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I comunisti e l’opposizione al governo Conte

Il processo di formazione e l’avvio del Governo Conte non è stato un passaggio ordinario di questa congiuntura politica del nostro paese dopo il “terremoto” del voto avvenuto lo scorso 4 marzo.

I tempi, le modalità, le contraddizioni e gli scontri suscitati, in queste settimane, sono stati eventi dell’accertata convulsa stagione delle forme della governance italiana; un periodo ancora lungi dall’essersi assestato attorno ad un consolidato punto di sintesi tra i diversi interessi borghesi che si confrontano/scontrano in questa nuova condizione politica.

Del resto basta scorrere la cronaca quotidiana per cogliere la permanenza di notevoli elementi di turbolenza politica (e di converso istituzionale!) che – anche in riferimento alla velocificazione delle generali dinamiche internazionali tra cui la permanenza del livello strutturale della crisi economica – “accompagnarenno” questa esperienza dell’esecutivo Conte e del suo “programma/contratto”.

Il governo Conte – al di là di alcuni tratti specifici ascrivibili al “caso Italia” ed alle caratteristiche delle due formazioni politiche che lo sostengono (Movimento 5 Stelle eLega) – è collocabile, comunque, tra le “novità” scaturite, sul proscenio globale, negli ultimi anni.

Con un peso ed un ruolo sicuramente inferiore ad avvenimenti che rivestono ben altra portata (dalla Brexit inglese all’elezione di Trump negli USA, dal risultato del referendum indipendentista Catalano all’affermazione di Macron in Francia fino al recente epilogo della crisi con la Corea del Nord…) l’esecutivo Conte è – cum grano salis – parte di quel complesso corso politico, istituzionale e geo/politico che sta rompendo il “vecchio ordine” capitalistico delineando un mondo multipolare dove i fattori della competizione globale interimperialistica stanno conoscendo una potente accelerazione attraverso l’uso di tutte le forme di “guerra”: da quella commerciale e finanziaria alla manomissione diplomatica ed economica di alcuni paesi e – in determinati contesti – anche l’aperto ricorso ai conflitti bellici.

Alcune caratteristiche del voto del 4 marzo ed il profilo del Governo Conte.

Il voto del 4 marzo ha mostrato il limite dell’attuale egemonia in quanto le elezioni sono state vinte dalla “piccola borghesia” ovvero da quei settori – che un tempo avremmo definiti “ceti medi” – che stanno pagando in modo più consistente la crisi del capitale, che non concepiscono la rottura sociale ma praticano, nei fatti, una “rivolta elettorale”.

E’ evidente, dunque, che il governo Conte – che possiamo classificare come un coacervo di interessi del ramificato tessuto della piccola e media impresa italica la quale ha come orizzonte economico il mercato interno – si ritrova in una poco invidiabile condizione: dopo aver invocato, per decenni, incentivi statali, deregolamentazione del mercato del lavoro, diffusione della precarietà ora “scopre” che quel “mercato interno” è troppo asfittico e stressato per garantire gli abituali profitti a cui era abituato.

Possiamo fare una sorta di paragone storico, relativamente recente, con l’emergere del blocco sociale berlusconiano nel 1994 che era altrettanto elettoralmente esteso e nello stesso tempo impotente sulle prospettive in quanto composto dai settori sociali ed economici sconfitti dai processi di ristrutturazione avviati dopo la fine dell’URSS con il nascere dell’UE a Maastricht. Non a caso questo blocco sociale-elettorale berlusconiano si è piegato poi ai diktat della UE. Questa nostra ipoitesi interpretativa l’avanzammo a metà degli anni ’90 quando la “sinistra” strumentalmente gridava “al lupo, al lupo” verso un governo che si diceva andasse verso il fascismo mentre, invece, come la storia ci ha mostrato la direzione di marcia del berlusconismo è stata tutt’altra che classicamente fascista.

Oggi per molti versi lo scenario si ripresenta anche in termini quantitativi più allargati in quanto la crisi sociale si è estesa, con un attivismo dei settori sociali ed economici compressi dalla continua ristrutturazione produttiva e sociale e ancora una volta vengono rappresentati da soggetti politici strategicamente incapaci di dare alternative.

Questa dinamica si manifesta non in una fase di crescita mondiale del capitale, e dunque con una seppur parziale capacità di distribuzione della ricchezza, ma in una fase di accentuazione della crisi sistemica e di concentrazione delle ricchezze dove gli spazi della redistribuzione e dunque di tenuta dell’egemonia delle classi dominanti sono sempre più limitati.

In altre parole se i Salvini/Di Maio sono soggettivamente altrettanto impotenti del Berlusconi degli anni ’90 va tenuto ben presente che questa incapacità si manifesta dentro una crisi che non si risolve e che dunque può produrre fenomeni, reazioni sociali e relazioni politiche diverse dal passato e sulle quali dobbiamo fare uno sforzo di analisi.

Una cosa però è certa, i parametri ed il metro di misura degli eventi politici che abbiamo utilizzato finora sono di fatto superati e dunque siamo chiamati ad una riflessione politica e teorica su come valutiamo la realtà, con quali chiavi di lettura e con gli approcci che meglio riteniamo possano incassellarsi in questa inedita condizione.

All’indomani del raggiunto accordo sul nome di Conte e sulla sua “squadra di ministri” (dopo la sortita, quasi disperata, di Mattarella sul nome di Cottarelli) abbiamo – come Rete dei Comunisti – affermato: “Dopo settimane di turbolenze istituzionali e di terrorismo mediatico ad opera dei poteri forti della borghesia continentale, Di Maio e Salvini si sono piegati al disciplinamento dell’UE presentando un elenco di nomi e, soprattutto, un programma/contratto che presenta molti aspetti di compatibilità economica e finanziaria immediata rinviando, a data da destinarsi, quelle “misure sociali” che più avrebbero messo in discussione vincoli di bilancio e filosofia dell’austerity. Il tutto è avvenuto mentre sul piano internazionale le decisioni di Trump di rimettere in moto il dispositivo dei dazi commerciali contro l’UE e la Cina segnala l’inasprirsi della competizione globale e la necessità, da parte dell’Unione Europea, di dotarsi di un più forte ed unitario profilo politico ed economico per poter affrontare questa “guerra. Il nuovo governo, quindi, sarà immediatamente chiamato a scelte nette all’interno delle quali la demagogia, la fuffa comunicativa e i bizantinismi politicisti non troveranno molto spazio.”

Infatti già dopo pochi giorni il governo Conte è stato chiamato ad esprimersi su alcuni snodi specifici (il rompicapo dell’ immigrazione; la partecipazione al G/7 in Canada; alcuni dossier economici, come la vicenda pensionistica; il rinnovo della propria fedeltà atlantica ed al dispositivo NATO;) che stanno – velocemente – opacizzando e/o consumando quella “patina sociale” e quegli elementi di mistificazione ideologica e programmatica che hanno segnato – anche con alcune allusioni a “rotture possibili” con l’establishment – sia la passata campagna elettorale e sia l’immagine attuale dei vari Di Maio, Salvini e del complesso dei loro circuiti di riferimento.

Del resto la concreta realizzazione di nessuno dei più importanti punti del “programma/contratto” su cui è incardinato il governo Conte (il quale già è, contenutisticamente, una fotocopia sbiadita della prima stesura del “contratto” circolata nei giorni della “crisi istituzionale” grazie allo scoop (?) dell’ Huffington Post) può realizzarsi, compiutamente, se non si entra in rotta di collisione con la variegata gamma dei trattati e delle misure varate dall’ Unione Europea e con l’intera stagione dell’austerity.

Certo non è escluso che da Bruxelles e dai settori più “avveduti” della borghesia continentale europea possa arrivare all’Italia (e non solo) un qualche timido allentamento dei “vincoli/tetti di bilancio” ma, al momento, sono da escludere concessioni serie e significative che potrebbero – di fatto – incrinare la gabbia della UE, dell’Euro ed il processo di ulteriore concentrazione/centralizzazione (autoritaria) dell’ Eurozona. Un percorso obbligato – che si impone oggettivamente ai poteri forti continentali – che è reso urgente e vitale dal costante inasprirsi dello scontro tra le potenze mondiali il quale sta riconfigurando e superando gli stessi strumenti di “compensazione e governo” delle relazioni internazionali (dal WTO allo stesso consesso del G/7).

E’ evidente, dunque, che il governo Conte si ritrova in una poco invidiabile condizione: dopo aver invocato, per decenni, incentivi statali, deregolamentazione del mercato del lavoro, diffusione della precarietà ora “scopre” che quel “mercato interno” è troppo asfittico e stressato per garantire gli abituali profitti a cui era abituato.

Ed è in tale contesto che l’alleanza tra Salvini e Di Maio sarà costretta a barcamenarsi attraverso un sapiente mix di demagogia, di strategia degli annunci, di piccoli aggiustamenti di alcuni provvedimenti particolarmente antisociali sperando in qualche allentamento dei diktat della UE.

Il governo Conte, quindi, è stretto nella morsa di Bruxelles ed aspetta qualche virtuoso, quanto improbabile, “gocciolamento” per i propri settori sociali di riferimento!

Quale opposizione? Serve un altra prospettiva.

Diciamo subito che rifuggiamo da qualsivoglia ipocrita suggestione – che specie sul versante dell’affrontamento della questione immigrazione/razzismo – gli epigoni della “sinistra” tenteranno di rianimare per palesare un “fronte antifascista/democratico/repubblicano” di contrasto al governo Conte.

La “sinistra” italiana (ed europea) – in tutte le sue declinazioni – ha scientemente preparato le condizioni ideologiche e materiali affinchè si affermasse questo “giano bifronte” (l’innesto tra il fascio/razzismo e l’azione immanente, ed automatica, dell’Unione Europea).

La “sinistra” italiana (ed europea) – in tutte le sue declinazioni – ha avallato e cogestito tutte le offensive antiproletarie di questi decenni e si è, completamente, integrata nelle compatibilità capitalistiche, nell’ autoritarismo statuale che occorreva erigere per imporre queste politiche e nei progetti aggressivi e neocoloniali dell’ Unione Europea verso i popoli del Sud del mondo.

Nessuna cauzione a queste forze; nessuna ritrovata verginità per una sciagurata politica che ha contribuito fortemente alla subordinazione degli interessi operai e popolari alla sacralità del mercato e ai dogmi delle istituzioni sovranazionali.

Il nostro orizzonte teorico, politico ed organizzativo, la nostra linea di condotta militante è rivolta altrove: al blocco sociale ed ai settori di classe!

Non ci nascondiamo che oggi il nostro blocco sociale – i settori popolari a cui vogliamo rivolgerci – sono in preda ad un diffuso disorientamento che rende difficile la penetrazione e la sedimentazione organizzata di una ipotesi di lotta generalizzata che, da subito, può ritrovare un percorso di indipendenza politica dei propri interessi immediati e storici.

Da questo dato complesso, però, occorre ripartire. Senza scorciatoie politiciste, senza bizantinismi e senza “escamotage tattici” di dubbia natura che aumenterebbero la divaricazione e l’incomunicabilità sociale tra la composizione politica dei comunisti e la composizione di classe.

Riconnettere, ricostruire e rilanciare l’ipotesi di una Rappresentanza Politica Organizzata che ridia voce e forza ai settori popolari della società è una sfida che intendiamo raccogliere.

Su questo scorcio dello scontro – nei mesi scorsi – la nascita di Potere al Popolo è stata una sperimentazione interessante che ci ha visto partecipi e che intendiamo, ulteriormente, rafforzare e qualificare sia sul versante dei contenuti programmatici e sia su quello del necessario radicamento nei posti di lavoro, nei territori e nelle pieghe della società.

Si apre – almeno potenzialmente – uno spazio d’intervento e di presenza politica attiva a condizione di saper cogliere adeguatamente le novità politiche intervenute e le nuove condizioni dell’ habitat in cui siamo costretti ad agire.

La Rete dei Comunisti – nel mentre impegna tutte le sue compagne e compagni in tutti i contesti del conflitto politico, sociale e sindacale che si sviluppano nel paese – apre un confronto ed una discussione con quanti sono interessati ad indagare il nuovo scenario politico ed istituzionale.

Su questi temi, Venerdì 22 giugno – a Napoli – alle ore 17, presso la Sala Multimediale del Comune di Napoli (Via Verdi) la RdC organizza un confronto pubblico a cui invita le forze politiche, sociali e sindacali interessate.

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