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La Cgil nel pantano delle maggioranze parlamentari, addio alla sponda politica

Ed ora che cosa ne sarà della Cgil? Il sindacato di Susanna Camusso ha puntato tutto sulla vittoria della coalizione del Pd alle elezioni. Lo ha fatto in modo chiaro e netto, fino al punto da escludere con un tratto di penna “Rivoluzione civile” come si ricorderà. Non aveva previsto, evidentemente, la vittoria di misura in un quadro di caos generale. La differenza è sostanziale. E così, se da una parte dai risultati elettorali esce un parziale rintuzzamento delle smanie aggressive sull’articolo 18, grazie al magro risultato rimediato da Mario Monti – sempre che Napolitano non torni dalla Germania esibendo una precisa opzione di Angela Merker -, dall’altra un Governo che andrà a cercarsi maggioranze improvvisate di volta in volta in Parlamento o, peggio, faccia un qualsiasi tipo di accordo con Berlusconi, per la Cgil rappresenterebbe un problema di portata insostenibile. Altre soluzioni non ci sono. Questa situazione di instabilità non può non creare problemi seri al sindacato che aveva obiettivamente bisogno di tirare il fiato dopo un lunghissimo periodo di logoramento, durato per l’intera legislatura chiusa alla fine del 2012. La Cisl, che aveva aperto una vera e propria offensiva verso il sindacato confederale, non tornerà certo indietro dai suoi propositi. Anzi, in fondo, e l’ha dimostrato, è la situazione migliore per la sua strategia. E la Cgil, che vedeva nella vittoria del Pd la possibilità di avere almeno una sorta di camera di compensazione delle contraddizioni sul tappeto, ora è costretta a rielaborare le sue strategie. E lo deve fare in fretta perché uno dei capitoli aperti, quello della legge sulla democrazia sindacale, non può più aspettare. C’è il rischio che più di qualcuno decida, sia nel settore privato che nel pubblico, di rompere gli indugi e approfittare a piene mani della vacatio legis. Se il “firmare con chi ci sta” diventa uno slogan più di quanto sia stato fino una chiara e precisa scelta politica da parte di alcune sigle sindacali protagoniste dello strappo del 2009, per il sindacato confederale si apre una fase di terremoto generale. Un cambio di scenario ben oltre i disastri dell’accordo del 28 giugno 2011 e oltre qualsiasi “marchionismo”, anche di seconda scelta. Né la soluzione “a metà” che intanto era venuta fuori dagli incontri con Confindustria è in grado di restituire quell’unità di facciata che interessa alla Cgil. Se a decidere non sono in ultima istanza i lavoratori allora l'”ordine del discorso” rimarrà sempre in mano alle burocrazie sindacali.
Per la Cgil, infilarsi in una legislatura, l’ennesima, in cui l’opzione politica, scelta come la classica sponda, induce un effetto paralizzante diretto sul movimento sindacale, non solo rappresenta la riproposizione di una incertezza che non può più permettersi ma la fine del modello che l’aveva sin qui sorretta. Il “sindacato di lotta e di governo” ha senso, infatti, in un quadro in cui ad una fase di costruzione della piattaforma fa seguito una fase di scelte e di decisioni reali. Ciò non corrisponde alla realtà odierna in cui, tra l’altro, la crisi ha rappresentato un forte elemento di logoramento. In questo quadro uno dei “punti di caduta” più probabili è che tutto si risolva in uno scontro interno, segnatamente con la Fiom, consumato al solo scopo di consolidare uno spazio politico che si va via via consumando. Sarebbe una triste conclusione di una storia lunga e gloriosa. C’è stato un periodo, immediatamente prima dell’ultimo congresso che ha portato Susanna Camusso alla guida del sindacato, in cui il richiamo al rinnovamento della Cgil, così come nella crisi degli anni ’50, ha rappresentato qualcosa di più di un semplice slogan. Nessuno, tra i vertici, ha anche soltanto preso in considerazione l’idea di tornare a creare un rapporto organico e sostanziale con i lavoratori. Poi c’è stata la crisi economica, con tutto quel che ne è venuto fuori e quella profonda trasformazione della rappresentanza politica che di fatto ha cambiato il volto del paese. Come a dire, mentre il paese reale andava da una parte il sindacato non solo era fermo ma nemmeno provava a vedere quello che stava accadendo.

da controlacrisi.org

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