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La politica e lo Statuto

E’ nato qualcosa… La votazione sullo Statuto di Potere al Popolo ha sciolto alcuni dei lacci che ancora inchiodavano questo movimento in una sorta di terra di nessuno, impedendo che le tante iniziative locali trovassero un momento di sintesi politica nazionale e internazionale all’altezza delle sfide poste oggi.

Stiamo parlando di numeri ancora piccoli rispetto ai compiti immensi che stanno davanti a tutti noi, ma comunque superiori a quelli auspicati in alcune riunioni del Coordinamento Provvisorio. 9.090 aderenti, poco più di 7.200 “abilitati” al voto che avevano completato la procedura di accesso alla piattaforma, 4.041 votanti sono una buona base per ragionare.

C’è dunque da essere soddisfatti per la partecipazione. Senza eccedere, va da sé, soprattutto tenendo d’occhio quello che ci aspetta “là fuori”.

Certamente ha avuto un influsso negativo la scelta del vertice di Rifondazione – a poche ore dall’inizio delle votazioni, nella serata di venerdì – di ritirare la seconda proposta di statuto invitando allo “sciopero” del voto. Una parte degli iscritti a quel partito non avranno votato, un’altra parte sicuramente sì, e l’hanno dichiarato apertamente in molti modi. Soprattutto è stato fatto volteggiare il solito fantasma della “scissione”, che getta nello sconforto molti militanti giustamente delusi da anni e anni di batoste e sforzi di ripartenza frustrati; una fantasma che incentiva il ritiro a vita privata, non certo un surplus di attivismo militante.

Ciò nonostante è andata meglio delle previsioni – le votazioni telematiche, ovunque in Europa, danno risultati peggiori – anche se meno bene di quanto sarebbe stato possibile se il confronto fosse stato chiaro, esplicito, anche polarizzato, ma argomentato sul terreno della proposta politica.

Per capire le ragioni di questa divaricazione, giunta al termine di quattro mesi di confronto sullo Statuto, bisogna perciò guardare a quanto sta accadendo nello scenario europeo, oltre che italiano.

I due elementi politici centrali sono l’avanzata delle destre in molti paesi e l’avvicinarsi delle elezioni europee. L’incrocio di questi due elementi sta terremotando già ora gli schieramenti politici in vista di quell’appuntamento. Abbiamo più volte provato a riassumerli, ma sembra proprio necessario insistere.

Alla base c’è la dissoluzione dei “partiti di massa”, dotati di una visione del mondo, collegamenti stabili con figure sociali organizzate nelle tutela dei propri interessi (sindacati, associazioni, organizzazioni di categoria, ecc), con un conseguente programma politico di gestione della macchina statale. Le “cessioni di sovranità” operate nei confronti di istituzioni sovranazionali (l’Unione Europea, per quanto ci riguarda), o più decisamente dei “mercati finanziari”, hanno eliminato gran parte delle leve di comando che è possibile afferrare entrando nelle mitiche “stanze dei bottoni”. Quelle stanze ora sono praticamente vuote e inutilizzabili, in particolare per quanto riguarda le materie economiche e finanziarie.

Senza poter tradurre in fatti (leggi, riforme, prebende, ecc) il programma politico di partito, alla lunga, la credibilità di queste strutture è venuta via via meno. La crisi dei partiti di massa non è più, insomma, una prerogativa dei soli partiti comunisti del ‘900, tramortiti dal crollo del “socialismo reale”, ma un fenomeno generalizzato che ha travolto o sta travolgendo – per esempio – i socialisti così come i gaullisti francesi, la Democrazia Cristiana di Angela Merkel come i socialdemocratici tedeschi, i “popolari” spagnoli come i laburisti inglesi (“scalati” dal movimento Momentum dell’assoluto outsider Jeremy Corbyn). Eccetera.

Al loro posto sono sorti e cresciuti movimenti molto meno strutturati, dai confini mutevoli e spesso “leaderistici”, ossia tendenti a mettere in primo piano una faccia e un nome, prima ancora che un programma politico preciso. E questi movimenti possono essere sia di destra (Lega, Ciudadanos, Afd tedesca, Ovp austriaco, il partito “popolare” di Orbàn in Ungheria, ecc), sia di centro (En Marche! di Macron, il Pd di Renzi, Forza Italia, ecc), sia di sinistra (France Insoumise, Podemos, Aufstehen, Bloco de Esquerra, Potere al Popolo, Levica slovena, ecc). I Cinque Stelle sono il solo elemento “strano” in questo contesto, che si sono però praticamente autocondannati al logoramento a causa dell’alleanza con la Lega e delle continue giravolte nei confronti di Bruxelles.

La crisi di egemonia dell’ideologia “europeista”, sotto i colpi dell’austerità, sta polarizzando dunque tre schieramenti in qualche modo classici, ma costretti a mettere in relazione il malessere sociale crescente con la “stabilità” o meno della costruzione europea. Vediamo formarsi dunque una destra simil-fascista, un “grande centro europeista” che va “da Macron a Tsipras” e una sinistra questa volta chiaramente orientata a modificare drasticamente i trattati Ue, oppure a mettere in atto un “piano B” di fuoriuscita dalla gabbia europea.

Il vecchio “blocchetto” della sinistra radicale riunito nel Gue (il gruppo parlamentare a Strasburgo) è da mesi sottoposto a una tensione che corrisponde ai movimenti tettonici che scuotono tutta rappresentanza elettorale europea.

La richiesta di Mélénchon di espellere Syriza dal gruppo, per aver applicato integralmente il Memorandum della Troika, disattendendo l’Oxi popolare del luglio 2015 e che ha finito di distruggere le condizioni di vita del popolo greco, è stata respinta. Ma è chiaro che alle elezioni europee Tsipras sarà di fatto obbligato a far parte del blocco “centrista”, cercando di recuperare – come sta già facendo – buona parte del vecchio establishment del Pasok.

Per le europee, insomma, ci sarà la limpida divisione tra una “sinistra finta” (in Italia Pd, Leu, ecc) e una autentica, per quanto dai tratti estremamente variegati. Il bivio, ripetiamo, è costituito dal rapporto con l’Unione Europea: la si combatte o la si difende?

Se questa – in tutta evidenza – è la situazione generale, le scelte da fare sono tutte obbligate, ineludibili e in qualche modo traumatiche. Su questo e di questo occorre convincersi. E’ cambiato il terreno, lo scenario e le prospettive. Sarebbe curioso che la soggettività alternativa restasse sempre uguale…

All’interno di Rifondazione, non è un segreto, ci sono diverse componenti che spingono per andare a costruire “un ‘quarto polo’ unitario e plurale, politico ed elettorale, capace di unire tutte le forze politiche e sociali alternative al Pd e alla socialdemocrazia europea”. Se la geografia politica non è un’opinione, dunque, fuori dal Pd ci sono Leu, Possibile, qualche lista civica comunale (molto composite all’interno) e il sempre esitante De Magistris. Ma fare l’”alternativa” al neoliberismo con un personale politico che ha pesanti responsabilità nazionali e locali nelle privatizzazioni del patrimonio pubblico (Bersani e D’Alema, oltre la schiera dei minori) non sembra poi una cosa credibile, specie alla viglia della manifestazione del 20 ottobre (Nazionalizzazioni qui e ora!).

Insistere sull’antica abitudine a tentare di costruire “l’unità della sinistra plurale” è questa volta definitivamente fuori dal tempo storico. Una “unità tra diversi”, giustapposti come pietre a formare un piccolo cumulo, ognuno con i propri “generali” e i propri attendenti, non ha mai retto la prova di una qualsiasi decisione rilevante. Ogni alleanza di questo genere, non per caso, è morta il giorno dopo le elezioni di turno (cosa invece non accaduta per Potere al Popolo).

Figuriamoci come potrebbe reggere in tempi di terremoto politico…

Potere al Popolo è nata per superare definitivamente queste logiche e le conseguenti pratiche, per dare nuovamente una rappresentanza al blocco sociale degli sfruttati, prima ancora che “per eleggere qualcuno”. Ha allargato lo sguardo firmando la Dichiarazione di Lisbona, frutto del confronto tra France Insoumise, Podemos e Bloco de Esquerra.

Per questo diciamo che la votazione sullo statuto è stata – sì – una scelta sulle modalità di costruire il movimento, ma è stata anche una votazione politica sulle ricostruzione di un soggetto politico e di massa antagonista e sulle prospettive del conflitto sociale nel nostro paese e in Europa. Se si comincia a discutere su questo piano, insomma, questa realtà mostruosa che vogliamo cambiare ci apparirà un po’ meno immodificabile…

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