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Libia: Gheddafi arretra. Si prepara una “soluzione diplomatica”

 

La città libica di Ajdabiya “è caduta stamani nelle mani degli insorti”, riferisce non a caso la France Presse che ha inviati sul posto. La sua riconquista giorni fa da parte delle forze governative aveva aperto loro la strada per Bengasi, e solo l’intervento dell’Occidente ha fermato i tank di Gheddafi.

Ieri sera, Abdel Hafiz Al Ghogha, portavoce del Consiglio transitorio libico, diceva in conferenza stampa che «pochi uomini di Gheddafi si trovano ancora alle porte sud e ovest di Ajdabiya. Ci aspettiamo che i nostri giovani rivoluzionari riusciranno a liberarla del tutto entro stasera. Le milizie del rais cederanno, perchè da giorni non ricevono approvvigionamenti». Dopo un prolungato fuoco di artiglieria dalle due parti (avevate mai sentito parlare di “manifestanti” muniti di artigleria e aviazione fin dai primi giorni di scontri?) le forze ribelli sono riuscite ad arrivare fino in centro città sui loro pickup. I bombardieri della coalizione li hanno appoggiati dal cielo, martellando a più riprese i governativi. Un’azione più da guerra vera che da «no-fly zone», commentano anche le agenzie di stampa occidentali.

Per il vice ammiraglio americano William Gortney, la capacità di comando di Muammar Gheddafi in Libia «si è molto indebolita», cosi come la capacità di sostegno alle sue truppe sul terreno, al punto che il leader libico «sta armando» volontari. Si combatte anche a Misurata, in mano ai ribelli e assediata dai governativi.

 

Lo schema militare, dunque, al momento segue il solco della guerra del 1999 contro la Jugoslavia, con la Nato (parte di essa) nel ruolo di aviazione incontrastabile di una delle parti in conflitto.

Il Wasington Post di oggi dice chiaramente che “gli Stati Uniti e i loro alleati stanno considerando la possibilità di fornire armi agli insorti libici per aiutarli a sconfiggere le forze del colonnello Gheddafi”. In realtà testimoni, filmati e fotografie da Bengasi mostrano “ribelli” che ostentano orgogliosi le armi occidentali già scaricate dalle navi e dagli aerei della Nato.

La Francia vorrebbe addestrare e armare i rivoltosi e l’amministrazione Obama ritiene che la risoluzione dell’Onu che ha autorizzato l’intervento internazionale in Libia sarebbe abbastanza «flessibile» per consentire tale assistenza, «se credessimo che questo fosse il modo giusto di procedere», ha detto il portavoce del presidente Usa, Jay Carney.

L’Unione africana propone una road map per chiudere la guerra civile, e Tripoli si dice pronta ad attuarla.

Secondo Al Jazira, citando uno 007 americano, ci sarebbe una trattativa avviata dallo stesso Gheddafi che sarebbe disposto ad accettare un cessate il fuoco in cambio di una «uscita sicura» dal conflitto.

Che qualcosa stia cambiando è evidente anche nell’atteggiamento pubblico di ffrancesi e inglesi. Ieri da Bruxelles, al termine del vertice dei paesi Ue, Sarkozy ha annunciato che Francia e Gran Bretagna stanno preparando «una soluzione politica e diplomatica» per la Libia.

Il responsabile del ministero della Sanità libico, Khaled Omar, ha detto che da quando sono iniziati i raid della coalizione sono morte 114 persone, a Tripoli e Sirte, e altre 445 sono rimaste ferite. Il Pentagono ha fatto sapere che la coalizione nelle ultime 24 ore ha compiuto 153 missioni aeree e ha lanciato 16 missili Tomahawk.

Secondo il ministro Frattini, da domenica, o al massimo da lunedì, il comando delle operazioni passerà alla Nato. In serata, il generale canadese Charles Bouchard è stato designato al comando delle operazioni dell’alleanza in Libia. La coalizione, ha fatto sapere il segretario Nato Rasmussen, potrà contare anche sul contributo di «paesi della regione». La no-fly zone è prevista al momento per 90 giorni. Il capo di stato maggiore francese, generale Edouard Guillaud, ha detto che le operazioni dureranno «settimane» e che spera che non durino «mesi».

 

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