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Craxi, il capitalismo italiano e l’elitarismo laico

Bettino Craxi era figlio di un antifascista militante, ma, per i pericoli che avrebbe potuto correre proprio per questo, da piccolo fu affidato ad un collegio cattolico ed anche successivamente, per altre ragioni, entrò in un collegio privato e fu ad un passo dall’intraprendere il percorso sacerdotale[1]. Questa dimensione claustrale e religiosa, motivata però dagli ideali della lotta antifascista, segnano già l’ambiguità di una storia politica che parlava di grandi ideali liberal-socialisti ma si consumava nel chiuso dei meccanismi delle vicende partitiche che alla fine avrebbero contribuito a stritolarlo.

Craxi fu infatti uomo di partito, sia pur capace di slanci garibaldini (Garibaldi fu almeno a parole il suo eroe[2]) soprattutto in politica estera (in Cile e a Sigonella), e crebbe come giovane uomo di partito allo stesso modo di suoi autorevoli colleghi (Enrico Berlinguer ed Aldo Moro in primis): vicepresidente nazionale dell’Unuri (Unione Nazionale Universitaria Rappresentativa Italiana), membro del Comitato Provinciale del Psi, dirigente della federazione giovanile socialista, consigliere comunale a Sant’Angelo Lodigiano, membro del Comitato Centrale del Psi, membro del Consiglio nazionale dell’Unione Goliardica Italiana, responsabile di organizzazione del Psi a Sesto San Giovanni, Consigliere comunale a Milano, Assessore all’Economato, Segretario provinciale milanese del Psi, assessore alla Beneficenza e Assistenza, Segretario Provinciale del Psu milanese, Deputato, Vicesegretario nazionale del Psi, rappresentante del Psi presso l’Internazionale socialista, Segretario del Psi, Europarlamentare, Presidente del Consiglio, Vicepresidente dell’Internazionale socialista. Insomma non fu sacerdote, ma divenne una sorta di cardinale laico purnon riuscendo a diventare Papa, anche se fu quasi schiaffeggiato come Bonifacio VIII da una sorta di tumulto popolare all’uscita dell’Hotel Raphael il 30 Aprile 1993[3], in piena Tangentopoli.

L’intento politico iniziale

Questa sorta di ascesi incompiuta all’interno di un contesto che si vedeva come unicamente politico è in un certo senso simbolica. Essa riassume la progressiva perdita del potere politico dei partiti a livello nazionale in una fase storica in cui la circolazione dei capitali a livello internazionale tendeva a svuotare di senso la politica economica dello Stato. Craxi è il protagonista di una negoziazione ed al tempo stesso il profeta e la vittima di questo processo in cui si direbbe la politica cede il passo all’economia e dove le democrazie rappresentative perdono il vincolo con i rappresentati e si entra nuovamente nell’epoca di quello che oggi viene chiamato ordoliberismo[4], inteso come teoria dello Stato al servizio del mercato[5].

Per essere profeta di questo processo Craxi (forse incoraggiato dai grandi leader socialdemocratici mondiali, come Brandt, Mitterrand, Allende, Papandreu che lo avevano incontrato quando aveva rappresentato il Psi all’estero) doveva per quanto riguarda il terreno su cui si muoveva tentare di porre fine all’anomalia che il Pci rappresentava in Europa ovvero un partito comunista con un consenso maggiore a quello di un partito socialdemocratico. Questa anomalia rappresentava un punto di debolezza dell’Italia all’interno dello schieramento occidentale ed anche un freno all’alternanza politica nel nostro paese (il famigerato fattore K).

Craxi diventa segretario del Partito socialista in un momento di grande debolezza di questo partito. La formula del centrosinistra è logora e il Pci si appresta a governare con la DC senza alcuna attenzione ad una più naturale alleanza con il Psi. Craxi, che si contrapponeva al segretario uscente De Martino (che aveva perso da poco la possibilità di diventare Presidente della Repubblica) perché facente parte inizialmente della corrente di Nenni, pensa di riformare radicalmente il Partito Socialista, in primo luogo dal punto di vista ideologico. Successivamente un documento del partito dirà “Nel 1976, nella sua prima intervista da segretario del partito, ad un Giampaolo Pansa che gli chiedeva intenti, spiegazioni e dettagli della traiettoria possibile di un partito appena sconfitto nelle elezioni politiche e marginale nel determinare in quel momento gli equilibri politici, Craxi rispose: “Primum vivere[6]. Per sopravvivere era necessario avere una posizione meno schiacciata sul mercato politico.

 

Craxi durante il sequestro Moro

Infatti sin dall’inizio Craxi fu uno dei capi del fronte politico per la trattativa con le BR durante il sequestro Moro. La sua manovra è quasi geniale perché cerca di investire non tanto il governo (un governo fatto di soli democristiani ma che gode del sostegno parlamentare sia del Psi che del Pci) ma la Democrazia cristiana stessa che dovrebbe prendersi la responsabilità di fare un atto di clemenza che però non costituisse un momento di una trattativa di governo[7].  Una proposta piuttosto strana dal punto di vista giuridico-politico con cui Craxi fa la sua prima sortita per fare uscire indenne il Psi dall’abbraccio che si profilava come mortale tra il Pci e la Dc. Inoltre con essa Craxi ammicca alle formazioni politiche alla sinistra del Pci (cosa che ha provocato[8] e  provoca verso di lui ancora oggi una specie di simpatia che in realtà non ha alcuna giustificazione dal punto di vista politico) ed isola quest’ultimo, arroccato nel fronte della fermezza (anche perché si dice in ambito democristiano e di destra che il rapimento Moro sia funzionale al compromesso storico[9]) e costretto a seguire per intero tutto il piano inclinato che lo ha portato ottusamente all’inevitabile sconfitta.

 

Il Vangelo socialista

Infine Craxi con questa sortita prepara la sua svolta ideologica e strategica, fatta nel nome in pratica del liberalsocialismo contro quello che viene considerato il vetero-marxismo del Pci (categoria usata anche da Rossana Rossanda per criticare stavolta però le BR[10]). Infatti nell’Agosto del 1978 esce un suo articolo dal titolo “Il Vangelo Socialista[11] in cui si contrappongono una tradizione centralistica e autoritaria, di ispirazione giacobina e culminante nel leninismo, e una tradizione pluralista e libertaria che vorrebbe rimanere addirittura nell’alveo della civiltà occidentale. Si cita anche Proudhon quando dice che il comunismo avrebbe “asiatizzato” la civiltà europea e si esorta a non confondere socialismo e comunismo. Ritroviamo qui le categorie dell’imperialismo già usate dai primi ideologi dell’europeismo[12].  Alla fine Craxi cita Norberto Bobbio con cui non a caso polemizzerà qualche anno più tardi[13].

L’operazione, tutta ideologica (data la superficialità delle tesi così esposte), avrà però un ritorno politico perché consentirà ai socialisti di svincolarsi dall’abbraccio del Pci e darà loro l’illusione di poter elaborare una alternativa al marxismo. La rivista “Mondoperaio” sarà il corifeo culturale di questa smobilitazione. Nel frattempo la Falce e Martello verrà relegata nello sfondo mentre in primo piano risalirà il simbolo del Garofano (già esistente e ridiventato attuale grazie alla rivoluzione portoghese[14]).

Il decisionismo

A questa svolta anti-marxista si associa una svolta anti-parlamentare (apparentemente contraddittoria con le lusinghe al socialismo lillipuziano e un po’ anarchico del secolo precedente, ma invece coerente con l’attacco ai comunisti). Si parla del decisionismo craxiano[15], cercando soprattutto di valorizzarlo e di sterilizzarne le componenti antidemocratiche. Lo si fa diventare processo psicologico o lo si contrappone al blocco della diarchia Dc-Pci quasi fosse una manovra strategica e antiburocratica. Lo si associa a Carl Schmitt cercando acrobaticamente di evitare l’irrazionalismo che ne consegue[16]. Per nobilitarlo ancora di più lo si fa diventare filopalestinese come a Sigonella[17]. In realtà questa è la retorica alla fine cortigiana di chi intende rimuovere il fatto che il decisionismo craxiano era la forma latina (e dunque più melliflua) di quel processo che anche in altre nazioni (si pensi a Reagan e alla Thatcher) stava fingendo di parlare al Popolo mentre invece si subordinava al Capitale.

Il fatto che il decisionismo portasse demagogicamente a scelte approvate un po’ dagli uni e un po’ dagli altri era l’esca che serviva a costruire il consenso attorno ad una nuova repubblica con minore partecipazione, minore rappresentanza, minori contrappesi.

Le Ragioni della Grande Riforma

Craxi parla a tal proposito di Grande Riforma (1980): il suo scritto è volutamente vago, mentre per saperne di più bisogna leggere quelli di Giuliano Amato, il suo Dottor Sottile[18]. Amato denuncia che, con la conventio ad escludendum nei confronti del Pci, la Dc ha provocato la proliferazione di enti pubblici su cui esercitava un controllo quasi unico e si è conquistata la burocrazia ministeriale. Poi attraverso questi enti ha aumentato la discrezionalità con cui ripartiva i fondi per l’intervento dello Stato in campo sociale subordinando gli obiettivi politici che andavano esplicitati alla creazione del consenso elettorale intorno al partito. Amato commenta “Ciò che rimaneva «anormale» era soprattutto il fatto che fosse la sola Dc a controllare e a gestire la macchina così congegnata” Questo passo è rivelativo perché fa emergere dietro il disegno riformista, la volontà più spicciola di cogestire la macchina senza cambiarla sostanzialmente. A proposito del vecchio centrosinistra Amato dice “Non si trattò soltanto della debolezza della carne socialista, coinvolta da una Dc tentatrice nel tradimento del virtuoso programma di partenza”.E aggiunge: “Gli apparati amministrativi, gli enti pubblici, gli istituti di credito, ai quali il centrosinistra promise il primato di una politica più nobile, ma al pari di quella precedente senza confini, ebbero solo la lottizzazione

E’ certo un’ironia della storia che, al suo secondo tentativo, la debolezza della carne socialista si rivelasse molto più drammaticamente che al primo tentativo. E la lottizzazione fosse ancora più intollerabile. Il nuovo Psi che voleva superare in efficienza il vecchio Psi alla fine ricadde su se stesso in modo ancora più pesante. Amato nota: “Gli anni recenti hanno portato due rilevanti novità: il grande rafforzamento del Partito comunista e il maggior ruolo giocato dal Parlamento. Le due novità si connettono sicuramente alle tendenze che sono maturate nel paese e alla accentuata difficoltà del sistema di rispondere in modo soddisfacente alle domande politiche insite in esse”. Questa frase si connette a sua volta con la convergenza craxiana tra antiparlamentarismo e anticomunismo.

Amato aggiunge: “Da una parte si sono sviluppate forme di scrutinio parlamentare sull’Esecutivo, costretto a dar conto delle nomine che fa e chiamato a riferire, non solo con i suoi ministri, ma anche con i suoi dirigenti, sul funzionamento di determinati settori o sull’applicazione data a singole leggi. Dall’altra parte si sono moltiplicate le questioni che vengono decise in Parlamento (o in organi di derivazione parlamentare), ovvero dando peso a orientamenti che ivi si sono manifestati. Entrambi i fenomeni hanno una comune matrice, il maggior peso del Partito comunista, che non consente più alla dc e ai suoi eventuali alleati di gestire gli apparati al riparo da occhi estranei e di regolarne gli interventi con discipline a cui il Parlamento è chiamato soltanto a dire di sì.

Si comincia a delineare la via d’uscita del nuovo Partito socialista: un elitarismo laico che, schiacciato tra due grandi partiti con grande base popolare, deve ridimensionarli per non esserne schiacciato e per ridimensionarli deve delegittimare la rappresentanza democratica che li tiene in piedi. Liberare l’esecutivo dall’eccessivo controllo parlamentare diventa la strategia giacobina (altra contraddizione per un forte critico del giacobinismo) per circoscrivere il potere e più facilmente afferrarlo. Amato parla di paralisi, di sclerosi operativa e, per contrasto, la mente di chi legge si sente soffocare e anela ad una semplificazione. Nella analisi che fa del progetto ingraiano di riforma istituzionale Amato fa subito intendere quale sia l’idea di società che il craxismo nutre. Egli dice “Ciò che pertanto va messo in discussione è se realmente una tale articolazione frantumante possa essere vista come la patologia rispetto a una fisiologia costituita dalla compattezza del blocco storico: un blocco che la borghesia non è più in grado di ricomporre e che, essenziale oggi non meno di ieri, deve essere ricostituito dalla classe operaia. La proposta delle assemblee elettive parte proprio da quest’ultima premessa. E ciò finisce per farne soltanto una variante aggiornata di una vecchia idea della sinistra, quella del monismo assembleare, secondo cui l’assemblea esprime la volontà del popolo e rispetto ad essa altre istituzioni non meramente strumentali possono essere null’altro che ostacoli. Alla Costituente sia Togliatti sia Nenni si fecero portatori di quest’idea; al fondo della quale c’è appunto l’ipotesi che gli interessi che contano sono tutti aggregabili in modo soddisfacente ed esaustivo nella volontà che si forma in assemblea. Ma la società di oggi non si presta a un tale trattamento. Ci sono in essa voci professionali e tecniche e vocazioni dirigenziali di varia natura che esigono spazi propri, istituzioni che ne riconoscano l’autonomia, la responsabilità, la capacità di mediazione e di sintesi che non hanno tutte bisogno di essere rimesse agli organi politico-partitici”.

No dunque alle assemblee elettive ingraiane (anche se decentrate) e ciò alla faccia del socialismo proudhoniano e no alla sintesi politica degli interessi sociali. Questo si ricollega alla figura di Craxi come negoziatore tra il livello partitico e politico della società e i centri di potere fuori della politica. La rappresentazione di Amato che vorrebbe essere sistemica e non monistica presenta in modo più sofisticato questa necessità che il craxismo ha avvertito e di cui voleva approfittare per compiere la sua lunga marcia politica, il passaggio di un astuto Ulisse tra la Scilla democristiana e la Cariddi comunista. La pars construens a questo punto è ovvia: “Bisogna avere il coraggio di abbandonare schemi interpretativi inadatti, accettando, senza equivoci e senza riserve mentali, che si tratta di aggregare non un blocco storico – come già ho detto – ma un insieme di gruppi sociali, di interessi, di istituzioni presenti nella stessa società, collegabili soltanto in un sistema a tenuta elastica”. E si aggiunge “L’idea che l’unico limite del potere socialista sia la sua strutturale derivazione dagli interessi proletari è del leninismo, non è del socialismo. Fanno invece parte della storia di questo (e non soltanto del pensiero democratico-liberale, come spesso si pensa) il modello del potere articolato e l’intuizione che un tale modello, garantendo una pluralizzazione del potere, assicura anche che questo sia internamente limitato e non si trasformi così in oppressione”. Questo pluralismo sociale è fittizio, è solo l’asta in cui gli interessi generali verranno subordinati agli attori più forti presenti nella società in vista delle sfide internazionali future.

L’ipotesi di circoscrizione del potere si concretizza quando Amato dice “Si può all’apposto pensare a varianti del nostro attuale modello: rafforzamento del Presidente del Consiglio rispetto ai ministri, con riferimento sia alla scelta di questi, sia alla direzione della loro attività; riduzione dei momenti di necessario intervento parlamentare per l’attuazione del programma del governo, che il Parlamento potrebbe affidare a quest’ultimo con autorizzazioni di spesa più larghe e polivalenti di quelle attuali”. Sembra poco rispetto alla situazione attuale, ma il punto importante è che si tratta dell’inizio della slavina istituzionale che abbiamo sopportato ed ha quindi una valenza strategica.

Amato anticipa anche i criteri che poi presiederanno alla riforma federalista dello Stato impulsata dalla Lega ed elaborata da una classe politica molto vicina al Psi. Si veda quando dice “La strada da battere è perciò quella di una rigorosa destinazione della finanza da trasferimenti (che pure dovrà essere consistente) alla realizzazione di standard minimi. Al di là di questi l’ente locale dovrà ricorrere (e dovrà essere facoltizzato a farlo) alla leva fiscale e a quella tariffaria, senza scappatoie ulteriori.”

Per quanto riguarda la democrazia industriale la mano tesa ai sindacati è evidente: “Per la democrazia industriale ciò che serve è rafforzare con legge le capacità delle rappresentanze sindacali e di fabbrica di gestire i rapporti già instauratisi da noi con la contrattazione collettiva. Ciò può senz’altro comportare la costituzione di nuovi organismi espressivi di tali rappresentanze, ma non il trasferimento della materia nell’ambito di competenza delle assemblee elettive (proposta questa emersa da parte comunista), perché ciò svilirebbe il ruolo di controparte sociale assolvibile dal sindacato nell’impresa”. Assieme al principio più generale dell’avversione allo Statalismo (espresso nel “Vangelo”) si tratta di un amo lanciato ai sindacati confederali laddove sono più gelosi delle loro prerogative e sono più uniti su posizioni moderate e di cogestione delle impreseal ribasso con i vertici aziendali. Questo amo, come vedremo, verrà afferrato.

Il culmine del ragionamento di Amato lo troviamo qua: “Un sistema in cui il potere sta tutto da una parte e nel quale si sviluppano forze politiche sempre più competitive, è costretto a procedere per aggregazioni successive e a fermarsi perciò alla democrazia consociativa. L’alternanza diviene tollerabile se si cambiano le regole di un tale sistema e se lo stare al governo non consente un monopolio di potere senza residui. Nell’attuale momento ciò, lungi dall’escludere la consociazione, dà un’indicazione precisa sul modo migliore per utilizzarla. Vale qui quanto ha scritto giustamente Gianfranco Pasquino, secondo il quale la consociazione deve servire per elaborare e concordare le regole che consentiranno in un secondo momento una sua rottura non traumatica. È questo il compito a cui i partiti dovrebbero accingersi oggi. È una pericolosa illusione quella di poter perseguire, grazie al rinnovato «stare insieme», importanti obiettivi di trasformazione sociale”.

Da un lato non possiamo che considerare quanto sia stato foriero di mali il progetto politico del compromesso storico, inteso come interclassismo statico, sia valutato in sé (e Amato ha buon gioco a stigmatizzarlo) sia vedendo retrospettivamente cosa abbia scatenato in termini di pericolo, disperazione e strategia di fuga spregiudicata. Il torto di Ingrao a tal proposito è stato quello di rendere la sua proposta delle assemblee elettive una mera coniugazione (sia pur radicalmente democratica) del compromesso storico stesso. E tuttavia quando Amato parla di un sistema in cui il potere sta tutto da una parte confonde artificialmente il ruolo storico che la Dc sia era costruito e la funzione di governo stessa in modo da confondere potere e contropotere e da iniziare un decadimento dell’istanza rappresentativa mascherandolo come presupposto dell’alternanza. Questa apparentemente (con il rafforzamento dell’esecutivo) sarebbe potuta diventare una tela di Penelope dove chi viene dopo avrebbe dovuto scucire tutto quello che era stato ordito da chi viene prima. Tuttavia il giogo imperialistico europeo, con il disciplinamento austeritario, ha tolto le gambe a questo movimento trasformandolo nel mero sventolio di una bandiera  bianca (quella della politica rispetto all’economia) che ruota attorno ad un centro politico assolutamente svuotato di contenuto.

Il Dottor Sottile pensa con Pasquino che la riforma costituzionale sia necessaria e la rappresenta come un momento in cui tutte le forze politiche possano insieme cambiare le regole. Egli dice: “Da qualunque parte la si guardi, la riforma istituzionale è comunque un prius e non c’è volontarismo politico che possa ormai rimuovere questo imprescindibile dato di fatto. L’occasione dello «stare insieme», utilizzata per affrontare di petto la riforma istituzionale, sarebbe davvero un ritorno allo spirito della Costituente. Si tratta infatti di dar vita a un sistema che, in forme sia pure aggiornate, recuperi l’articolata diversificazione dei ruoli, delle autonomie, delle responsabilità, presente nel disegno costituzionale. E, come allora, si tratta di darsi le regole del gioco in base a cui, domani, ciascuno potrà fare la sua parte”. La conclusione è illuminante: “Non pensino i comunisti che la loro legittimazione a governare debba ancora a lungo dipendere dal loro stare insieme alla Democrazia cristiana, secondo quanto accadde all’inizio di questa lunga storia. Nella misura in cui sono oggi legittimati a governare, lo sono per l’aspettativa che hanno suscitato di essere alternativi rispetto alla dc. Se ad essi manca ancora qualcosa sul terreno della legittimazione a governare, non è per una scarsa vicinanza alla dc, ma per la scarsa vicinanza alla realtà del nostro tempo di alcuni loro filtri ideologici e, non casualmente, per una perdurante incertezza nella loro collocazione europea. Pensino perciò ad abbandonare quei filtri che ancora li portano a pensare in termini di «blocco storico» e pensino a scegliere in via definitiva fra l’Europa e l’Unione Sovietica. Se lo faranno, non avranno più bisogno di appoggiarsi allo scudo crociato. Potranno uscire all’aperto e dare il loro essenziale contributo alla costruzione in Italia di una schietta alternativa socialista”.

La rete ordita dalla grande Riforma vorrebbe essere una trappola. La possibilità di riforme costituzionali a partire dal Parlamento è formalmente data dall’articolo 138 e dunque l’aspetto costituente viene mascherato e con esso l’irriducibilità del conflitto che lo fonda. Tale irriducibilità però rimane: lo stare assieme costituente è quello attorno al grande animale morto, ucciso da coloro che stanno assieme. Nella Costituente del 1946 l’animale morto sarebbe dovuto essere il fascismo (forse non tutte le Costituenti riescono col buco). Nella proposta del Psiil morto manca, ma solo in apparenza. Il morto sarebbe dovuto essere il Pci. Lo è stato, ma la storia ha reso la trappola così grande da farci entrare quasi tutti. E da farli sopravvivere, in forme nuove e spettrali, chi più e chi meno.

Alcuni, convertiti sulla via di Damasco, rimpiangono il fatto che Craxi non abbia portato a termine questa “grande riforma[19]. Si tratta della retorica di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Spesso però si dà ad un Dottor Sottile il compito di elaborare un complesso arabesco in cui ci si possa rappresentare. Poi si adotta una morale provvisoria da utilizzare nel frattempo. Questa morale provvisoria nella maggior parte dei casi è la storia vera[20] (e noi comunisti dobbiamo ragionare con minore rassegnazione su questo paradosso[21]). La successiva storia del craxismo è la storia di questa condotta costante ma sempre provvisoria

La Conferenza Programmatica di Rimini

Nel 1982 alla Conferenza Programmatica di Rimini viene licenziato il documento “Per un’alleanza riformista tra il merito e il bisogno[22] scritto da Claudio Martelli che si domanda (opportunamente) “Chi sono i possibili soggetti sociali del riformismo moderno?” e, analizzando la realtà sociale, si arrende ad essa e dice “La somma di esperienze maturate in una storia secolare hanno fatto evolvere il socialismo da dottrina di emancipazione di una classe a un insieme di tentativi graduali e graduati – non senza arretramenti, errori e contraddizioni – di dar corpo a un programma di governo e di emancipazione dell’intera società”. Dopo aggiunge “In democrazia se si vuole governare l’intera società occorre il consenso della maggioranza e dunque la maggioranza riformista va conquistata guardando al moderno mondo del lavoro ed anche a ciò che sta fuori di esso ma che non gli è ostile, non gli è antagonista. Oltretutto le nostre possibilità, le nostre chanches, non possono decollare a partire dalla rappresentanza della maggioranza della classe operaia, e anche se la maggioranza della classe operaia fosse socialista ciò non basterebbe a costituire una maggioranza nel paese, come del resto sanno benissimo i compagni comunisti”. E’ interessante vedere come l’apparente mutamento di prospettiva ratifichi una prospettiva già mutata da tempo. Da un lato Craxi criticava il leninismo perché voleva portare la coscienza di classe dall’esterno, dall’altro Martelli dice “Oltretutto le nostre possibilità, le nostre chanches, non possono decollare a partire dalla rappresentanza della maggioranza della classe operaia”. Le nostre possibilità? Nostre, ma di chi? Vuoi vedere che il Psi era rimasto leninista? Vuoi vedere che il rischio di risultare autoreferenziali non è una conseguenza del leninismo? Vedremo come questa contraddizione acquisterà sempre maggiore rilevanza nella storia del Psi.

Martelli continua “Noi non ci siamo posti il compito di produrre una rivoluzione che non c’è, ma quello di rappresentare politicamente e di governare con l’efficacia della politica democratica la rivoluzione che è in atto, il cambiamento che è in atto”. E’ in un certo senso il trasformismo insito nel professionismo politico (teso a riprodurre le classi dirigenti all’interno del mercato elettorale) a cavalcare l’onda che c’è e paradossalmente a contrabbandare per rivoluzione la controrivoluzione in atto.

La politica economica per la Grande Competizione

Nella stessa sede il problema economico fondamentale diventa per il Psi quello dell’inflazione, a confermare la deriva in materia di politica economica. Già però nel 1978 autorevoli economisti di area (tra cui Roncaglia, Pedone e Sylos Labini), mentre Berlinguer nella sua regressione politica parlava di austerità, denunciavano la crescita del debito pubblico e accusavano i governi democristiani di lassismo[23]. In realtà l’Italia si stava adeguando alla media degli altri paesi europei e la percentuale dei consumi collettivi sul Pil era aumentata solo dal 12,17% del 1960 al 14,37% del 1978. Se si pensa che il Bangladesh nel 2000 con indicatori sociali ed economici ben più poveri dell’Italia del 1978 aveva una percentuale dei consumi collettivi sul Pil del 14,4% possiamo intuire come fosse drammatica (sic!) in questo senso la situazione. Anche per quanto riguarda gli altri dati, ad es. le spese pubbliche dell’Italia relative al benessere rispetto al reddito nazionale lordo erano poco più della media dei paesi OCSE, ma tenendo conto che tale media era fortemente abbassata dai paesi extraeuropei (Usa, Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Canada). La preoccupazione degli economisti di area Psi perciò si rivelava tendente ad assecondare la strategia politica del segretario.

Giuseppe Turani plaude al programma socialista e vede in esso una strategia tesa a “consentire al sistema economico di correre più in fretta e meglio” verso “la Grande Competizione, nella quale entriamo con un carico di disoccupati e di problemi intollerabile”. La Grande Competizione, quello che i compagni chiameranno anni dopo (rielaborandone il concetto alla luce del magistero… di Lenin!) la competizione inter-imperialistica[24]. Nello snellirsi lo Stato si prepara a supportare il capitalismo italiano sulle scena internazionale, anche se è già chiaro che per la Grande Competizione è necessaria l’Unione Europea. Turani apprezza la “richiesta ai lavoratori di essere più ‘mobili’, più flessibili, proprio per non ostacolare gli aggiustamenti oggi indispensabili in tutto il complesso produttivo”. La Grande Competizione si affronta disciplinando militarmente gli operai a combattere in nome del sistema-paese. Presto ad essi verrà chiesto un primo sacrificio, un po’ di oro alla patria, proprio da Craxi.

 

Il Pentapartito

Nel 1983 alle elezioni politiche il Psi ottiene tra Camera e Senato un aumento in percentuale di voti dell’1,63% alla Camera e dell’1,01% al Senato. Il Pci è stato toccato poco (meno dello 0,5%) mentre c’è stato il crollo della Dc (complessivamente circa -5,5%) i cui voti sono andati a Pri, Psi e Msi[25]. La critica ai comunisti ha fruttato poco, mentre il discorso del rigore politico e soprattutto economico ha avuto più successo. Nel frattempo era nato il Pentapartito (1981) in cui la Dc, dopo aver liquidato il Pci, si appoggiava ai partiti laici. Tuttavia essa viene indebolita dallo scandalo legato alla Loggia P2 ed è costretta a cedere la Presidenza del Consiglio prima a Spadolini del Pri e poi a Craxi. Lo scandalo spiega il cedimento democristiano e la condivisione spiega l’ascesa dei partiti laici che godono del vantaggio di stare al governo con più spazi.

L’ideologia sull’inflazione

Il primo governo Craxi si trova a dover affrontare il problema dell’inflazione, ma l’approccio sarà fondamentalmente ideologico e perciò il Psi si troverà a condurre la lotta di classe del Capitale contro il Lavoro. Infatti l’inflazione degli anni Settanta in Italia era legata a due fattori. Il primo più importante era il prezzo del petrolio (e dunque si trattava di un fenomeno esterno alla dinamica economica italiana). Il prezzo del petrolio, grazie alla crisi dei primi anni Settanta, passò da poco più di 4 dollari al barile del 1974 a più di 11 dollari del 1976 e da qui ai quasi 40 dollari del 1980[26]. In questo periodo l’inflazione in Italia passòdsal 17,1% del 1975 al 21% del 1980[27]. Certo nei primi anni Settanta l’Italia ebbe un’inflazione galoppante che qualcuno avrebbe voluto attribuire al meccanismo della scala mobile[28] ma il fatto che nel solo 1974 l’inflazione annuale sia schizzata dal 13,17% di Gennaio al 24,5%[29] di Dicembre non si può attribuire a nessuna indicizzazione (istituita tra l’altro senza provocare catastrofidal 1945[30]), ma deve essere attribuita ad altri fattori quali il forte aumento del consumo di energia dal 1963 al 1973[31] e il forse conseguente aumento dei prezzi dell’elettricità e del combustibile nella misura consistente del 62,2%[32].  Del resto l’inflazione aumentò in quegli anni in tutti i paesi del mondo (nel 1974 era del 51,32% in Islanda, del 21,12 in Giappone, del 19,13 in GB, del 18,55% in Portogallo, del 18% in Spagna, del 17% in Finlandia e solo Austria, Germania e Svizzera avevano un inflazione inferiore al 10%)[33]

L’altro fattore che poteva determinare un aumento dell’inflazione era il fatto che con la riforma del mercato dei titoli di Stato nel 1975 la Banca d’Italia si impegnava ad acquistare alle aste tutti i titoli non collocati presso il pubblico, finanziando i disavanzi del Tesoro con emissione di base monetaria. Non a caso nel 1981 Andreatta promosse il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia con il quale la Banca d’Italia non avrebbe più finanziato i disavanzi del Tesoro[34]. Nel frattempo il prezzo del petrolio dai quasi 40 dollari del 1980 scese ai 26 dollari del 1986. E nel periodo da fine 1980 al 1986 l’inflazione italiana scese dal 19,11%al 4,15%[35]. L’apporto del governo Craxi alla riduzione dell’inflazione perciò a tal proposito va sminuito. Piuttosto l’azione del governo assolve principalmente un ruolo ideologico. Del resto l’idea di attaccare la scala mobile (o almeno ad es. gli automatismi pensionistici e quelli degli impiegati pubblici) era una vecchia idea degli economisti di area sin dal 1978 (come abbiamo già visto)[36].

L’attacco alla Scala Mobile

Il governo intavola una trattativa con le associazioni imprenditoriali e sindacali per ridurre il costo del lavoro. L’accordo prevede il “taglio” di tre punti della scala mobilee viene raggiunto con le organizzazioni sindacali CISL, UIL e con la componente socialista della CGIL. Vero è che l’accordo prevede anche il controllo delle tariffe pubbliche, l’indicizzazione degli assegni familiari e il blocco dell’equo canone sugli affitti, ma i lavoratori capiscono subito che questi sono provvedimenti volti ad attenuare il punto fondamentale che era il blocco della contingenza[37].  Viene varato il 14 Febbraio 1984 il cosiddetto “decreto di San Valentino” che trasforma in legge quanto concordato con le parti sociali. Gli innamorati a questa festa sono il governo e la magna pars delle confederazioni sindacali. Questa ultime, invece di utilizzare l’indicizzazione dei prezzi per rivolgere finalmente l’attenzione alla scatola nera dell’organizzazione del lavoro, hanno interesse a far ridiventare l’adeguamento dei prezzi all’inflazione un oggetto di trattativa, in modo da riguadagnare un ruolo che avrebbero perso (questa perdita di ruolo a causa della scala mobile veniva adombrata già sulle pagine di Mondoperaio alcuni anni prima)[38]. Craxi va incontro a queste loro esigenze neocorporative ed in questo modo se ne conquista il favore con conseguenze rilevanti.

Infatti in primo luogo i sindacati confederali si spaccarono con la Cgil che si opponeva mentre Cisl e Uil erano favorevoli[39], ma con conseguenze ancora più gravi ci fu una spaccatura nella stessa Cgil[40], spaccatura che sarà il sintomo di una mancanza di determinazione di tutta l’organizzazione (visto che fino all’ultimo tentò di evitare il referendum[41]), mancanza di determinazione che si trasferì anche al partito[42]. Alla fine il referendum abrogativo che Berlinguer prima di morire aveva promosso e che si tenne l’anno successivo, vide la vittoria di Craxi. A fronte dei tentativi di riportare quest’ultimo nell’alveo del sovranismo[43], fa bene chi dice[44] che Craxi è stato tra i primi a sinistra in Italia a cercare di assecondare l’incipiente globalizzazione ponendo le condizioni perché anche in Italia la quota salari sul Pil venisse progressivamente ridotta[45]. Non a caso negli anni Ottanta tale quota diminuì già dal 70% al 66%[46]. L’attacco alla scala mobile si concluse con la sua soppressione a seguito della firma del protocollo triangolare di intesa tra il Governo Amato Ie le parti sociali avvenuta il 31 luglio 1992.Augusto Graziani, che attribuiva l’inflazione alla svalutazione esterna della moneta[47], non mancò di criticare quest’ultimo provvedimento ma anche la logica che lo ispirava[48].

A Craxi hanno attribuito così i successi contro l’inflazione ma anche l’aumento vertiginoso del debito pubblico. Abbiamo visto come la discesa dell’inflazione si possa attribuire al governo italiano solo molto marginalmente. Ciò vale anche per il debito pubblico (naturalmente i socialisti evidenziano solo quest’ultima irrilevanza[49]). La congiunzione di inflazione in discesa e spesa per interessi del debito pubblico in aumento non era semplicemente una contingenza evitabile tramite scelte politiche. Nel momento in cui con il divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro la prima smetteva di finanziare il deficit del secondo, era necessario, per allocare tutti i titoli del debito emessi, aumentare i tassi di interesse[50]. Questo aumento[51] ha determinato negli anni Ottanta un aumento del debito pubblico nel suo insieme dal 60% del Pil al 120% del Pil[52]. La scelta politica fatta da Andreatta in nome e per conto del capitalismo italiano è stata quella di passare dall’inflazione al debito pubblico esplosivo in modo da far pagare (con l’attacco alla scala mobile) ai lavoratori sia la dipendenza energetica dell’industria italiana sia la progressiva esposizione finanziaria dello Stato al mercato dei capitali (anche internazionali). Craxi fu complice consapevole di tale manovra (attaccando la scala mobile) e la rese più stringente firmando l’Atto Unico Europeo[53] propedeutico agli accordi di Nyborg del Settembre 1987 con i quali la stabilità dei cambi tra monete, divenuta eccessiva,[54] fu preludio[55] per la crisi monetaria disciplinante del 1992. Quest’ultima, evidenziando come fosse difficile esercitare un’autonoma politica monetaria con le regole vigenti, espose la politica economica a vincoli tali da isolare del tutto i lavoratori nella loro lotta per aumentare (o quanto meno conservare) il salario nella sua triplice accezione (diretto, indiretto e differito).

La responsabilità storica di Craxi fu di aderire a questa dinamica, farsi attore di essa e utilizzarla per promuovere il Psi come partito della sinistra moderna contro il Pci che sarebbe stato il partito della sinistra retriva (mentre in realtà quest’ultimo in maniera più esitante aveva accettato anch’esso sia l’adesione dell’Italia allo Sme[56] sia la politica di moderazione salariale[57])

Da Silvio Berlusconi a Sigonella

Altro lato oscuro della ascesa di Bettino Craxi e delle fortune del Psi è il rapporto con Silvio Berlusconi cui Craxi dà una grande mano[58] con un omonimo decreto che crea una situazione di monopolio[59] (o meglio duopolio pubblico-privato) nel campo della comunicazione (anche in questa situazione il Pci non ne esce immacolato), monopolio che sarà rilevante per il successo politico di Berlusconi a partire dagli anni Novanta[60]. Non si tratta nemmeno di un’alleanza contingente, quanto piuttosto ideologica. Il Psi fu acuto nel vedere come si dovesse riaffrontare il problema della comunicazione politica ma la strada intrapresa fu culturalmente devastante dal momento che il mezzo diventa compiutamente il messaggio incoraggiando la perdita di spessore del linguaggio e l’accentramento del potere politico nella figura del leader[61].

Per quanto riguarda la politica estera, i governi Craxi, come abbiamo già visto, contrariamente alla vulgata odierna hanno promosso l’integrazione europea[62] e continuato la politica atlantista dei governi democristiani (si pensi all’installazione dei Pershing e Cruise a Comiso[63]). Alcuni, ricordando la vicenda di Abu Abbas[64], dicono che Craxi avesse osato sfidare gli USA nella crisi di Sigonella[65], portando avanti una politica estera più autonoma nell’ambito del Mar Mediterraneo e del Medio Oriente[66].Tuttavia si tratta in buona parte della continuazione della politica estera democristiana, sempre attenta alle vicende mediterranee e mediorientali (si pensi in particolare ad Andreotti[67]). La vicenda di Sigonella, sembrando in apparenza la manifestazione della grinta decisionista di Craxi, ha comunque un cono d’ombra nel quale si suppone che Craxi abbia in compenso dato agli Usa la base di Sigonella per attaccare la Libia di Gheddafi[68] anche se poi pare abbia avvertito lo stesso Gheddafi dell’attacco[69]: insomma le giravolte di una politica estera italiana tra atlantismo e vocazione mediterranea. All’epoca della divisione del mondo in blocchi era possibile conservare all’interno della Nato una certa capacità di azione in contesti che non fossero direttamente quelli della contrapposizione con il patto di Varsavia. Craxi tra le altre cose appoggiò dittatori come il somalo Siad Barre[70] e gestì il trapasso tunisino da Bourguiba a Zine El-Abidine Ben Ali per proteggere i propri interessi economici, in concorrenza con Francia e Urss[71]. Possiamo dire che tutto ciò rientri in una politica internazionalista? O piuttosto in una sorta di imperialismo che voleva essere nostrano?

Il Pentapartito e il Parlamento

Nel frattempo il conflitto con De Mita logorava la formula del Pentapartito. Quest’ultimo era, come abbiamo detto, un modo con cui la DC, nonostante la grande occasione persa dal Pci, risultava indebolita da quarant’anni di governo sempre più al centro del mirino dell’opinione pubblica e della magistratura e dunque si appoggiava ai partiti laici al centro dello schieramento politico. Craxi, istituendo il Consiglio di Gabinetto che si sovrapponeva come un’ombra al governo, aveva esplicitato la natura di questa formula politica nella quale le istituzioni parlamentari venivano ingabbiate da un ‘patto di ferro tra segreterie di partito nella migliore tradizione del comitato d’affari della borghesia, ma in questo caso di una borghesia italiana divisa (sulla tesi dei conflitti interni al padronato di Augusto Graziani e del suo allievo Roberto Convenevole si rinvia qui[72]). L’arbitraggio politico di questo conflitto andava rigorosamente controllato e il flusso finanziario che ne costituiva il costo riproduceva un ceto politico sempre più avido. Franco Russo, in un suo intervento parlamentare del 1988[73], bene evidenziava, all’interno del discorso sull’abolizione del voto segreto, come il Parlamento stesse diventando ostaggio del sistema dei partiti e come si stessero sommando i difetti del sistema di gabinetto (la primazia del Governo in Parlamento non derivante da confronto elettorale) e i difetti del consociativismo.

La fine

Naturalmente, nonostante qualche parere in parziale dissenso[74], la corruzione politica non è stata certamente il fattore principale dell’innalzamento del debito pubblico[75], né della maggiore pressione fiscale[76]. Tuttavia, quandoall’inizio degli anni Novanta, la nave, che prima andava[77], vede all’orizzonte un iceberg[78], la questione della corruzione, che, quando la nave andava, sembrava tollerabile, diventa invece un fattore che innesca una crisi di legittimazione[79] (del resto la delusione della propria base sociale era iniziata già prima[80]. All’interno di ciò la strategia del Psi, quella cioè di inserirsi come ago della bilancia tra Dc e Pci per crescere elettoralmente ed evitarne l’abbraccio mortale(avvalendosi dell’eccessivo potere di coalizione che l’assetto politico concedeva ad una forza che nel suo momento migliore ha preso solo il 16% dei voti) finì per attirare su Craxi la reazione dell’opinione pubblica contro la partitocrazia[81],tenendo anche conto del fatto che il Psi nel fare la sua manovra politica era costretto a lasciare mano libera ai suoi potentati locali[82] dal momento che il consenso a Craxi era anche fondato su questa libertà di movimento. Non a caso i tentativi di accentramento e di disciplinamento del partito stesso rientreranno rapidamente di fronte a questa contraddizione.

Ovviamente c’è anche un percorso politico che ha portato a questo e tale percorso si collega al crollo dell’Urss, allo scioglimento del Pci e alla sua trasformazione in Partito democratico della Sinistra, all’obsolescenza del fattore K[83]. Questa obsolescenza, che metteva in pericolo sia il potere quarantennale della Dc, sia il ruolo di ago della bilancia del Psi, fu tematizzata da Cossiga (allora Presidente della Repubblica) nel Novembre del 1989[84] e forse fu all’origine di quella fase ambigua che portò poi alla trasformazione[85] di Cossiga nel Picconatore[86]. Ha ragione chi dice che questa obsolescenza era relativa alle esigenze del capitalismo tricolore di superare gli ostacoli derivanti dal vecchio compromesso politico della cosiddetta Prima Repubblica, ormai non più adatto alla globalizzazione di capitali e mercati[87]. Questo non vuol dire però che le vittime di tale svolta fossero grandi statisti o compagni che hanno sbagliato.Craxi che era stato il profeta di questo cambiamento, come tutti i profeti, venne travolto dal cambiamento stesso che aveva anticipato. E del resto, rispetto ai populismi che in questo paese al suo decisionismo debbono qualcosa, Craxi era d’accordo nel dire che lui era figliodel sistema precedente[88]. E con questo sistema è affondato, come il capitano di una nave (quella che andava e ad un certo punto non è andata più).

Il problema della corruzione politica

Resta la questione della corruzione politica. Abbiamo visto che essa non sia decisiva dal punto di vista economico. Possiamo considerarla come secondaria dal punto di vista del materialismo storico? Il punto vero è di declinarla materialisticamente: se cioè il partito è lo strumento ancora attuale della soggettività, è necessario porsi il problema di come il partito si radica nel processo di produzione e riproduzione sociale. C’è un legame tra il Pci di Berlinguer e la sua politica con il finanziamento pubblico dei partiti (l’ultimo finanziamento del Pcus al Pci viene deliberato nel 1979[89], anno della criticata invasione sovietica dell’Afghanistan). Così come c’è un legame tra l’uscita dal Parlamento (e dunque dal finanziamento pubblico) dei partiti della Sinistra e la loro difficoltà a rientrarvici (al di là della loro crisi irreversibile[90]). Possiamo (e comunque dobbiamo), in un’ottica socialista e democratica (ossia normativa) difendere (o meglio promuovere) il finanziamento pubblico dei partiti. E tuttavia, da comunisti, dobbiamo ammettere che quest’ottica è difensiva, è astratta e alla lunga tale da mettere lo strumento a rischio in modo da renderlo un ostacolo e non più uno strumento. Esiste cioè l’esigenza di incorporare nella nostra analisi una critica dell’economia delle organizzazioni politiche (critica che ci permetterebbe di affrontare in senso non moralistico la questione della corruzione e la questione della mancanza di democrazia interna nei corpi intermedi). Se l’imminenza della rivoluzione consentiva in passato di considerare irrilevante un’auto-consapevolezza diffusa e trasparente del radicamento delle organizzazioni rivoluzionarie nella società, ora, in tempi più incerti e lunghi, la questione assume una maggiore pregnanza e diventa l’inizio di un lungo processo di formazione del proletariato e delle sue avanguardie.

Note:

[1]https://radiomaria.it/craxi-e-la-fede-un-rapporto-poco-conosciuto/

[2]https://www.socialismoitaliano1892.it/2018/01/12/la-storia-lavvenire-discorso-bettino-craxi-occasione-della-celebrazione-del-centenario-del-psi/

[3]https://www.youtube.com/watch?v=pjihW2gtDTE

[4]https://orizzonte48.blogspot.com/2014/10/1978-e-1992-parte-ii-1992-tra-favolosi.html

[5]http://clericetti.blogautore.repubblica.it/2016/10/29/amato-lordoliberale/

[6]http://www.mondoperaio.net/archivio-pdf/2009/005%20maggio/009heridicebamus.pdf

[7]https://rep.repubblica.it/pwa/esclusiva/2018/05/03/news/sequestro_moro_1978-194718638/

[8]https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/07/03/toni-negri-il-governo-craxi-unico-segno.html

[9]http://www.criticasociale.net/files/2_0003941_file_1.pdf   p.51 e 53

[10]https://www.micciacorta.it/2018/03/24276/

[11]https://www.facebook.com/453801831366226/posts/552732131473195

[12]https://contropiano.org/documenti/2018/12/11/gli-antesignani-utopici-dellunione-europea-0110470

[13]http://www.domanisocialista.it/archivioforumsocialista/_disc15/00000091.htm

[14]https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_dei_garofani

[15]https://www.reset.it/caffe-europa/recensione-decisione-e-processo-politico-craxi

[16]https://www.fondazionesocialismo.it/wp-content/uploads/2015/10/Decisione-e-processo-politico.pdfIin particolare il saggio di Cacciari)

[17]https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/esteri-3/craxi-e-la-politica-estera-italiana-parte-seconda/

[18]https://www.fondazionesocialismo.it/wp-content/uploads/2015/10/La-grande-riforma-di-Craxi_tutto.pdf

[19]https://www.democratica.com/opinioni/la-difficile-eredita-di-craxi/

[20]Merkel W., Prima e dopo Craxi. Le trasformazioni del Psi, Padova, Livianaeditrice, 1987, p.226

[21]https://www.youtube.com/watch?v=Lt3IOdDE5iA

[22]http://www.mondoperaio.net/archivio-pdf/2009/005%20maggio/009heridicebamus.pdf

[23]AA:VV, Spesa pubblica, problemi e prospettive, Mondoperaio, Gennaio 1978.

[24]Casadio Mauro, Petras James, Vasapollo Luciano, Clash! scontro tra potenze: la realtà della globalizzazione, Jaca Book, Roma, 2003.

[25]https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_politiche_italiane_del_1983#Analisi_territoriale_del_voto

[26]https://www.money.it/Prezzo-del-petrolio-storico-WTI

[27] Stato del Mondo 1994,  il Saggiatore, Bruno Mondadori, Milano 1993 p.641

[28]https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/collezioni-biblioteca-baffi/2019-3-scritti-baffi/bibliografia/400-499/419.pdf

[29]https://it.inflation.eu/tassi-di-inflazione/italia/inflazione-storica/cpi-inflazione-italia-1974.aspx

[30]http://www.treccani.it/enciclopedia/scala-mobile_%28Enciclopedia-Italiana%29/

[31]https://download.terna.it/terna/0000/0837/47.PDF p.35

[32]http://www.bpp.it/Apulia/html/archivio/1975/I/art/R75I002.html

[33]https://it.global-rates.com/statistiche-economiche/inflazione/1974.aspx

[34]https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2011/AREL_150211.pdf  pp.2-5

[35]https://it.inflation.eu/tassi-di-inflazione/italia/inflazione-storica/cpi-inflazione-italia.aspx

[36]AA:VV, Spesa pubblica, problemi e prospettive, Mondoperaio, Gennaio 1978.

[37] Antoniello Donato, Vasapollo Luciano, Eppure il vento soffia ancora, Roma, Jaca Book, 2006

[38] Torneo Claudio, Sindacati, l’età del malessere, Mondoperaio Settembre 1978, pp.29-32

[39]https://fondazionenenni.blog/2017/02/15/il-libro-e-la-data-quando-la-scala-mobile-cera-e-divideva/

[40]http://files.rassegna.it/userdata/sites/rassegnait/attach/2016/02/16-comitato-direttivo-cgil-roma-13-febbraio-1984_2372.jpg

[41]https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/04/24/referendum-lama-pessimista.html

[42]https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/02/12/il-pci-morbido-sul-referendum.html

[43]http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2020/01/13/martelli-il-socialismo-di-craxi-attuale-e-necessario_ba6f36c5-9d24-4944-a2b3-0b0800428cfb.html

[44]https://www.emilianobrancaccio.it/2020/01/15/la-favola-del-craxi-sovranista/

[45]http://www.asbel-cnl.it/INDEX/rassegna_stampa/cremaschi.htm

[46]https://www.lavoce.info/archives/26457/la-slavina-dei-redditi-da-lavoro-dipendente/

[47]http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=495

[48] Graziani, Augusto, I conti senza l’oste, Bollati Boringhieri, Torino, 1997, pp.37-44

[49]http://www.fondazionecraxi.org/wp-content/uploads/2017/02/opinionepublica—19-gen-2017.pdf

[50] Bagnai, Alberto, Il tramonto dell’euro, Imprimatur Editore, Reggio Emilia, 2012, pp. 182-214

[51] Graziani, Augusto, Perché in Italia è inevitabile una politica dei tassi elevati, Corriere della Sera 13 Marzo 1990

[52]https://www.ilsole24ore.com/art/debito-pubblico-come-quando-e-perche-e-esploso-italia-AEMRbSRG

[53]http://tesi.cab.unipd.it/50786/1/Petrila_Andreea_Roxana.pdf

[54]http://www.treccani.it/enciclopedia/sistema-monetario-europeo_%28Enciclopedia-Italiana%29/

[55]https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06/16/pier-carlo-padoan-e-la-fine-delleuro-finira-come-lo-sme-nel-1992/2833587/

[56]https://www.facebook.com/notes/paolo-tumolo/andreotti-l-adesione-allo-sme-il-sì-di-berlinguer-e-quella-notte-cruciale-con-ci/10151280664162876/

[57]https://contropiano.org/news/politica-news/2019/01/21/italia-il-paese-piu-ingiusto-e-diseguale-0111640

[58]http://archivio.articolo21.org/499/editoriale/berlusconi-tv-un-impero-nato-per-decretocraxi.html

[59]https://www.peacelink.it/mediawatch/a/24384.html

[60]https://journals.openedition.org/cei/134#tocto1n1

[61]http://www.israt.it/images/abook_file/ATCO000100.pdf p.27

[62]https://tesi.luiss.it/15414/1/070332.pdf

[63]http://www.ilsocialista.com/articolo-20-anni-fa-cadeva-il-muro-di-berlino-loccasione-mancata-della-sinistra-italiana-di-ugo-intini-n-362.html

[64]https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_di_Sigonella

[65]https://www.sinistrainrete.info/estero/11394-alessandro-pascale-la-sovranita-nazionale-e-la-centralita-della-lotta-antimperialista.html?highlight=WyJzaWdvbmVsbGEiXQ==

[66]https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/esteri-3/craxi-e-la-politica-estera-italiana/

[67]https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2018/05/07/news/ricordare-una-politica-la-visione-mediorientale-di-giulio-andreotti-1.34014634

[68]https://www.ilfattoquotidiano.it/2010/01/10/la-grande-bugia-di-sigonella/12781/

[69]https://www.repubblica.it/2008/05/sezioni/esteri/libia-italia/attaccousa-conferma/attaccousa-conferma.html

[70]http://www.fondazionenigrizia.org/notizia/somalia-la-truffa-quotidiana

[71]https://www.repubblica.it/online/fatti/afri/nigro/nigro.html

[72]https://jacobinitalia.it/gianna-difendeva-il-suo-salario-dallinflanzione/

[73]http://legislature.camera.it/_dati/leg10/lavori/stenografici/sed0179/sed0179.pdf pp. 19534-19539

[74]https://www.lavoce.info/archives/30355/peso-corruzione-debito-pubblico/

[75]https://www.emilianobrancaccio.it/2020/01/10/chi-fece-fuori-craxi/

[76] Bagnai Alberto, L’Italia può farcela, il Saggiatore, Milano,2014 pp. 234-243

[77]https://it.wikiquote.org/wiki/Bettino_Craxi#E_la_nave_va

[78]https://it.wikipedia.org/wiki/Mercoledì_nero

[79]http://www.treccani.it/enciclopedia/la-crisi-della-politica-in-italia_%28XXI-Secolo%29/

[80]http://www.israt.it/images/abook_file/ATCO000100.pdf p.48

[81]http://www.circolorossellimilano.org/MaterialePDF/il_fattore_k_e_il_fattore_craxi.pdf

[82]https://video.repubblica.it/politica/craxi-il-ricordo-del-socialista-achilli-che-si-oppose-al-segretario-psi-che-litigate-in-direzione-i-leghisti-all-epoca-sventolavano-il-cappio-in-parlamento/352313/352887

[83]https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/02/16/addio-al-fattore.html

[84]https://archivio.quirinale.it/discorsi-bookreader/discorsi/Cossiga.html#page/1058/mode/2up/search/alternanza

[85]https://www.ansa.it/sito/notizie/speciali/corsa_al_colle/2015/01/12/quirinale-1985-ecco-il-sardomuto-cossiga-il-picconatore_e8e1c68a-59df-4b8b-891d-d0863f128d94.html

[86]https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/02/tutti-fulmini-di-cossiga.html

[87]https://contropiano.org/interventi/2012/09/29/qualcosa-sta-cambiando-011490

[88]https://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2020/01/craxi-fu-un-capro-espiatorio-e-sbagliò-a-fidarsi-di-amato-int-r.-formica-matt.pdf

[89]https://www.jstor.org/stable/20567110?read-now=1&seq=29#page_scan_tab_contents

[90]https://contropiano.org/interventi/2013/09/21/la-crisi-della-politica-e-quella-della-sinistra-019204

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1 Commento


  • Nicola Vetrano

    Bell’articolo,completo

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