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Articolo 18: basta con la confusione, anche in Cgil

Da quella piazza è venuto un messaggio chiaro che interviene direttamente sul confronto sul mercato del lavoro. Primo, quel confronto non ha nulla a che vedere con la crisi economica, con l’attacco ai diritti materiali delle persone, con la caduta dei salari e dei posti di lavoro. EE’ una trattativa che serve solo al governo e alle imprese per depistare dai problemi veri. In secondo luogo è chiaro che quello che c’è su quel tavolo non va proprio bene.

La riforma degli ammortizzatori sociali è sostanzialmente un’operazione di tagli. Il governo dice di aver trovato due o tre miliardi di euro per finanziare quella riforma, ma la cassa integrazione straordinaria e in deroga e la mobilità, da sole, valgono otto-nove miliardi. Quindi sono sei-sette miliardi di tagli, soldi in meno e non soldi in più. La mobilità e la cassa integrazione per crisi vengono abolite e sostituite con l’indennità di disoccupazione. Alla fine i lavoratori sono coperti per la metà di prima e non c’è nessuna estensione dei diritti rispetto ad oggi, altro che reddito sociale.

A questo imbroglio si aggiunge poi la certezza che il governo colpirà l’articolo 18 nel suo elemento fondante, la reintegra nel posto di lavoro. Solo questo richiederebbe uno sciopero generale, una rottura del tavolo, una iniziativa vera del movimento sindacale per impedire il ripetersi del disastro delle pensioni. Invece Cisl e Uil hanno già firmato, al di là delle chiacchiere, e la Cgil continua a vivere nella confusione. Si dice no alla modifica dell’’articolo 18 e però si fa finta di non sapere che quella modifica ci sarà. E che a quel punto non essersi mobilitati prima, non aver fatto il possibile e l’impossibile per fermare questo gravissimo attacco ai diritti dei lavoratori, sarà una colpa che non potrà essere alleviata da un dissenso di circostanza. Non ci siamo proprio. La posizione della Cgil è confusa e pericolosa. Per questo dobbiamo farci sentire. Dobbiamo fermare il disastro, chi vuole fare la manutenzione dell’articolo 18 ha le stesse intenzioni di chi voleva sistemare la scala mobile. Quest’’ultima è sparita e quell’altro lo si vuole un po’ alla volta cancellare.

Mobilitarsi, scendere in piazza, usare fin d’ora la manifestazione del 31 marzo come deterrente sull’articolo 18, far sapere ai sindacati e ai partiti favorevoli ai tagli che non lo dimenticheremo mai e che dovranno pagarne tutti i prezzi politici, questo dobbiamo cominciare a fare sin da ora. Dopo la piazza del 9 marzo abbiamo dei doveri in più.

 

PS: mi dispiace per Susanna Camusso, ma la gran parte di coloro che fischiavano erano proprio metalmeccanici.

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