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Roma. Mazzette Atac, “non bastava parentopoli?”

Mentre la città di Roma, sempre più sotto pressione per una mobilità cittadina arrivata al collasso, rivendica i servizi pubblici come bene comune, prosegue il saccheggio e lo sperpero di denaro pubblico in ATAC.

Dopo “parentopoli”, dopo aver lasciato a casa molti giovani già in graduatoria per far posto “agli eletti”; dopo il fallimento della linea metro B1, gli innumerevoli disservizi dovuti al taglio del servizio in superficie contestualmente all’aumento del biglietto; dopo un’ulteriore privatizzazione poco trasparente di parte del servizio in superficie e il varo di un piano industriale che pesa totalmente sulle spalle dei lavoratori, ai quali si chiede sempre nuovi sacrifici per l’esigenza di “contenere il costo del lavoro”, sarebbe gravissimo se le presunte tangenti per l’acquisto dei bus  trovassero conferme.
E’ proprio in questo micidiale triangolo tra politica, aziende pubbliche e rapporti con i privati che si innesca il meccanismo del saccheggio dei beni comuni: servizi pubblici essenziali trasformati in merce. Invece di mirare allo sviluppo della mobilità, alla sua sostenibilità,  tutto è trasformato in un grande affare gestito dalla politica e le sue società.
Questi i motivi primari per i quali USB Lavoro Privato da sempre rivendica un’unica azienda di trasporto pubblico a livello regionale, interamente pubblica, che cancelli la vergogna di quelle miriadi di piccole e meno piccole società nascoste in finti consorzi, disposte a tutto al fine di accaparrarsi chilometri da percorrere per poi recuperare profitto abbassando la qualità del servizio, la sicurezza e le condizioni di lavoro degli addetti.

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