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Quando i mestatori chiedono “verità”. I fasti del “quarantennale”

C’è un ritornello ottundente che risuona sui media del potere costituito ogni volta che si parla – riparla, straparla, blatera, delira – di “anni di piombo”. E massimamente quando il tema è il sequestro Moro. Anzi lo sforzo palese dell’establishment – media compresi e disponibilissimi – è quello di far coincidere un solo episodio con il tutto. Di modo che quel singolo episodio diventi inspiegabile, privo di retroterra e motivazioni storico-sociali, “oscuro” e quindi rimuovibile nello scaffale dei misteri. Dove si mette la roba “inquietante” perché resti tale, pronta ad esser tirata fuori ogni volta che possa tornare utile. Una sineddoche storica, non molto originale ma proprio per questo piuttosto lurida.

Il “quarantennale”, da questo punto di osservazione, è iniziato come un vero e proprio sabba, con tanto di strega da mettere sulla pira, e minaccia di continuare per almeno 55 giorni.

Il ritornello è noto: dobbiamo ancora cercare la verità su quell’evento.

Non ci ripeteremo. La verità è nota, raccontata da tutti i protagonisti (brigatisti irriducibili, dissociati, pentiti, nonché magistrati inquirenti, investigatori, ecc), consegnata agli archivi giudiziari e a disposizione degli storici, compreso il milione e mezzo di pagine accumulati dalla prima Commissione parlamentare d’inchiesta, che nessuno ha letto, tranne il bibliotecario d’allora – Vladimiro Satta – il quale consegnò le sue conclusioni ad un libro (Odessea nel caso Moro) che ben pochi vollero leggere. Smontava infatti uno per uno tutti i presunti “misteri”, con prove e indicazioni per ritrovarle nell’archivio.

Però proviamo a prendere sul serio, diciamo così, questa pretesa “ricerca della verità”. Cosa serve per trovarla?. Sicuramente un po’ di serietà scientifica, una spruzzata di onestà intellettuale, divulgatori (giornalisti) che bandiscono la menzogna. Soprattutto quando lavorano per lo Stato.

Doti che sembrano sconosciute tra i gazzettieri dell’establishment.

Vogliamo fare un esempio, almeno uno?

Lo “speciale” dedicato dal Tg2 al sequestro di Aldo Moro il giorno prima dell’anniversario di via Fani. Ossia un media controllato dallo Stato, sia come proprietà che come gestione (con un’apposita Commissione parlamentare guidata fino a qualche giorno fa dal nuovo Presidente della Camera). Il servizio di riepilogo era stato affidato a un cronista di grande esperienza – Walter Vecellio, ex vicedirettore del Tg2 – che, soprattutto, era già “su piazza” all’epoca dei fatti. Uno che dovrebbe insomma saperne molto, se non altro per aver vissuto in diretta tutti i momenti rilevanti degli anni ‘70. Vecellio aveva fatto addirittura parte del Partito Radicale, quindi non sarebbe in teoria sospettabile di essere un “dietrologo”.

Qual’è stato il contributo di Vecellio alla definizione della “verità”?

Questo:

Un osceno miscuglio di notizie buttate lì, come se sotto il termine generico di “terrorismo” si potesse far rientrare tutto e il contrario di tutto, con un criterio che farebbe sobbalzare il più grigio dei contabili delle morti (mettere insieme la strage di Piazza Fontana e le proteste violente che la seguirono è fuori di ogni logica). Ma soprattutto alcune menzogne – documentabili, addirittura con sentenze passate in giudicato – che in un paese normale costringerebbero l’Ordine dei giornalisti a ritirargli il tesserino e diffidarlo dall’esercizio della professione.

Quali sono le menzogne? Queste, messe in fila così come le ha dette:

Le Brigate Rosse uccidono tra gli altri Guido Rossa, Emilio Alessandrini, Valerio Verbano, Mario Amato”.

Sappiamo per mestiere che un giornalista lavora spesso di corsa, con poco tempo di verificare le notizie da dare. Ma questo vale al massimo per la cronaca in diretta, non certo per fatti di 40 o più anni fa. Soprattutto, ripetiamo, per un giornalista che allora non era affatto un bambino ignaro e su quegli eventi ha in qualche modo costruito anche la propria esperienza, oltre che la carriera.

Uno così non può non sapere. E comunque gli sarebbe bastato, prima di fare quei nomi, dare una velocissima occhiata – chessò – a Wikipedia. Che citiamo:

Emilio Alessandrini (Penne, 30 agosto 1942Milano, 29 gennaio 1979) è stato un magistrato italiano, assassinato durante gli anni di piombo da un commando del gruppo terroristico Prima Linea.

Va bene, dirà un ingenuo, Ha confuso le Br con Prima Linea, altra formazione combattente di sinistra. Non sarà poi così grave. Non lo sarebbe, in effetti, se fosse l’unico “errore”. Vediamo gli altri.

Valerio Verbano (Roma, 25 febbraio1961Roma, 22 febbraio1980) è stato un attivistaitaliano, militante appartenente all’area di Autonomia Operaia, assassinato a Roma il 22 febbraio 1980, con un colpo di arma da fuoco, in un agguato condotto da tre uomini armati, introdottisi a volto coperto nella sua casa di via Monte Bianco.

Gli assassini non sono stati individuati dalla magistratura, ma è certo che la decisione di uccidere Valerio fu presa dai fascisti dei Nar, come rivendicato con un volantino che dava indicazioni che solo gli assassini potevano conoscere:

Abbiamo giustiziato Valerio Verbano mandante dell’omicidio Cecchetti. Il colpo che l’ha ucciso è un calibro 38. Abbiamo lasciato nell’appartamento una calibro 7.65. La polizia l’ha nascosta”. E sempre a firma NAR (comandi Thor, Balder e Tir), verso le ore 12 del giorno dopo, viene recapitata una seconda rivendicazione in cui, pur non parlando esplicitamente dell’omicidio Verbano, si fa riferimento, in modo allusivo, al martello di Thor che ha colpito a Montesacro”.[4]

L’ala “ufficiale” dei Nar provò a smentire, ma così facendo ufficializzò una spaccatura interna (ottimamente ricostruita dal libro Valerio Verbano. Ucciso da chi, come, perché, Odradek edizioni).

Mario Amato (Palermo, 24 novembre 1937Roma, 23 giugno 1980) è stato un magistrato italiano. Sostituto procuratore della Repubblica di Roma, fu assassinato dai Nuclei Armati Rivoluzionari per mano di Gilberto Cavallini e Luigi Ciavardini, mentre era titolare di tutte le inchieste sull’eversione nera a Roma e nel Lazio.

Insomma, Vecellio ne “sbaglia” tre su quattro. Un po’ troppi per pensare a semplice frettolosità o distrazione.

Noi abbiamo – nonostante tutto – un’alta considerazione della professionalità dei giornalisti di prima fascia (un ex direttore del Tg2, non uno stagista pagato 5 euro a “pezzo”). Dunque siamo costretti a ritenere che Vecellio abbia tirato giù in modo intenzionale una lista così assurda. Dunque siamo obbligati a supporre – con qualche ragionevole certezza – che il servizio osceno di Vecellio sia un mattoncino nella “narrazione” più generale che i media mainstream hanno imbastito sulla Storia di questo paese e, in particolare, sui quasi venti anni di lotta armata di sinistra (dal 1969 al 1988, anche se dopo l’82 ci furono solo episodi saltuari).

Il perché di questo tipo di narrazione è ovviamente materia da storici e politici. Non c’è alcun documento, crediamo, che “prescriva” come trattare questa materia dentro le redazioni. A questo pensano direttori, vice e capiredattori, teoricamente in concorrenza tra loro ma tutti stretti nella “difesa della verità” che non vogliono assolutamente ammettere. Diciamo “ammettere”, non “sapere”, perché la sanno benissimo.

Se 20 anni di “guerra civile a bassa intensità” possono essere ridotti a un solo evento (il sequestro di Aldo Moro) e a una sola organizzazione (le Br), allora non c’è nulla da capire o da conoscere. E’ stato un lampo nel buio, dall’origine “contendibile” sul piano narrativo (c’è anche una dietrologia di destra). Basta un po’ di retorica vittimaria e qualche monito a non ribellarsi mai.

Lo spiega benissimo una storica che in queste settimane ha dedicato le sue ricerche a un tema che dal suo punto di vista professionale è certamente tra i più interessanti del dopo guerra. Vi proproniamo qui il suo articolo apparso su Zapruder (storieinmovimento.org), rivista pubblicata dalle edizioni Odradek e ripreso da vari siti.

Buono studio, per dimenticare i mille Vecellio che inquinano i pozzi della conoscenza.

 

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