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La storia si conclude con una trasformazione rivoluzionaria o con la comune rovina delle classi in lotta

I vari processi e cambiamenti storici ubbidiscono alla dialettica della materia nella quale si sviluppano le cosiddette sovrastrutture, cioè i diversi modi di intendere e di affermare idee, valori, credenze religiose ecc. Di conseguenza, la ragione, la cultura, i prodotti dell’intelligenza, le definizioni dei valori sono il riflesso delle situazioni economiche e la situazione economica è quella borghese, capitalista, ingiusta, quindi non in grado di offrire la verità.

I concetti di libertà, uguaglianza, fraternità scaturiti dalla Rivoluzione Francese risentivano di una mentalità borghese, erano astrazioni, rispondevano alla verità che invece doveva essere indicata soltanto dalla dialettica storica, la quale imponeva la lotta di classe, l’espropriazione del capitale e la dittatura del proletariato
(Don Guseppe Oliva (2010) “Su la Filosofia della Miseria di Proudhon e la Miseria della Filosofia di Marx: qualche lecita considerazione oggi…” https://www.faronotizie.it/pdf/2010/02_2010/La%20filosofia%20della%20miseria.pdf).

Marx sottolinea che “la dialettica è scandalo e orrore per la borghesia e per i suoi corifei dottrinali” perché nella sua comprensione positiva dello Stato di cose esistenti include simultaneamente la comprensione della negazione, della contraddizione, la comprensione del suo superamento, concepisce ogni forma determinata nel fluire del movimento storico, quindi anche nel suo lato di essenza rivoluzionaria. La filosofia illuministica era una miseria, un falso, un inganno, perché il vero concetto di ragione bisognava apprenderlo dal suo materialismo storico e dialettico.

La struttura costante e portante della storia è l’economia, la materia, non l’idea di Hegel. Ciò significa che sono i modi e i mezzi di produzione alla base di tutto ciò che è e che diviene. Marx non poteva essere d’accordo con la filosofia di Proudhon, che sulla miseria svolgeva analisi e ragionamenti secondo vecchi canoni della ragione, cioè appellandosi ancora a quei valori che la ragione, illimitatamente intesa dettava con assoluta sicurezza.

Marx critica Proudhon nel concetto di ragione, di una ragione che per il francese è assoluta e pura, comune degli uomini viventi, della società nella società persona, quella ragione umana che non è riuscita a svelare le verità. Proudhon quindi si lascia guidare dalla testimonianza della ragione umana che pone come suo fine la giustizia, l’eguaglianza e l’equità; è una sorta di finzione poiché guarda solo al lato buono del rapporto economico che tende all’uguaglianza e il lato cattivo, quello che la nega, non è patrimonio di sua osservazione.

Marx invece ci dice che la tendenza all’uguaglianza appartiene alla capacità di produrre antagonismo e di produrre, appunto, contraddizione e superamento eimposta il suo lavoro mettendo in evidenza in maniera chiara quelli che sono gli aspetti fondamentali dell’opera di Proudhon, infatti, la “Miseria della filosofia” di Marx si divide in due capitoli, il primo intitolato “Una scoperta scientifica” in cui demolisce i presupposti economici della teoria proudhoniana, dimostrando in particolare che il valore costituito, non è altro che una malintesa rappresentazione del valore di scambio dell’economia classica, e che tutta la costruzione su di esso basata rimane all’interno di una logica perfettamente omogenea ai fondamenti costitutivi dei rapporti economici nella società capitalistica.

Dimostra inoltre come non abbia senso prefigurare una società in cui le merci siano scambiate secondo il valore costituito, e che questo non porterebbe ad altro che a una generalizzazione della proprietà privata, dei suoi presupposti economici e ad un livellamento dei salari al minimo.
Da questo punto di vista Proudhon confonde il valore delle merci determinato dalla quantità di lavoro impiegato con il valore delle merci misurato invece in base al valore del lavoro. Marx usa questa espressione, valore del lavoro, che poi dirà lui irrazionale, perché non è il lavoro che ha un valore, ma è l’energia che sprigiona, ovvero è la forza-lavoro che ha un valore e che può essere venduta dall’operaio.

Non si tratta di un errore concettuale perché già dall’inizio Marx intende che il lavoro inglobato non è un equivalente della retribuzione del lavoratore mentre invece Proudhon confonde le spese di produzione e i salari, perché la sua società utopista è un’associazione di salariati e quindi quello che cerca è la giustezza o l’equità di una proposizione e di un salario in maniera tale che i lavoratori partecipano alla loro produzione, una sorta di proporzionalità della ricchezza prodotta.
Se si pensa al concetto di “utilità sociale” è vero che il tempo di produzione che verrebbe dedicato ai prodotti sarebbe determinato dal loro grado di utilità sociale, ma ciò non si ottiene con la vendita del bene al costo di produzione. Quella di Proudhon è quindi una società statica che non prevede il deprezzamento dell’oggetto ogni volta che si introduce una nuova invenzione nel mercato.

Marx torna poi ad analizzare il “valore costituito” composto da costi di produzione e fattori di scambio. Proudhon non riesce a concepire la forma del denaro assunto dal valore di scambio come fa Marx. Per quest’ultimo il denaro non è una cosa ma un rapporto sociale mentre Proudhon concepisce il denaro ancora nella forma patriarcale dell’oro e dell’argento.

Nella sua opera, l’autore francese pensava di fare del denaro il valore costituente espresso dalla sintesi dei costi di produzione e del valore di scambio ma per sua affermazione l’oro e l’argento, in quanto denaro, sono merci non determinate dal loro costo di produzione. Tutto questo non ha senso.
Con il secondo capitolo “La metafisica dell’economia politica”, Marx è meno tecnicistico e si addentra, sin dall’inizio, nel metodo falsamente dialettico che Proudhon impiega per sviluppare la sua teoria (Si veda articolo del 2015),

Alla scoperta del valore costituito di cui si parla nel primo capitolo si aggiunge il tentativo di rispondere al problema del rapporto tra la tesi ricardiana, per cui i costi di produzione sono la base del processo produttivo considerato come creatore dei valori di scambio, e la questione della concorrenza, che sottopone i costi di produzione a modificazioni, rendendo i prezzi indipendenti dai valori e il prodotto in questa maniera espone una sorta di scontro tra il valore d’uso e il valore di scambio. Il primo, il valore d’uso, è sinonimo di abbondanza, il secondo di rarità ma si contrappone a questo modello soggettivista, ad una versione quasi ortodossa delle tesi ricardiane, perché bisogna far sì che la critica che Marx riserva a Ricardo sia una critica completa, una critica di carattere generale.

Marx attacca quelle che definisce “fanfaronate metafisiche” che esaltano la specie a spese degli individui riducendo questi ultimi a semplici membri della comunità e respinge i concetti religiosi che portano all’ “automortificazione dell’uomo”( Karl Marx (2019), “Miseria della filosofia”; Editori Riuniti, Roma.).

Proudhon viene accusato di ignorare il movimento reale, la produzione dell’espressione storica dei rapporti di produzione basati sulla contraddizione e il superamento della contraddizione nella direzione del movimento storico perchè assume le categorie economiche come categorie ideali, come i principi che dormono nella ragione impersonale dell’umanità. I rapporti reali di produzione si risolvono quindi nella concretizzazione, cioè nell’incarnazione di queste categorie.

Per Proudhon, ogni categoria economica racchiude in sé elementi buoni e cattivi contemporaneamente. Ad esempio, nel caso della proprietà, vede sia aspetti positivi, come l’incentivo al lavoro e alla produttività, sia aspetti negativi, come l’ineguaglianza e l’oppressione.

Il suo obiettivo diventa quindi quello di trovare un modo per conservare gli aspetti positivi (lato buono) delle categorie economiche, mentre elimina gli aspetti negativi (lato cattivo). Questa visione dicotomica e la sua soluzione proposta sono viste dai critici come eccessivamente semplicistiche e utopistiche, etichettandolo così come un dottrinario.

Il suo approccio è quindi etico, ma è proprio la parte cattiva, quella che non conviene alla società, a produrre quel movimento che invece fa la storia, che determina la lotta di classe e che alla fine ottiene il sopravvento e il superamento della società borghese. Quand’è che una classe oppressa riesce a esprimere sé stessa, la esprime nell’antagonismo nel conflitto di classe.

È per questo che Proudhon viene accusato di essere un dottrinario, non solo non possiede il linguaggio della scienza, ma sostiene la contraddizione: in ogni categoria economica, è costituita dalla contemporanea presenza di un lato buono e di un lato cattivo, quindi il suo problema è conservare il lato buono eliminando quello cattivo.
Marx invece non esclude assolutamente il fatto che bisogna capovolgere tutto lo sviluppo della storia, perché la società è fondata sulla miseria e i prodotti più miserabili hanno la fatale prerogativa di servire la maggioranza.

Pertanto il dottrinario Proudhon elabora una linea di verità secondo il quale sono i principi generali del mondo che servono ad illustrarlo, mentre bisognerebbe spiegargli che la coscienza è nella direzione della lotta.
Egli non comprende le condizioni della società poiché gli sfugge il movimento, il movimento che tende a rovesciare e che fa sì che l’espressione teorica di questo movimento si faccia rivoluzionario. Hegel ritorna fortemente nell’analisi di Marx e la critica è fondamentale per imporre una dialettica alla società, un meccanismo dell’organizzazione.

Proudhon non riesce ad andare al di là dell’ideale piccolo borghese, non ha altro da proporre davanti alla questione della miseria che un ritorno al maestro artigiano del Medioevo, alle coalizioni operaie e agli scioperi che però non devono garantire un aumento dei salari perché altrimenti questo comporterebbe un rincaro generale e ad una carestia generalizzata.
Il fatto è che Proudhon procede in maniera, dice Max, capovolta, incapace di seguire il movimento della storia e confonde le idee e le cose costruendo una storia delle idee che chiama dialettica. In questa sua dialettica però l’uomo non possiede un’altra storia se non quella mondana. La storia che egli fa è quella dell’immaginazione, quella degli uomini che vivono ed operano all’interno di un meccanismo storico che non prevede rotture e cambiamenti.

I rapporti tra la produzione borghese, la divisione del lavoro, il credito, la moneta e la concorrenza per Proudhon diventano quindi categorie fisse, immutabili. Egli è vittima di questa mistificazione e nel momento in cui crede che i pensieri sono indipendenti dai rapporti reali, trasforma l’economia in metafisica essendo i metafisici coloro che operano queste astrazioni immaginando di fare analisi. E’ un modo di ragionare, dice Marx, alla rovescia di quello che dovrebbe essere perché gli uomini sono gli autori e gli attori del loro dramma, e le categorie dell’economia politica sono quindi un sistema sociale che mette in relazione il fatto che ci siano rapporti di produzione di ogni società che formano un intero.

Paul Sweezy, un notevole marxista, nella sua analisi sulla teoria dello sviluppo, sostiene che Marx non ha mai analizzato una vera e propria teoria della scelta dei consumatori, poiché la domanda è solo relativamente una questione di preferenze dei consumatori. Al centro della questione si trova la redistribuzione del reddito: più il reddito viene redistribuito verso i salari, meno profitti restano disponibili. Quindi, il rapporto tra salario e profitto è completamente relativo.

Per comprendere la questione salariale, è essenziale considerare l’incremento globale nei fattori di remunerazione del capitale, compresi profitti, ammortamenti e interessi, rispetto ai salari diretti, indiretti e differiti. In questo contesto, Sweezy nota che il rapporto tra PIL destinato al lavoro e a diverse forme di remunerazione del capitale è cambiato notevolmente nel corso di 20-30 anni, passando da un 60-65% destinato al lavoro e un 35-40% al capitale a un attuale 65-70% destinato alle varie forme di remunerazione del fattore capitale.

Quindi, il salario relativo misura la relatività del salario rispetto all’incremento totale della remunerazione del capitale. Sweezy sottolinea che valutare il benessere dei lavoratori confrontando le condizioni attuali con gli anni ’50 in termini salariali, quando si verificavano migrazioni e non c’erano determinati beni di consumo, è fuorviante.
Attualmente, in termini relativi tra profitti e salari, ci troviamo in una situazione meno favorevole rispetto agli anni ’60.

Qual è l’analisi critica della relazione fra sovrapproduzione e sottoconsumo? È la differenza fra queste due interpretazioni. In Marx è la questione centrale della comprensione della crisi economica: superare le posizioni che pongono il sottoconsumo al centro della crisi per noi è fondamentale.
Bisogna comprendere la dinamica del capitalismo e la sovrapproduzione emerge come risultato delle contraddizioni interne al modo di produzione capitalistico che non è riformabile proprio per sua essenza , forma e contenuti e va superato radicalmente e definitivamente dal moto del divenire storico della lotta di classe .
Marx non esclude assolutamente il fatto che si debba pensare a lavorare per una società futura, ma è necessario avere una prassi, una prassi del conflitto per arrivare all’obiettivo.

La teoria deve operare un distacco dall’esistente e dall’accettare le regole della società borghese. Una società piccolo borghese, anche se progredita, mostra i lati positivi della borghesia e quindi si deve concepire che simpatizzare soltanto con le miserie del popolo senza metterle a contraddizione ed antagonismo significa non riconoscere l’esistenza della lotta di classe. L’analisi di Marx ci dà un quadro approfondito, critico, sfida le interpretazioni semplificate dell’oggi e sottolinea l’importanza di esaminare le dinamiche economiche nel loro contesto strutturale e sistemico come nella Sacra famiglia si sviluppa la lotta tra materialismo e idealismo, con una Critica della critica critica.
Come detto anche in precedenza si può constatare come i lavoratori nel capitalismo siano portatori l’uno rispetto all’altro di una eguale diseguaglianza rispetto al capitale e alle loro personificazioni, i capitalisti. Questa eguale diseguaglianza dei lavoratori porta con sé un’esigenza politica: l’organizzazione dei lavoratori per abolire lo stato di cose esistente, che non dilegua da sé, ma ha bisogno della volontà orientata a uno scopo, il socialismo.

Detto altrimenti, il socialismo non è destinato a realizzarsi per la forza delle cose, dello Spirito, della Storia, dell’Economia, ma ha bisogno di una teoria dei fini, ossia di un’etica. Del resto, già nel Manifesto Marx aveva dichiarato che la storia è sempre storia di lotta di classi e si conclude o con una trasformazione rivoluzionaria dell’intera società o con la comune rovina delle classi in lotta. Si tratta dell’alternativa che Rosa Luxemburg avrebbe declinato con l’espressione “socialismo o barbarie”. Ebbene, di fronte a questa alternativa spetta alla classe, uomini e donne diversi, ma uguali di fronte al “grande livellatore”, scegliere il socialismo contro la barbarie.

 

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