per la rimozione dei capitalisti dal processo di produzione e per la privazione del loro ruolo di classe dominante in tutti gli organismi nazionali di gestione centralizzata dell’attività economica del paese”.

I documenti del 1° Congresso dell’IC

Il 4 marzo 1919 il Congresso approva la Piattaforma dell’IC. In essa si dice che, date le crescenti contraddizioni del sistema capitalista, l’umanità “è minacciata di completo annientamento” e vi è “una sola forza che può salvarla, ed è il proletariato”. La “conquista del potere politico da parte del proletariato significa la liquidazione del potere politico della borghesia”, con “il suo esercito, la sua polizia, i suoi giudici e direttori di carcere, i suoi preti, funzionari”. E ciò “non significa soltanto un cambiamento della compagine ministeriale, ma l’annientamento dell’apparato statale del nemico, il disarmo della borghesia, degli ufficiali controrivoluzionari, delle guardie bianche e l’armamento del proletariato, dei soldati rivoluzionari, della guardia rossa operaia; la destituzione di tutti i giudici borghesi e l’insediamento di tribunali proletari; l’abolizione del dominio dei funzionari statali reazionari e la creazione di nuovi organi d’amministrazione proletari. La vittoria del proletariato sta nel distruggere l’organizzazione del potere avversario e nell’organizzazione del potere proletario”.

Si afferma quindi che, “come ogni Stato, lo Stato proletario è un apparato coercitivo … diretto contro i nemici della classe operaia … per spezzare e rendere impossibile la resistenza degli sfruttatori”. Di contro, “la democrazia borghese, non è niente altro che la dittatura mascherata della borghesia. La tanto esaltata “volontà collettiva del popolo” non esiste più di quanto esista il popolo come un tutto unico. Di fatto le masse e le loro organizzazioni sono totalmente estromesse dall’effettiva amministrazione statale. Nel sistema sovietico l’amministrazione passa per le organizzazioni di massa, e tramite loro per le masse stesse, poiché i soviet accostano un numero sempre crescente di lavoratori all’amministrazione statale”.

Il nuovo Stato proletario, si afferma nella Piattaforma, espropria la borghesia e socializza la produzione; condizione della vittoria, è però la “rottura non solo coi diretti lacchè del capitale e i boia della rivoluzione comunista, ruolo ricoperto dalla destra socialdemocratica, ma anche la separazione dal “centro” (kautskyani) che nel momento decisivo abbandona il proletariato e flirta coi suoi nemici dichiarati”. E’ maturo il tempo, si afferma, per la lotta del proletariato internazionale per il potere, per la dittatura del proletariato, che deve spezzare la resistenza della borghesia e assicurare il passaggio al socialismo. “La dittatura del proletariato è la lotta di classe del proletariato che ha vinto e ha preso nelle proprie mani il potere politico contro la borghesia vinta, ma non ancora liquidata”.

Il Congresso approva poi le 22 Tesi di Lenin su “Democrazia borghese e dittatura del proletariato”, in cui vengono sviluppati i concetti già esposti in Stato e rivoluzione e La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky. Vi si illustra il carattere limitato, di classe, della democrazia borghese e la necessità storica della sua sostituzione con la dittatura del proletariato: In nessun paese capitalistico esiste la “democrazia in generale”, ma esiste soltanto la democrazia borghese”. Si denuncia il ruolo della socialdemocrazia, che usa ipocritamente le formule di “democrazia pura”, “democrazia in generale” e “dittatura in generale”, senza specificare di quale classe e contro quale classe, per calunniare lo Stato sovietico, lottare in generale contro la rivoluzione proletaria e difendere, di fatto, la borghesia.

Il potere sovietico, dice Lenin, è la forma statale concreta, scoperta dalle masse stesse, della dittatura del proletariato. La storia insegna che nessuna classe oppressa è mai giunta al dominio, senza attraversare un periodo di dittatura, cioè di conquista del potere politico e di repressione violenta della più disperata e più rabbiosa resistenza degli sfruttatori, che non arretrano dinanzi a nessun delitto. La borghesia, continua Lenin, il cui dominio è difeso oggi dai socialisti che parlano contro la “dittatura in generale” e si spolmonano per la “democrazia in generale”, ha conquistato il potere nei paesi progrediti a prezzo di “una serie di insurrezioni, guerre civili, repressione violenta di re, feudatari, proprietari di schiavi e dei loro tentativi di restaurazione. I socialisti di tutti i paesi … hanno illustrato al popolo migliaia e milioni di volte il carattere di classe di queste rivoluzioni borghesi, di questa dittatura borghese. Perciò, l’odierna difesa della democrazia borghese sotto forma di “democrazia in generale” e le odierne urla e grida contro la dittatura del proletariato sotto forma di urla contro la “dittatura in generale”, rappresentano un aperto tradimento del socialismo, il passaggio di fatto dalla parte della borghesia… Tutti i socialisti, illustrando il carattere di classe della civiltà borghese, della democrazia borghese, del parlamentarismo borghese, hanno interpretato l’idea che già Marx e Engels, con maggior precisione scientifica, avevano espresso con le parole secondo cui la repubblica borghese più democratica non è altro che una macchina per la repressione della classe operaia da parte della borghesia, della massa dei lavoratori da parte di un pugno di capitalisti”.

Parlando dello Stato proletario, Lenin afferma che l’essenza del potere sovietico consiste nel fatto che “la costante e unico fondamento di tutto il potere statale, di tutto l’apparato statale è l’organizzazione di massa proprio di quelle classi che erano oppresse dal capitalismo, cioè operai e semi-proletari… Proprio quelle masse che, anche nelle repubbliche borghesi più democratiche, pur avendo per legge uguali diritti, di fatto, con mille mezzi e trucchi, erano escluse dalla partecipazione alla vita politica e dal godimento dei diritti e libertà democratiche, partecipano ora in permanenza e immancabilmente, e in modo decisivo, alla gestione democratica dello stato”.

Del resto, in Stato e rivoluzione, aveva già scritto che “la rivoluzione deve consistere non nel fatto che una nuova classe comandi, diriga per mezzo della vecchia macchina statale, ma nel fatto che essa spezzi quella macchina e comandi, diriga con una nuova macchina”. E nel dicembre del 1919, a proposito di Assemblea costituente e Dittatura del proletariato, scriverà: “Pieni di pregiudizi piccolo-borghesi, avendo dimenticato la cosa più importante dell’insegnamento di Marx sullo Stato, i signori “socialisti” della II Internazionale guardano al potere statale come a qualcosa di sacro, un idolo oppure la risultante di elezioni formali, l’assoluto della “democrazia conseguente”.

Nel “Manifesto dell’IC al proletariato di tutto il mondo” si afferma infine che “Settantadue anni fa, il Partito Comunista annunciò al mondo il proprio programma sotto forma di “Manifesto”. Già allora il comunismo, appena apparso sull’arena della lotta, fu circondato dalle vessazioni, menzogne, odio e persecuzioni delle classi possidenti. L’epoca dell’ultima decisiva lotta è giunta più tardi di quanto si attendessero e sperassero gli apostoli della rivoluzione sociale. Ma essa è giunta. Noi comunisti, rappresentanti del proletariato rivoluzionario di diversi paesi d’Europa, America e Asia, riuniti nella Mosca sovietica, ci sentiamo e ci riconosciamo quali successori e dirigenti di quella causa, il cui programma era stato proclamato 72 anni fa. Il nostro compito consiste nel generalizzare l’esperienza rivoluzionaria della classe operaia, epurare il movimento dall’opportunismo e dal social-patriottismo, unire gli sforzi di tutti i partiti veramente rivoluzionari del proletariato mondiale e con ciò facilitare e accelerare la vittoria della rivoluzione comunista in tutto il mondo”.

Oltre a Piattaforma, Tesi e Manifesto, tra i principali documenti del Congresso ci furono le Risoluzioni su: Atteggiamento verso le correnti “socialiste” e la conferenza di Berna, Terrore bianco, Coinvolgimento delle operaie alla lotta per il socialismo; le Tesi sulla situazione internazionale e la politica dell’Intesa; l’Appello agli operai di tutti i paesi.
Nel luglio 1919, in risposta a un intervento del leader del Partito operaio indipendente britannico, Ramsay MacDonald, a proposito della fondazione dell’IC e della rottura con l’Internazionale gialla di Berna, Lenin scrive che con persone quali MacDonald, “tipico rappresentante della II Internazionale, degno compagno d’armi di Scheidemann e Kautsky, di Vandervelde e Branting e compagnia bella”… la scissione è necessaria e inevitabile, perché non si può compiere la rivoluzione socialista a fianco di coloro che difendono la causa della borghesia. … Noi consideriamo l’Internazionale di Berna, nel suo complesso, un’Internazionale gialla, di traditori e di rinnegati, perché tutta la sua politica è una “concessione” alla borghesia. Ramsay MacDonald sa bene che abbiamo costituito la III Internazionale e abbiamo rotto incondizionatamente con la Il, poiché ci siamo convinti della sua irrimediabilità, della sua incorreggibilità, del suo ruolo di serva dell’imperialismo, di conduttrice dell’influenza borghese… nel movimento operaio. … L’Internazionale “di Berna” è … un’organizzazione di agenti dell’imperialismo internazionale, che agiscono all’interno del movimento operaio. Per vincere effettivamente l’opportunismo, che ha condotto alla fine ignominiosa della II Internazionale, per aiutare di fatto la rivoluzione … bisogna: fare tutta l’agitazione e la propaganda dal punto di vista della rivoluzione, in opposizione al riformismo… Nessuno dei partiti dell’Internazionale “di Berna” soddisfa questa esigenza. Nessuno dimostra anche solo d’aver capito che in tutta l’agitazione e propaganda bisogna spiegare la differenza tra riforme e rivoluzione, bisogna educare incessantemente alla rivoluzione (…)”.

…esiste una sola Internazionale di fatto ed esistono due uffici, due burocrazie dell’Internazionale operaia: uno a Mosca, un altro a Berna”, scriveva Gramsci nel giugno 1919; “uno, vicino, che non riscuote nessun prestigio, che non gode nessuna autorità, larva evanescente che passeggia l’Europa occidentale col passaporto vidimato e timbrato dai governi capitalistici. L’altro, lontano, comunicante coi suoi aderenti, saltuariamente, con senzafilo lacunosi e mal tradotti; ma vivo nelle coscienze, attivo ed operante come tutte le energie storiche che scaturiscono dalla necessità sociale. L’internazionale operaia è una sola, l’Internazionale comunista rivoluzionaria”.

A cento anni di distanza, oggi che il posto dei social-sciovinisti a difesa degli interessi della “propria” borghesia e del “proprio” Stato è occupato dai liberal-reazionari del PD e il ruolo di centro-conciliatore è rivestito dalle loro appendici della “sinistra” sakharoviana, è compito dei comunisti dar vita a una organizzazione strutturata su base marxista-leninista, radicata tra i reparti d’avanguardia della classe operaia, che smascheri i reggicoda “democratici” di capitalisti e banchieri, per giungere a spezzare, frantumare il loro apparato statale, sulla strada della dittatura del proletariato e del socialismo.

  * pubblicato anche  sul n.1/2019 di nuova unità

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