Menu

Cosa celebreremo nel 2017?

Sono trascorsi dieci anni da quando fui invitato a tenere una lezione pubblica per la celebrazione del novantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. Mi chiesero in quel contesto di attualizzare la riflessione, di ragionare sul senso contemporaneo della rivoluzione come risposta politica e sociale alle criticità del nostro tempo. In fondo, occorre dirlo, il significato delle ricorrenze è questo. Inutile la mera ricostruzione. Necessaria l’occasione per ragionare collettivamente sulla contemporaneità del passato.

Quest’anno le celebrazioni a cifre tonde sono due, e sono entrambe importanti. Fioriranno le occasioni di incontro per il centenario dell’epopea bolscevica, ma nello stesso periodo dovremo pur ragionare sui cinquecento anni trascorsi dall’affissione sulla porta della Chiesa di Wittemberg delle 95 tesi di Lutero, che accelerarono la crisi della Chiesa occidentale, e segnarono la nascita della cultura protestante.

Onestamente, entrambi gli avvenimenti si allontanano dalla mia attenzione, e il numero 17, invece, mi trascina per un’attrazione incontrollata, verso gli altri fronti della Grande Guerra, quello occidentale e quello italo-austriaco.

Il 1917, si legge nei manuali di storia, fu l’anno della svolta, quando gli equilibri del conflitto mondiale si invertirono, quando i Russi si sfilarono dall’atroce carneficina, e gli Stati Uniti vi entrarono per raccoglierne una facile vittoria. Ma quell’anno, forse più dei precedenti, condusse ad esasperazione il dolore umano derivato da una nuova forma di violenza; fu l’anno dell’esaurimento nervoso per i vivi, circondati da migliaia di morti.

La guerra è sempre stata spietata, sanguinosa e crudele, inutile nasconderlo. Il valore dei soldati si è affermato per millenni nell’attraversare a lame sguainate i corpi, le gole, le budella dei nemici. Mai è esistita o esisterà una guerra gentile. Ma ciò che vissero i militari, e i civili lestamente vestiti da gente marziale, gettati a manciate sotto le raffiche della mitraglia nel primo conflitto mondiale, o lasciati a marcire per mesi nella trincea, non aveva nulla a che fare con quel che fino poco prima, in ambito bellico, era stato conosciuto.

In un libro che in molti hanno letto, e che tutti dovrebbero leggere, Niente di nuovo sul fronte occidentale, di Erich Maria Remarque, si rende immediatamente comprensibile – senza mai spiegarlo in modo esplicito – l’inscindibile nesso tra la natura della prima guerra mondiale, e la necessità del pacifismo come categoria politica contemporanea. La storia di un manipolo di ragazzi, esposti al fuoco nemico in ogni singolo istante, paralizzati dal terrore, oltre che dal fuoco nemico, indotti a procurarsi delle lesioni irreversibili agli arti, pur di divenire inabili al conflitto, racconta il volto inedito della guerra.

Se nei decenni precedenti la gioventù fremeva per la morte onorevole, la punta al cuore, il quadro – qui – cambia repentinamente. L’autore racconta come in un drammatico romanzo di formazione, quel che si apprende nel giungere per la prima volta in trincea, se e quando si sopravvive. E sono in pochi a sopravvivere. Sono in tanti i ragazzini lanciati a morte: “Questi giovinetti non sanno quasi nulla di tutto ciò, e vengono falciati… è un’angoscia che prende alla gola, vederli balzar fuori e correre e cadere. Si vorrebbe picchiarli, tanto sono stupidi, e insieme prenderli in braccio e portarli via di qua… Un attacco improvviso, col gas, ne falciò parecchi. Non riuscivano a comprendere ciò che li aspettasse; ma abbiamo trovato un ridottino pieno di morti con la faccia azzurrastra e le labbra nere. In una buca si sono tolte le maschere troppo presto, ignorando che a fior di terra il gas si mantiene più a lungo. Quando hanno visto gli altri, sopra, togliersi le maschere, se la sono strappata anche loro, e hanno ingoiato ancora abbastanza gas per bruciarsi i polmoni”.

La percezione intensa della completa insensatezza di ciò che stavano vivendo esasperava i protagonisti dei combattimenti. L’insensatezza della guerra imperialista ha il volto del riconoscimento del nemico come eguale, simmetrico disperato strumento della volontà altrui: “Fa un effetto strano vedere così da vicino questi nostri nemici. Hanno facce che fanno pensare, buone facce di contadini; larghe fronti, nasi schiacciati, grosse labbra, grosse mani, capelli lanosi. Si dovrebbe utilizzarli per l’aratura e la mietitura e la raccolta delle mele. Hanno l’aspetto anche più mite e buono dei nostri contadini frisoni. Vederli muoversi, mendicare un po’ di cibo è cosa triste”.

Indimenticabile, in tal senso, anche il tenente colonnello italiano di cui raccontava Emilio Lussu nel suo Un anno sull’altipiano, e dell’indispensabile relazione tra liquori e guerra. Nulla da fare: in una guerra insensata pullulano le strategie illogiche e le decisioni irrazionali, utili solo a moltiplicare le vittime. Ed ecco che l’intelligente tenente colonnello, vocato alla carriera letteraria ma costretto dal padre a quella militare, si difende bevendo: “Contro le scelleratezze del mondo, un uomo onesto si difende bevendo. È da oltre un anno che io faccio la guerra, un po’ su tutti i fronti, e finora non ho visto in faccia un solo austriaco. Eppure ci uccidiamo a vicenda, tutti i giorni. Uccidersi senza conoscersi, senza neppure vedersi! È orribile! È per questo che ci ubriachiamo tutti, da una parte e dall’altra. Se tutti, di comune accordo, lealmente, cessassimo di bere, forse la guerra finirebbe”.

Inutile commentare la profonda attualità di questi stralci di memorie. Tuttavia, forse riconquistando il senso del pacifismo implicito dei fronti critici della prima guerra mondiale, saremmo in grado di capire fino in fondo anche la Rivoluzione d’ Ottobre, che fu possibile in prima istanza in virtù della necessità di interrompere la guerra. Non certo per la coscienza marxista tra le genti russe.

Prima la pace, e poi tutto il resto.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *