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Sul perché e come dobbiamo difendere i consultori dall’attacco del governo Meloni

Fin da quando abbiamo avviato il nostro progetto di Donne de Borgata, a novembre del 2022, sapevamo a cosa saremmo andate incontro. Il governo reazionario di Meloni – allora appena nato – aveva infatti già tutte le caratteristiche per rappresentare un rischio per le donne e le soggettività non conformi di questo paese, ma soprattutto per quelle che, come noi, sono precarie, disoccupate, migranti e vivono in quartieri da decenni abbandonati dalle “istituzioni”.

Pezzo a pezzo questo rischio è diventato realtà, alla faccia della “prima donna al governo”. Al moltiplicarsi di stupri, violenze e femminicidi il governo Meloni ha risposto con la repressione, la criminalizzazione dei quartieri popolari e con ridicoli percorsi di “educazione alle relazioni”.

A una condizione di inflazione generalizzata, pur di far quadrare i conti, fra spese militari e vincoli di bilancio, ha risposto aumentando l’IVA dei prodotti femminili e per l’infanzia, a danno soprattutto di chi fa fatica ad arrivare a fine mese. Alla carenza di case popolari ha invece risposto con sfratti e proposte di leggi regionali restrittive (come nel Lazio), e non importa quante famiglie, donne, minori e persone anziane finiscono per strada.

Alle difficoltà economiche delle donne e alla cancellazione del reddito di cittadinanza ha risposto poi con il bonus mamma, dedicato alle sole donne con almeno 3 figli e che abbiano un contratto a tempo indeterminato, magari a trovarle. Alla carenza di servizi pubblici, di asili nido, di consultori e di centri antiviolenza la risposta è invece la privatizzazione o il leitmotiv “non ci sono soldi”, mentre per finanziare un genocidio pare ce ne siano in abbondanza.

Sullo sfondo, la mancanza di opportunità formative e lavorative e di strumenti per garantire l’indipendenza economica e l’autonomia alle ragazze e alle donne che non hanno mezzi sufficienti per vivere adeguatamente la propria vita e abbandonare situazioni di dipendenza economica e anche di violenza.

E tutto questo non è un caso ma un preciso progetto politico basato su una questione prettamente ideologica che riguarda il ruolo delle donne in questa società, secondo questo governo: le donne devono stare al loro posto/nel loro ruolo predeterminato, meglio se nel focolare domestico, meglio ancora se madri.

Qualche anno fa i neo fascisti di Casapound facevano campagne titolate “Tempo di essere madri”, mentre parecchio tempo prima Mussolini affermava che “la maternità sta alla donna come la guerra sta all’uomo” e che “gli stati che vogliono veramente eliminare una delle cause più notevoli di alterazione del vincolo familiare (…) devono adottare una misura veramente rivoluzionaria: riconoscere il principio del divieto dell’istruzione professionale media e superiore della donna, e, quindi, modificare i programmi d’istruzione, in modo da impartire alla donna un’istruzione (elementare, media ed anche universitaria, se occorre) intesa a fare di essa un’eccellente madre di famiglia e padrona di casa”.

Evidentemente, quando si tratta di fascisti di ieri e di oggi la mela non cade mai troppo lontano dall’albero. Per cui oggi ci troviamo davanti un doppio gioco del governo, da un lato si fanno vanto di aumentare l’occupazione femminile, senza dire che questa è quanto mai precaria, sfruttata, e non lascia alcuna possibilità di emancipazione economica costringendo le donne a un impossibile equilibrio tra famiglia e lavoro.

Dall’altro affrontiamo un nuovo attacco ai diritti conquistati dalle donne e campagne politiche sulla natalità e maternità da stile ventennio che prevedono la più ampia integrazione e legittimazione delle associazioni antiabortiste nelle scelte del governo, fino anche ad aprirgli le porte dei consultori.

Infatti, lo scorso 23 aprile il Senato ha votato un decreto del PNRR contenente un emendamento con il quale si sdogana l’ingresso delle associazioni antiscelta (i cosiddetti “ProVita”) all’interno dei consultori, permettendo loro, fra l’altro, di agire e di interfacciarsi con le donne che vogliono o devono abortire.

L’emendamento è stato proposto dall’esponente di Fratelli d’Italia, Lorenzo Malagola, e, grazie alla fiducia al governo, è passato sia alla Camera sia al Senato insieme agli altri emendamenti sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, come se nulla fosse. Un PNRR che già mostra tutti i suoi limiti quale strumento di ricatto e di orientamento delle “riforme” sempre più verso l’ingresso dei privati e la messa a profitto delle strutture pubbliche e dei presidi sanitari, come nel caso delle “Case della Comunità”.

Tramite questo emendamento sui “ProVita” si va ad attaccare – ancora di più di quanto fatto fin da quando è nata – la 194/78, legge che sappiamo essere insufficiente e con delle lacune, ma con cui venne depenalizzato l’aborto in Italia.

La 194 è stata combattuta infatti fin da subito dai movimenti ultracattolici i quali, negli anni successivi all’inserimento della legge, hanno indetto anche due referendum abrogativi, facendo una pesantissima campagna che fortunatamente non portò a nessun risultato: nonostante fosse ancora il tempo della Democrazia Cristiana, i movimenti e le lotte di quegli anni riuscirono a difendere quel diritto.

Da allora, l’eredità di quei movimenti ultracattolici, nella forma di nuove associazioni e onlus, ha portato avanti una serrata campagna contro l’aborto e in generale contro i percorsi di emancipazione e liberazione femminile.

Inoltre, grazie alla complicità sottaciuta di tutta la classe politica, le associazioni come ProVita e Famiglia si sono potute annidare anche all’interno delle strutture pubbliche: sono, infatti, ben rappresentate all’interno di molti ospedali pubblici e nei territori nella forma dei Centri di Aiuto alla Vita.

Per facilitare la diffusione delle idee su famiglia e ruoli di genere, queste associazioni si affidano non solo alle fasce più estremiste della destra extraparlamentare (vedi Forza Nuova), ma anche all’appoggio di partiti come Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Azione i cui candidati alle varie elezioni, regionali o europee, si impegnano a sottoscrivere un Manifesto Valoriale che racchiude un’ideologia bigotta e rivolta all’imposizione della famiglia cosiddetta “tradizionale” e “naturale”.

Infatti, nella loro visione di famiglia la donna svolge il ruolo di madre amorevole e custode del focolare domestico e viene rifiutata e discriminata qualsiasi forma di identità di genere e orientamento sessuale, in quanto “innaturali”, che non corrispondano a quelle di maschio e femmina eterosessuali.

La stessa premier Giorgia Meloni, poco dopo la sua nomina, si è impegnata a firmare la Carta dei Principi di Provita e Famiglia e dell’associazione Family Day, tra le cui proposte ci sono il contrasto all’aborto, l’istituzione di una giornata per la vita nascente, la promozione della famiglia tradizionale e della libertà educativa e  “il contrasto a ogni tipo di progetto di legge volto a introdurre il concetto e il reato di omotransfobia [e] le adozioni di minori a single o coppie di persone dello stesso sesso”.

Un chiaro progetto politico che fa eco al famoso discorso di Meloni del “sono una madre, sono una donna, sono italiana e sono cristiana” e che è tutto tranne che aleatorio ma che si sta traducendo rapidamente in azione. Ne sono un esempio la promozione e approvazione della proposta di legge sull’ascolto del battito prima di procedere all’Interruzione Volontaria di Gravidanza e l’apertura di una stanza per l’ascolto del battito a Torino, così come l’ingresso di queste associazioni nei consultori.

Tutto ciò non è altro che lo sdoganamento attuale di un attacco silenzioso ai diritti delle donne che è passato per decenni di aumento esponenziale degli obiettori di coscienza in ospedali e consultori (che in regioni come le Marche ormai rendono impossibile l’accesso all’IVG), di chiusura, smantellamento, riduzione del personale, tendenza alla privatizzazione e definanziamento dei consultori e di limitazioni all’accesso agli anticoncezionali gratuiti e all’IVG, le cui responsabilità dirette o indirette sono del centro destra come dello stesso centro sinistra che oggi dichiara ipocritamente guerra al governo “fascista”, ma è stato il primo a perpetrare questo genere di politiche per decenni.

Ciò vuol dire, soprattutto per le ragazze e le donne delle periferie, essere abbandonate a loro stesse o doversi confrontare con ulteriori difficoltà nel portare avanti le loro scelte di autodeterminazione.

Nello specifico, sono anni che i consultori sono sotto attacco e che piano piano stanno venendo privati della loro funzione fondamentale su un piano territoriale, ossia quella di offrire uno spazio di confronto, supporto e scelta consapevole e libera, essendo laici e gratuiti. Infatti, i consultori dovrebbero essere un punto di riferimento per le ragazze e le donne delle periferie, mentre buona parte di queste non ha idea della loro esistenza e utilità.

I servizi per i quali ci si può rivolgere ad un consultorio, che non è predisposto alla sola Interruzione di Gravidanza (IVG), sono innumerevoli e non guardano solo all’aspetto sanitario ma anche all’integrazione sociale della persona e al concetto di salute in generale, da quella psicologica alla prevenzione e benessere a tutto tondo.

Con il definanziamento, la tendenza alla privatizzazione e la presenza di obiettori di coscienza, queste strutture sono diventati posti medicalizzanti e svuotati delle loro funzioni, in cui l’accesso delle associazioni antiabortiste è solo la goccia che fa traboccare il vaso della nostra rabbia. Una rabbia che, quindi, deve portare a mobilitarci a difesa dei consultori, contro le associazioni antiabortiste, per i diritti delle donne e delle soggettività non conformi e contro il governo Meloni.

Ma c’è un altro motivo per cui il governo è all’attacco dei consultori e per cui dobbiamo difenderli. Perché questi hanno rappresentato e continuano a rappresentare un simbolo tangibile delle lotte che per decenni hanno portato avanti le donne per i propri diritti e per la propria autodeterminazione e liberazione.

Luoghi che, ancora oggi, non solo rappresentano una minaccia per il guadagno dei privati, ma che possono essere il punto di partenza per la costruzione di strumenti di organizzazione e dissenso, a partire dalle borgate romane, dai quartieri popolari e dalle periferie di tutto il paese.

E il dissenso, come dimostrato dalla contestazione alla ministra Roccella delle studentesse e degli studenti agli “Stati generali della natalità”, per il governo è qualcosa da criminalizzare e censurare, ammantandosi di una assurda “libertà di espressione”.

Una libertà che – insieme alla libertà di manifestare – dovrebbe essere garantita a chi non la ha, non a ministre e ministri che hanno dalla loro parte la possibilità di esprimersi quando vogliono a reti unificate e il potere di decidere delle nostre vite.

Facciamo quindi in modo che dalle nostre borgate e dai consultori dei nostri quartieri popolari arrivi forte e chiaro un grido contro un governo che odia le donne, contro le associazioni antiabortiste e contro chiunque abbia la presunzione di poterci togliere quello che è nostro, a partire dalla libertà di scegliere.

Per questo motivo come Donne de Borgata in queste settimane ci trovate dentro e fuori i consultori delle nostre borgate e nelle piazze dei nostri quartieri popolari per condividere informazioni, discutere, organizzare la nostra rabbia, a partire dalle assemblee organizzate nelle strade di Pietralata, Magliana, Tor Bella Monaca, Centocelle, Casal Bruciato. E ci troverete a maggior ragione nella giornata di mobilitazione nazionale del 25 maggio chiamata da Non Una di Meno e dalla Rete Nazionale Consultori e Consultorie.

Allo stesso modo, riteniamo che le nostre istanze vadano generalizzate e si affianchino a quelle di tutti e tutte le altre che stanno subendo un attacco da questo governo. Per questo aderiremo alla manifestazione contro il governo Meloni del 1° giugno e vogliamo costruire uno spezzone che rappresenti la rabbia delle donne delle borgate contro questo governo e contro le sue politiche discriminatorie, reazionarie e guerrafondaie che stanno attaccando i diritti di donne e libere soggettività di questo paese e che contribuiscono a uccidere e distruggere le vite e le terre di interi popoli, come nel caso del sostegno a Israele nel genocidio del popolo palestinese.

Per questo motivo facciamo appello a tutte le donne, ragazze, soggettività, donne migranti, realtà sociali e politiche che vogliano condividere il nostro spezzone contro il governo Meloni e a difesa dei consultori a scriverci e a partecipare attivamente alla sua costruzione.

Fuori “ProVita” e antiabortisti dai consultori!

Il governo Meloni odia le donne delle borgate, le donne de borgata odiano il governo Meloni!

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