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“Costruiamo l’autunno delle città e delle esperienze ribelli”

Il contributo introduttivo con cui apriamo questa assemblea è il frutto di una discussione collettiva tra soggettività diverse che hanno condiviso in questi mesi percorsi di lavoro comune in città e non solo e che hanno contribuito alla costruzione di questa assemblea.

Dopo 8 anni possiamo smettere di parlare di “crisi” come straordinario evento di rottura ed assumerla invece come dimensione cronicizzata, quale volto strutturale dei nuovi assetti di dominio del capitalismo in occidente.

Un’idra a più teste che assume paradigmi e sembianze diverse, sotto il predominio della rendita finanziaria e della guerra nelle varie forme che ogni giorno impariamo a conoscere, quale strumento che distrugge per ricostruire, spopola e spolia per poi sistemare e riordinare.

C’è un evento drammatico che riassume ed esemplifica qual è la situazione a livello globale del conflitto. Dopo l’accordo tra Siria e Turchia con il beneplacito di Stati Uniti e Russia anche in queste ore c’è un’attacco militare dell’esercito turco nei territori del Rojava e a Kobane, questo pensiamo che dimostri ed esemplifichi quale è la sfida che ci troviamo di fronte, che si trovano di fronte tutti quei popoli e quelle situazioni che in varie parti del mondo stanno provando a costruire una via di uscita dal capitalismo e dalla guerra.

Con la morsa del debito pubblico e della guerra i capitali ridefiniscono le gerarchie sul piano sovranazionale, forzando la tendenza del capitalismo ad auto soffocarsi, aprendo nuovi spazi di valorizzazione che, per le popolazioni e i territori, assumono l’aspetto della pauperizzazione di massa, della sperimentazione di nuove schiavitù e della devastazione ambientale.

Tutto nuovo, tutto uguale. Ogni giorno, in ogni angolo del pianeta, l’idra morde, inghiotte e vomita. E ripete il ciclo ma con un volto nuovo.

La governance europea e le relative politiche pubbliche riflettono queste tendenze: i governi di Italia, Francia e Germania riarticolano su questo la catena di comando europeo aprendo nuovi scenari di guerra e nuove frontiere di accumulazione per salvaguardare la funzione dei propri apparati, privilegi e poteri.

Una logica che produce, di fronte alla crisi umanitaria delle migrazioni e delle guerre, una risposta fascista e pericolosa che mina alla radice alcune di quelle che sarebbero premesse stesse del progetto Europa, attraverso la chiusura delle frontiere, l’emergenza di nuovi fascismi e nazionalismi. Proprio su queste premesse, come sull’aspettativa di salvaguardare i benefici residui dei ceti medi sempre più residuali, si è consolidato il blocco sociale composito di cui il governo Renzi è l’espressione in questo paese.

I provvedimenti autoritari e violenti, in continuità espansiva rispetto ai governi precedenti, che hanno caratterizzato l’operato dell’esecutivo, non hanno fatto altro che fotografare, registrare ed inquadrare da un punto di vista normativo, i cambiamenti nella costituzione materiale e nei rapporti sociali del paese giunti a un grado di maturazione avanzato, gli effetti li conosciamo benissimo:

– l’aziendalizzazione e la destrutturazione della scuola pubblica;

– la precarizzazione e la destrutturazione dei rapporti dentro la forza-lavoro, la compressione dei salari, la disoccupazione di massa come elemento strutturale del mercato del lavoro;

– la distruzione del welfare state e dei diritti;

– le privatizzazioni dei servizi e dei patrimoni pubblici come unica alternativa al fallimento della gestione pubblica;

– un modello energetico e di sviluppo dell’urbanizzazione fondato sulle esigenze di valorizzazione dei gruppi finanziari e industriali protetti dallo stato e non dalle esigenze e tecnologie in grado di riequilibrare il rapporto tra antropizzazione e natura;

– la necessità di esautorare definitivamente gli aspetti espansivi della democrazia con il ricorso alle logiche emergenziali e autoritarie.

All’esaurirsi di una fase di spinta espansiva del consenso attorno a tale opzione politica sia in Italia che in Europa, manifestatasi con fenomeni diversi e non assimilabili (Grecia, Brexit, Spagna), non corrisponde però un’espansione delle lotte sociali, del conflitto, dell’organizzazione sociale di massa, e nell’ intervento sul terreno immediatamente politico del rapporto problematico tra governo e potere. Una distinzione che oggi è importante precisare. Oggi, governo e potere non solo non coincidono ma evidenziano come il secondo non risieda affatto nel primo.

Un punto vorremmo mettere al centro di questa due giorni. Le soggettività sociali, politiche e di movimento, con il loro patrimonio organizzativo e la loro iniziativa politica, non solo non sono oggi sufficienti a riaprire una fase di conflitto e di trasformazione dei rapporti sociali, ma si portano dietro un deficit di credibilità, di efficacia e di capacità di aprire e tenere aperta l’autonomia di movimento per affrontare lo scontro politico all’altezza dei nostri avversari.

Da qui bisogna ripartire senza infingimenti.

Le sconfitte subite, le frammentazioni, la crisi della rappresentanza sociale, sindacale, politica, la chiusura degli spazi di contrattazione, l’erosione dall’alto della capacità di decisione dei ceti subalterni in tutti gli spazi politici, dalle città ai posti di lavoro, sono elementi che contraddistinguono la crisi storica dei movimenti sociali in questa fase, da affrontare senza girarci attorno e ponendosi le domande su come uscire dalla marginalità.

E’ attorno a questo nodo che si intrecciano tutte le contraddizioni, gli scontri e le possibilità in gioco. E’ attorno a questo nodo, prima di qualunque altro, che si dipana la sfida che tutti insieme, oggi, vorremmo cominciare.

Un autunno di lotte, la grande partita con il governo attorno al referendum, dipendono in primo luogo dalla nostra capacità di essere all’altezza della controparte. In questo senso interpretiamo la sfida del neomunicipalismo una parola insufficiente per provare a spiegare quello che abbiamo messo in campo in alcuni laboratori metropolitani che prova a coniugare conflitto e consenso, partecipazione e pratica dell’obiettivo, apertura delle contraddizioni e produzione di capacità saperi e dispositivi di (auto)governo, è la sfida che dai quartieri, alle città, allo spazio sovranazionale vorremmo provare a inquadrare e allargare. In questo contesto, le città sono uno spazio di lavoro importante. Alcune, negli ultimi tempi, sono divenute interessanti laboratori politici. Nulla è compiuto, tutto da verificare. Non ci sono ricette, né risultati da sbandierare, ma un possibile programma di fase e di lavoro da costruire assieme. Infatti la rottura di alcuni schemi che hanno contraddistinto l’operato delle soggettività organizzate come la capacità di ritornare tra le persone, di ritrovare un nesso tra la costruzione di una presa di parola comune, sociale, e la capacità di produzione del conflitto, ci indicano una strada fertile.

La dialettica aperta, o da aprire, con alcuni livelli amministrativi, preservando sempre l’autonomia e l’indipendenza dei movimenti sociali, ma puntando a destrutturare dall’interno la macchina istituzionale e a produrre avanzamenti, risultati tangibili, in vista di una nuova idea di governo delle città, può essere, ed è questa una delle domande che poniano, un campo di verifica comune da sperimentare con forme diverse e libere, nelle città. Allo stesso tempo la costruzione di nuove istituzioni autonome a partire dalle assemblee degli abitanti, nei luoghi della formazione, del lavoro, della socialità, nei quartieri, costituisce il terreno, la palestra in cui sperimentare, affinare nuovi dispositivi di democrazia radicale, mettendo al centro la difesa dei diritti sociali.

Lottare per una democrazia in senso radicale vuol dire lottare per un modo altro di stare assieme, per una democrazia che parli il linguaggio delle lotte, che esprima la loro composizione. E’ chiaro che questo non può essere il nostro feticcio, ma può essere il mezzo per far irrompere nella scena pubblica le istanze di segmenti sempre più consistenti della popolazione potenzialmente disponibili al conflitto e al protagonismo sociale, ma prive di luoghi di presa di parola, di rappresentanza, di organizzazione. Da qui è possibile partire per una controffensiva al governo che con il decreto Madia si appresta ad applicare il Jobs Act per i lavoratori della pubblica amministrazione e un avanzamento delle privatizzazioni dei servizi pubblici e dei patrimoni; la domanda è: su questo terreno si possono mettere a verifica, ad esempio, i profili di alcune amministrazioni “non allineate” con il quadro politico bipartisan dell’austerity come a Napoli, Roma e Torino, provando a forzare l’apertura di una contraddizione sulla gestione dei patti finanziari, del fiscal compact, con le pubbliche amministrazioni per la copertura dei servizi pubblici e del welfare?

Tuttavia, il motore di questi processi rimane sempre la capacità di azione e spinta dal basso, è imprescindibile perciò rimettere le mani nel cuore delle contraddizioni. Abbiamo perciò alcune domande che apriranno la discussione sui tavoli. Innanzitutto il lavoro. Lavoro e non lavoro alcuni punti interrogativi. Il tentativo di superare la crisi della rappresentanza sindacale e sociale, interrogandosi su quali forme di organizzazione sindacale autonoma, metropolitana, sociale, è possibile mettere in campo è un esempio. Lo sciopero come strumento concreto di lotta, di blocco della produzione, di deterrente per i padroni e il governo, da questo punto di vista diversi esperimenti, come quello dello sciopero sociale, hanno sicuramente aperto una riflessione e un tentativo interessante. Tuttavia la discontinuità di questo tentativo nel tempo e nello spazio e le sconfitte sul piano generale delle condizioni dei lavoratori hanno frenato il lavoro iniziato due anni fa. Da qui bisogna ripartire, di fronte a un mercato del lavoro globale e frammentato, con un tessuto industriale completamente destrutturato uno dei temi all'ordine del giorno per tutte e tutti resta la sindacalizzazione di quei settori "insindacalizzabili", i mille volti della precarietà e dello sfruttamento (lavoro nero, caporalato, lavoro gratuito, i voucher etc).

Perciò oggi è necessario ricominciare a parlare di sciopero e di capacità di convocazione autonoma dello sciopero, di costruire coalizioni di lotta, scambiando e connettendo pratiche, realtà, percorsi, territori diversi. Un altro elemento su cui pensiamo si discuterà sicuramente è quello che sta succedendo dopo il terremoto del Centro Italia. Sono uno spunto le dichiarazioni del ministro Delrio che in un qualche modo esemplificano qual è l’atteggiamento del governo rispetto ai disastri cosiddetti naturali, qualcosa che alcuni hanno definito negli anni shock economy, l’economia del disastro, su questo noi pensiamo che bisogna interrogarsi su come andare oltre la macchina della solidarietà attiva e provare a sollevare una contraddizione in questo paese sul modello di sviluppo, sulla messa in sicurezza dei territori.

Altro elemento. La promozione schiacciante del pensiero unico, di un ordine del discorso razzista che si nutre tanto delle boutade di Salvini quanto della retorica “umanitarista” del PD, le uscite del ministro Lorenzin sul FertilityDay, ci parlano oggi dell’emersione di un nuovo fascismo governativo in linea con la tendenza europea. Nuovi fascismi con cui è necessario fare i conti, ma con cui non basta farlo con gli strumenti classici dell’antifascismo e dell’antirazzismo. Occorre su questo uno sforzo di produzione di discorso politico e di organizzazione sui territori capace di spezzare e capovolgere la retorica televisiva e di legare il discorso e la pratica antifascista al piano sociale delle condizioni di vita delle masse, e al piano politico di una lotta contro i governi europei, per il loro abbattimento.

Un nuovo interventismo economico del pubblico si evidenzia nella restaurazione di un’economia di guerra. Come andare oltre la giusta rivendicazione dell’opposizione alla guerra e alla bulimia delle spese militari costruendo iniziative di blocco, rivendicando un uso alternativo delle aree sottoposte a servitù militari, praticando un sabotaggio di massa delle operazioni di guerra e al tempo stesso costruendo reti di solidarietà, di denuncia e di organizzazione rispetto alle condizioni dei migranti e in particolare dei richiedenti asilo?

Dopo l’incontro di Luglio, questi, insieme a numerosi altri di cui non mi soffermo per questioni di tempo e che sicuramente arricchiranno questa discussione, sono sembrati i temi più caldi da cui ripartire per aprire una stagione nuova, agendo dentro lo spazio di opportunità che il dibattito politico attorno al referendum ha aperto. Il processo di accentramento e la guerra sociale che il governo Renzi ha condotto in questi anni alle classi subalterne ed alle sacche di resistenza al modello di gestione della crisi promosso dalla Troika è oggi giunto ad un bivio importante: il referendum costituzionale è incentrato su un progetto di revisione della divisione dei poteri in funzione di un accentramento dell’esecutivo. Ricalca e formalizza insomma la tendenza politica espressa in questi anni: governo del fare, impenetrabile a qualsiasi forma di contradditorio e dissenso. Lo sappiamo, non siamo affezionati alla carta costituzionale del ‘48 con la sua storia di principi strutturalmente inevasi, impermeabile alle più elementari esigenze delle classi subalterne e invece permeabilissima agli interessi dei poteri forti e delle lobby. Oggi la carta, per tanti e tante in questo paese, è soprattutto lo strumento che ha consentito di mettere i territori comodamente supini al giogo dell’Europa delle banche e del capitalismo finanziario, è la carta che ha inserito il pareggio di bilancio, la disoccupazione di massa e lo smantellamento del Welfare.

Ciononostante tutti insieme abbiamo riconosciuto la centralità della partita che si gioca attorno a questo referendum e, lontani dalla volontà di arroccarsi sulla difesa della costituzione del 48, sappiamo però quanto sia importante oggi contrapporre una mobilitazione sociale di massa all’ennesimo atto di accentramento del governo Renzi, che in questi mesi ha fatto e disfatto il significato politico del referendum a suo piacimento. Crediamo fermamente che la vittoria del SI rappresenti un’ennesima legittimazione di un governo senza legittimità, poco meno di una firma su assegno in bianco in mano ad un truffatore.

Alla luce del colpo di mano di questo Agosto, quando Renzi ha cambiato nuovamente le carte in tavola, rinviando a data da destinarsi il giorno della consultazione e ridimensionandone il peso rispetto alla tenuta del suo governo, avevamo, dunque, visto bene la complessità della partita nell’incontro del 9 luglio qui a Napoli. Su questo un punto è evidente. La battaglia per il NO non può ridursi ad uno scontro interno ai pezzi che hanno composto o compongono l’attuale blocco di potere del paese o alla semplice difesa della costituzione.

Sono le condizioni materiali del paese, quelle che conosciamo nei quartieri e nei territori in cui viviamo e dove da anni lavoriamo con intensità, ad indicarci che una qualsiasi battaglia difensiva equivarrebbe ad un ipoteca su una sconfitta certa. In un paese dove la credibilità delle istituzioni si riduce ogni giorno, combattere per la difesa di una costituzione materialmente svuotata nel corso degli ultimi 10 anni e foriera dello sciacallaggio della Troika e dei poteri forti, vuol dire riprodurre l’incapacità dei movimenti di parlare a tanti e diversi.

Ridurre il conflitto attorno al processo di accentramento contenuto nel referendum all’esito della consultazione, vuol dire ridimensionarne la portata politica, deporre le armi, fare esattamente il gioco della controparte.

La battaglia per il NO è invece per tutti noi lo spazio di opportunità per ribaltare il processo di accentramento dei poteri che parte dalla Troika e arriva sin dentro le nostre case: vuol dire muoversi su quel filo sottile in cui, forzando i rapporti di forza, si avanza la domanda di democrazia radicale e difesa dei diritti sociali. Per farlo bisogna rintracciare la forza costituente contenuta nelle lotte, immaginando ed organizzando una battaglia d’avanguardia, una battaglia anti-capitalista, da praticare con grande intelligenza dei linguaggi, con un grande sforzo di superamento delle identità, con la dignità ed il coraggio di rimessa in moto di quella potenza sociale che risiede nelle lotte e che oggi tuttavia è confinata all’angolo, aprendo nuove strade e riorganizzando quelle esistenti.

Oggi cominciamo questa partita, è un campo difficile e non si esaurirà neanche ai tempi supplementari!

Mettiamoci tutta l’intelligenza, la passione e la rabbia di cui siamo capaci!

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